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 2017  settembre 28 Giovedì calendario

Passi e falli modello Nba. L’Europa cambia sul parquet

Nel basket che riapre sabato il suo campionato, e vedrà schierati intorno alla prima palla a due, di ottanta giocatori, non più d’una ventina di italiani, a ribadire nodi inestricabili, ci saranno alcune nuove regole varate per rinfrescarlo e ripulirlo. Nulla di epocale come fu il tiro da tre punti (datato 1984) o i 24” per azione (2000), ma piccoli, mirati assestamenti. Si trovano sul sito della federbasket (www.fip.it), per chi volesse o dovesse (praticando) approfondire cos’è cambiato, con tanto di disegnini applicativi. Per chi invece salirà in tribuna, a inveire contro il fischio sbagliato, meglio sarà dissodare la ratio che ha ispirato i cambiamenti. I nuclei forti sono due: una diversa normativa per l’infrazione di passi e una rivisitata casistica del fallo antisportivo. Proviamo a partire.
Sostiene il legislatore d’aver cambiato «per uniformare la regola a ciò che si vede in campo in tutto il mondo». Là dentro si corre e qui si rincorre, in due parole, e così, dall’1 ottobre in poi, chi riceve la palla in movimento «può fare due passi per arrestarsi, passare e tirare a canestro». Prima, uno. O due, ormai tollerati di prassi, se stava in Nba. Da adesso, il primo si chiamerà «passo zero», ossia conterà poco o nulla, e solo al secondo («passo 1») il giocatore sceglierà il piede perno, per poi, al «passo 2», arrestarsi, passare o tirare.
Alla vista, sarà più facile che alla lettura. Nulla cambia nelle ricezioni da fermo o in volo, dunque siamo in una casistica ridotta, ossia si parla di un tizio che riceve la palla avendo almeno un piede a contatto col parquet. L’attaccante avrà un ventaglio più ampio di scelte, il difensore meno binari fissi per marcarlo. Gli arbitri godranno di più certezze sull’avvio dell’azione, fino a ieri fonte controverso. La previsione è che saranno fischiati meno “passi”, e qui le prime polemiche già contrappongono i puristi che paventano l’eliminazione dell’infrazione e il dilagare dell’allegra usanza Nba che contempla ormai partenze “pattinate”. “The show must go on”: o vogliamo fermare l’alieno che divora il campo involandosi a schiacciare per gli highlights sulle tv planetarie solo perché non è scattato col verde?
«A me queste norme vanno bene, perché si deve arrivare, tra Nba e Fiba, ad una sola pallacanestro, dato che poi i giocatori ai grandi tornei si incontrano» dice Fabio Facchini, ex fischietto illustre, oggi istruttore. «La regola aiuterà gli arbitri, e non snaturerà il lavoro degli allenatori sui fondamentali. Quel che si poteva fare prima si potrà fare ancora, e in più questa libertà sul primo passo leverà dubbi sui passettini di assestamento che molti giocatori fanno. E tanti arbitri non vedono».
L’altro nodo è sul fallo antisportivo. S’è agito «per dare chiarezza e proteggere il gioco in transizione», ossia ripulirlo dai falli brutali e scomposti, fino agli antiestetici placcaggi da “ultimo uomo” sul contropiede. Poi però si punisce «chi non gioca direttamente la palla», una vaghezza che confina con la discrezionalità. «Non direi, vista la scelta di codificare una casistica in cinque punti chiari» ancora Facchini. «Il bravo arbitro deve saper valutare l’azione, non la sua conseguenza. E anche un contatto lieve, o ben simulato dal difensore col tipico braccio abbassato a passaggio a livello, va sanzionato, secondo il punto 3, quello più innovativo, che parla di “contatto non necessario”».
Detto che «ho letto, ma l’unico test vero è la palestra», l’antico saggio Valerio Bianchini non si nega al progresso, ma s’aggrappa pure alle radici. «Parmenide diceva che tutto scorre, e il basket di più, perché ha in sè l’essenza dell’evoluzione, e non della religione, come il calcio. Da noi, al lungone che le buttava dentro tutte da un passo, e chiamavano King Kong, fu detto che più di tre secondi in area non poteva starci, e da allora i nostri pivot corrono, e di più lo faranno con queste regole. Mi piace cambiare, non mi piace tutto quel che detta la Nba, votata all’attacco, e confido che la vecchia Europa governi l’evoluzione, e i suoi bravissimi coach credano ancora alla squadra e non solo ai superatleti».