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 2017  settembre 01 Venerdì calendario

Letizia Battaglia

«Non sono una fotografa, sono una donna». Questa affermazione caparbia, che ricorre spesso nel suo discorrere, dà immediatamente il quadro della vera essenza di Letizia Battaglia: la fotografia, la famiglia, la vita stessa sono per lei prima di tutto un atto politico. Inevitabilmente.
Oltre alla fotografia, declinata in un modo che lascia un segno indelebile nella storia di questa arte, ha fatto teatro: con Michele Perriera negli anni Settanta a Palermo, poi con Jerzy Grotowski a Venezia. È stata anche volontaria nel nosocomio psichiatrico del capoluogo siculo qualche anno prima che venisse approvata la legge Basaglia (norma che risale al 1978, ndr), quando questi “ospedali” erano degli inferni che Letizia ha saputo documentare con la pietas e l’umanità che salvaguardano da una facile retorica. È stata editrice (Edizioni della Battaglia si chiamavano, per allontanare qualsiasi dubbio), e collabora tuttora con Mezzocielo, una rivista “fondata da donne”, come recita orgogliosa mente il sottotitolo della testata.
È stata, negli anni Ottanta, consigliere comunale e poi assessore alla Cultura per il comune di Palermo durante la prima giunta di Leoluca Orlando: quella che inaugura la “primavera di Palermo”. Poi consigliere regionale eletta nella lista dei Verdi. «Alla politica ho dato tutto il mio cuore. Fare l’assessore è stata l’esperienza più bella della mia vita».Ma l’attività che Letizia Battaglia ha fatto e continua a fare con maggiore passione, a ottantadue anni, è sempre la fotografia. «Ho cominciato quasi per caso. Anzi, a dire il vero, ho cominciato per amore». Alla fine degli anni Sessanta si trasferisce a Milano con Santi Caleca. «Era lui che voleva fare il fotografo» (e lo farà: Caleca è oggi uno dei più affermati fotografi di architettura e di interni). Letizia collabora di già con il giornale L Ora. «Vivevo in corso Concordia e guadagnavo SOmila lire al mese. Nel mio palazzo abitava anche Oreste del Buono».
Con Santi comincia a lavorare per ABC, Le Ore che erano considerati – e in fondo, soprattutto il secondo, lo erano - giornali pornografici: «Oggi quelle foto farebbero sorridere». È la Milano di Dario Fo, Franca Rame, Mario Capanna.
Frequenta la casa delle donne. La rivista comunista Vie Nuove le chiede di collaborare. E inizia così la sua carriera di fotografa. «Mi ricordo rincontro con Pasolini al Circolo della Stampa per la presentazione di Le mille e una notte. Lo massacrarono». Scatta in quell’occasione una delle foto più intense del poeta e regista. Comincia a frequentare il mondo giudiziario. «Fotografavo i processi. Mi attirava la teatralizzazione dei protagonisti che si esibivano nelle aule giudiziarie. Erano rappresentazioni shakespeariane».
Nel 1974 toma a Palermo chiamata dal direttore Vittorio Nisticò come responsabile della fotografia al giornale. «Lavorare in quegli anni per L’Ora era una grande responsabilità. Dovevamo sopperire con la qualità e l’intelligenza la concorrenza del Giornale di Sicilia che era un quotidiano con molti più mezzi. Uno dei modi era stare sintonizzati sulla frequenza radio della polizia. Bisognava fare di più, avere più creatività. Più idee. Per anni non ho brindato a Capodanno. Il mio ruolo era quello di stare al giornale, attenta alle notizie che arrivavano dalla questura o a fotografare chi brindava».
In quegli anni erano in attività due grandi fotografi palermitani: Enzo Sellerio e Ferdinando Scianna. Raffinati, appartenenti alla grande scuola del nuovo realismo inaugurato da Cartier-Bresson. Le loro foto più importanti descrivevano le feste religiose, i mercati, i bambini di Palermo. Una Palermo che stava scomparendo e che avevano l’urgenza di immortalare nei loro scatti. Letizia era invece con Franco Zecchin – che aveva conosciuto a Venezia e che è stato suo compagno per diciott’ anni – una fotoreporter pura. Una fotogiomalista, che immortalava la città percome era. Con i suoi “morti e feriti” (era il cavallo di battaglia degli strilloni di Palermo, i ragazzi che vendevano i giornali ai semafori). Per meglio dire morti ammazzati. Soprattutto a partire dagli anni Ottanta si ammazza molto a Palermo. Poliziotti, magistrati, avversari mafiosi, politici. Senza le fotografie di Letizia Battaglia, Franco Zecchin e pochi altri non sarebbe possibile capire la grande città siciliana di quegli anni. La terrificante Palermo delle stragi. 
Con la sua macchina (una Pentax K.1000) testimonia quello che succede nelle strade di ogni quartiere, quello che fotografi più noti non hanno voglia, o sentimento, di fare.
Ma gli scatti di Letizia non sono soltanto di cronaca. Le sue immagini spaziano in tutti i campi. La sua foto di una ragazzina di dieci anni che tiene un pallone tra le braccia rimane una delle più belle icone del XX secolo. A farle amare questo soggetto è una dura esperienza personale. «Sono cresciuta a Trieste per via del lavoro di mio padre». A dieci anni ritorna con la famiglia a Palermo. È una bambina libera che è cresciuta, come si faceva in quegli anni, per strada. Strade più “amiche”, con poche auto, con meno pericoli di adesso. Il peggio che ti poteva capitare era incontrare un esibizionista. Un imbecille innocuo nellà’stragrande maggioranza dei casi. A Palermo invece scopre che no, che in giro da sola non può più andare. Sta diventando un’adulta. Uscire da sola non sta bene. Ne proverà una sensazione forte e dolorosa. «Mi sentii morire. Mi sembrava che la mia vita finisse. Non vedevo l’ora di uscire di casa». Si sposa, infatti, ad appena vent’anni.
Mi piace raccontare questo episodio perché ci aiuta a capire come tutte le sue foto riflettano un percorso personale preciso. La sua esperienza di fotografa è un ’esperienza violentemente emotiva. «Ci sono momenti in cui sono travolta dall’emozione. Provo una vera ossessione per le foto. Mi fa dimenticare i morti ammazzati. Poi in studio quando si sviluppano i provini, vedo le foto così, non sistemate, mi sembrano tutte brutte. Poi viene il momento della selezione. Sono una brava selezionatrice. So guardare anche le foto degli altri. Capii subito che Koudelka, con cui feci un viaggio in camper insieme a Franco, in Grecia e in Turchia, era un fuoriclasse. Ho amato anche molte fotografa Sally Mann, Francesca Woodman».
Oggi Letizia si è lanciata in una nuova sfida. Dirigerà il Centro Intemazionale di Fotografia che aprirà a ottobre ai Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo. «Uno spazio bellissimo con due gallerie e tre grandi stanze che ospiteranno un archivio fotografico pensato come raccolta di scatti di grandi fotografi che hanno visitato e fotografato Palermo molte immagini ci vengono regalate –, ma anche archivi familiari e di studi professionali, un grande archivio della città; poi una biblioteca di fotografie. Giovanna Calvenzi ci donerà i libri di Gabriele Basilico; infine un workshop. Si sta creando un clima straordinario. Intorno a me si è raccolto un team di giovani che lavorano gratuitamente. Scrivilo in corsivo, gratis. Sono Roberto Timperi per la comunicazione visiva e le mie assistenti Valentina Greco e Giuliana Mariani».
Letizia si infervora: «Ricevo tantissime telefonate di gente che si offre di collaborare. Si sta creando un comitato di Amici del Centro». Poi lancia un appello: «L’archivio che stiamo raccogliendo deve essere una cosa che ridia identità anche progettuale a questa città. Ti faccio un esempio. Negli anni della mia gioventù c’era un bravissimo fotografo in via Libertà, si chiamava Greco. Adesso il laboratorio non c’è più. Faceva bellissime fotografie di matrimoni, di feste. Che fine hanno fatto i suoi negativi? Se lo si potesse scoprire...». Con questo spirito il Centro potrebbe diventare un punto di riferimento per la formazione di un’autoconsapevolezza che purtroppo spesso è mancata alla città.
Le prime mostre del centro saranno Io sono persona a cura di Giovanna Calvenzi, una personale del fotografo Isaac Julien a cura di Paolo Falcone e Fotografo fotografano donne, una selezione di otto grandi fotografe americane a cura di Melissa Harris.
L’inaugurazione del Centro apre un’annata che rischia di essere per Palermo di cruciale importanza. La città sarà Capitale Italiana della Cultura per il 2018 e ospiterà la XII edizione di Manifesta, la Biennale Europea dell’arte contemporanea, nel restaurato palazzo Butera che accoglierà poi l’importante collezione di Massimo Vaisecchi.
Sarà una nuova primavera? Letizia Battaglia sorride: «Diciamo che sarà una bella estate».