il Fatto Quotidiano, 28 settembre 2017
Ricercatori sì, ma della stabilità: la lotta dei 10 mila studiosi precari
Domani sera, all’Università Roma Tre, sarà possibile sorvolare i vulcani sottomarini presenti nei fondali del Tirreno. Non in senso letterale; sarà una simulazione realizzata dall’Ispra, l’istituto per la protezione ambientale. Uno tra i 200 eventi organizzati in 52 città italiane per la Notte europea dei ricercatori 2017.
Sarà un modo per il mondo scientifico di far conoscere le proprie attività. Dietro la rappresentazione, però, ci sarà come sempre il lavoro di molti precari. Negli enti pubblici di ricerca (epr) governativi, il personale “flessibile” raggiunge – come emerge da una rielaborazione della Flc Cgil – quasi quota 11 mila su un totale di circa 32 mila addetti. Il fenomeno dei precari storici è nato soprattutto per gli scarsi investimenti pubblici. Secondo l’Eurostat, la spesa in ricerca e sviluppo, statale e privata, da noi ha raggiungo nel 2015 l’1,33% del Prodotto interno lordo, a fronte di una media europea del 2% e dell’obiettivo comunitario del 3% per il 2020. Da una relazione dell’Anvur, l’agenzia per la valutazione dell’Università e la Ricerca, i finanziamenti del ministero dell’Istruzione sono diminuiti tra il 2010 e il 2015. Il fondo ordinario (Foe) è passato da 1,75 a 1,67 miliardi; quello per i progetti di rilevante interesse nazionale (Prin) da 100 a 46 milioni e infine il fondo per la ricerca di base (Firb) è sceso da 92 a 6,1 milioni. In totale 220 milioni in meno. Nel 2017, il Foe è ancora sceso a 1,61 miliardi.
Un decreto della ministra della Funzione Pubblica Marianna Madia aveva l’obiettivo di stabilizzare i precari della pubblica amministrazione, con occhio di riguardo per i venti centri di ricerca pubblici. La pratica però è più complessa. Primo perché è solo una possibilità riconosciuta ai vertici degli enti, non un obbligo. Poi perché non basta una norma per trasformare un rapporto a termine in contratto permanente: servono le risorse. “Difficile in un settore definanziato”, spiega Gabriele Giannini della Flc Cgil. Proprio per questo, subito dopo la Notte europea, i ricercatori scenderanno in piazza. Il decreto Madia è alla prova dei fatti: se il governo non aumenta i fondi alla ricerca, resterà lettera morta. Il 3 ottobre l’Unione sindacale di base manifesterà al ministero dell’Economia. Il 4 ottobre, i Precari Uniti Cnr porteranno le loro rivendicazioni al dicastero dell’Istruzione, visto che proprio da Viale Trastevere dipendono 13 enti di ricerca sui 22 esistenti.
Il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) è il più grande. Il totale degli assegnisti supera i 6 mila, mentre in 1.500 hanno un contratto a termine. Mille potranno essere stabilizzati con la legge Madia: sono quelli, entrati per concorso, con almeno tre anni di anzianità negli ultimi otto. Per altri 1.500 tra gli “atipici” potranno essere bandite selezioni riservate (anche questo previsto dal provvedimento della Funzione Pubblica). Ma per rendere possibile tutto ciò servono 120 milioni, soldi in più rispetto ai 509 del fondo ordinario annuale. I vertici del Cnr hanno inviato la richiesta al ministero dell’Istruzione, ma è quello dell’Economia che deve garantire i fondi nella legge di stabilità. “Speriamo che arrivino questi soldi – spiegano i Precari Uniti Cnr – altrimenti potremmo arrivare anche a occupare le sedi”.
All’Ispra (dipende dal ministero dell’Ambiente), l’occupazione è finita da poco. Un centinaio di precari ha rischiato il licenziamento in primavera, ma la lotta ha portato i risultati: la commissione parlamentare ha impegnato il ministro Gian Luca Galletti a riservare 13 milioni di euro per le stabilizzazioni ma anche per far funzionare l’ente. “Abbiamo un fondo di 80 milioni – ha spiegato Michela Mannozzi, ricercatrice e sindacalista dell’Usb – Bisogna riportarlo a 93, com’era prima della spending review”. La promessa c’è, si attende la pratica.
Anche al Crea, che si occupa di ricerca agricola, sperano che il ministro Maurizio Martina mantenga la parola e investa i 20 milioni necessari per le 470 stabilizzazioni. Altri 50 ricercatori però non rientrano nei limiti del decreto Madia solo per poche settimane. “Sono quelli che non erano più in servizio il 28 agosto 2015 – spiega Raffaella Comitato del Coordinamento precari Crea – ma è una formalità: in realtà hanno continuato a lavorare con noi tramite l’università o come interinali”.
Più complicata è la situazione all’Istituto nazionale di fisica nucleare. I vertici dell’ente non vogliono servirsi del decreto Madia per stabilizzare il personale a termine (364 solo quelli a tempo determinato), ma preferiscono bandire nuovi concorsi. L’obiettivo è tenere alto il livello dell’istituto. “Non è giusto – afferma Claudio Argentini dell’Usb – queste persone hanno già superato un concorso e maturato un’anzianità tale da avere diritto a un contratto permanente”.
In un Paese pieno di territori devastati dai terremoti, l’Istituto di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) ha il 30% del personale precario. Sono 306 quelli coinvolti, 80 dei quali non sono riusciti a rientrare nelle stabilizzazioni disposte nel 2007 dal governo Prodi. “Abbiamo recuperato i soldi per 136 – afferma il ricercatore Stefano Corradini – ma ne servono altri per chi ne resterebbe fuori, e dovrebbe trattarsi di un aumento strutturale del Foe”.
La festa di domani sera rischia di diventare solo l’inaugurazione di un autunno di lotte per la ricerca italiana.