Millennium, 1 settembre 2017
Intervista a Valentina Patrini
BARBARA PALOMBELLI HA DICHIARATO CHE I GIOVANI GIORNALISTI NON HANNO CORAGGIO E CHE DAL WEB NON È ANCORA USCITO UN GRANDE NOME. CHE NE PENSI?
Non ho letto l’intervista, ma se ha detto davvero questo, non sono d’accordo. Il nostro settore, così come tanti altri, ha un difficile ricambio e un difficile rinnovamento, ma i giovani giornalisti che si stanno affermando cominciano a essere tanti. Mi viene in mente Francesca Mannocchi che, da freelance, in poco tempo si è imposta nel panorama intemazionale con un giornalismo di verifica direttamente dove accadono le cose. Ci proviamo. magari sbagliamo o non abbiamo avuto lo stesso guizzo dei grandi del passato, ma è un periodo molto difficile per il giornalismo...
C’È STATO UN MOMENTO IN CUI HAI DETTO: NON NE VALE LA PENA. MOLLO TUTTO E FACCIO ALTRO?
Mai. È sempre stata una passione fortissima, dai tempi del giornale studentesco al liceo. Pensa che da piccola giocavo a presentare i telegiornali. Certo, negli anni ho modificato con realismo le mie passioni: sognavo la carta stampata e ho cominciato lì, ma a un certo punto ho dovuto cambiare.
E INFATTI ORMAI DA ANNI FAI GIORNALISMO TELEVISIVO...
All’inizio mi confrontavo con un mezzo che non avevo preso in considerazione, anche perché di televisione non ne ho mai guardata molta. Ma ho insistito e mi sento fortunata, perché questo mi ha aiutata a fare qualche passo e ad arrivare dove sono adesso.
HA ANCORA SENSO CHIEDERE SE ESSERE DONNA COMPORTA MAGGIORE FATICA PER FARSI STRADA NEL GIORNALISMO?
Certo che ha senso. Semplicemente perché la questione di genere nel mondo del lavoro in generale è un tema che è giusto porre, un tema che io e tante colleghe e amiche abbiamo vissuto c continuiamo a vivere. È inconfutabile che stiamo conquistando posizioni sempre più importanti, ma ancora siamo di meno. Io però sono meritocratica e la soluzione non possono essere le quote rosa.
ESPRIMI LE TUE IDEE CON FRANCHEZZA, ANCHE SUI SOCIAL. SI DEVE ESSERE SEMPRE SUPER PARTES 0 IL GIORNALISMO IMPEGNATO SIGNIFICA ANCORA QUALCOSA?
Sono diventata giornalista perché sono nata a Taranto, una città tristemente nota alla cronaca in cui, da cittadina, ho avvertito che c’era qualcosa che non andava. Ho scelto il giornalismo per approfondire e indagare, per scoprire delle cose su Taranto che grazie all’impegno di tanti colleghi oggi si danno per scontate. Fare giornalismo è imporre dei temi, fare delle denunce. Se questo significa schierarsi, allora è giusto. Nella misura in cui non ci si schiera dalla parte di un partito, ma di chi ha subito una vera ingiustizia.
IL GIORNALISMO DI DENUNCIA RISCHIA SEMPRE PIÙ SPESSO DI SCADERE NELL’ALLARMISMO E NELLA DEMAGOGIA. COME SI EVITA QUESTA DERIVA?
Senza voler dare lezioni a nessuno, per quanto mi riguarda bisogna attenersi ai fatti, ai dati, alla realtà. Il giornalista che piace a me non è un opinionista.
E SUI TEMI DI STRETTA ATTUALITÀ SI CORRE QUESTO PERICOLO?
Parliamo di immigrazione, per esempio: è un fenomeno che divide, che stimola istinti primordiali sui social network. E come qualsiasi fenomeno epocale ha una narrazione reale e una ideologica. Quella reale è ancorata ai fatti: se il presidente dell’Inps Boeri cita dei numeri e dice che gli immigrati contribuiscono con 8 miliardi alle casse dello Stato, non è un’opinione da mettere in discussione. È un fatto, è un dato. E deve rimanere tale.
TI SEI LAUREATA CON UNA TESI SULLIMMIGRAZIONE E HAI SEGUITO PER LAVORO LE ROTTE BALCANICHE. IL FENOMENO MIGRATORIO È DAVVERO UNA “EMERGENZA“?
Ho fatto una tesi su questo argomento nel 2005 e i toni che si utilizzavano erano gli stessi. Proprio in quegli anni cambiava la legislazione europea per affrontare quella che si definiva un’emergenza. E dopo dodici anni continuiamo a definirla allo stesso modo.
E LO È, SECONDO TE?
Chi studia i flussi da sempre ci dice che non stiamo vivendo un’emergenza ma l’evoluzione di un fenomeno complesso in atto da decenni. Non lo dico per negare un problema o per sminuire i fatti, ma per individuare delle responsabilità politiche e istituzionali italiane, europee e globali se questo fenomeno sta arrivando a un epilogo disastroso. Si continua a considerare emergenza quello che fa semplicemente parte della storia dell’uomo: se c’è una guerra, se c’è fame, si ha l’istinto di scappare per spirito di sopravvivenza.
DIRLO NON VA MOLTO DI MODA...
Se scrivi queste cose sui social vieni subito attaccato e etichettato come un buonista che nega i problemi. Io non nego nulla: sono nata in periferia, vengo dalla periferia e vivo in periferia. So che c’è un problema di tenuta sociale e democratica, ma poteva essere affrontato e gestito diversamente, non con misure emergenziali. Il recente summit di Parigi ci dice che l’importante per l’Europa è che si interrompano i flussi. Non importa cosa succederà domani o sapere che i flussi cambieranno rotta. Ma questa cosa accadrà, come è già accaduta prima d’ora. Chi come me è stato nei luoghi di confine e di frontiera lo sa, ha visto che può succedere. E io mi aspetto che succeda, e che presto ci troveremo a commentare l’apertura di una nuova rotta.
COSA PENSI DEL MANCATO ACCORDO DEL GOVERNO CON ALCUNE ONG CHE OPERAVANO TRA LA LIBIA E L’ITALIA?
Non voglio fare un commento politico ma io sono con Medici senza frontiere, sto dalla parte delle organizzazioni che nel rispetto delle leggi hanno svolto azione umanitaria, spesso sostituendosi e sopperendo agli Stati. C’è una responsabilità europea enorme perché non siamo gli unici a non aver trattato adeguatamente il problema. Ma continuo a essere fiera di quella parte di Stato (come la Guardia Costiera) che ha salvato e continua a salvare vite umane.
L’ITALIA È UN PAESE RAZZISTA?
Non credo, perché io, tu e milioni di persone non lo siamo. Ci sono evidenti sacche di razzismo che stanno crescendo e sono pericolose. In alcuni casi siamo in presenza di scontri sociali che mettono gli uni contro gli altri ignorando i problemi veri. Noi giornalisti raccontiamo il degrado delle periferie che da decenni sono abbandonate, vivono nel degrado, con condizioni di vita inaccettabili. Portiamo lì le nostre telecamere e i nostri taccuini, raccontiamo e denunciamo, eppure le cose non cambiano: i mezzi pubblici non arrivano, c’è lo spaccio sotto casa, la luce non arriva. E tutto contribuisce all’esasperazione e ai toni che si usano sul tema dell’immigrazione.
TI SEI OCCUPATA MOLTO DI TARANTO. COM È LA SITUAZIONE DELLA TUA CITTÀ IN QUESTO MOMENTO?
Taranto è una città abbandonata che ancora attende la realizzazione di promesse di bonifica che sono state fatte. È anche una città che ha una voglia pazzesca di ripartire. C’è un dato interessante sulla permanenza delle nuove generazioni, che non riguarda soltanto Taranto ma il Sud in generale, con i ragazzi tra 20 e 25 anni che stanno tornando. Ma la situazione relativa all’Uva è di attesa. Forse a livello nazionale sembra tutto a posto, ma sul territorio le brutture di questi anni sono purtroppo ancora lì.
COME SE NE ESCE?
Io non faccio il politico, faccio la giornalista. Continuo a fare inchieste e a cercare di capire se i decreti del governo e gli stanziamenti promessi hanno davvero una ricaduta positiva sul territorio. Ma sul quartiere Tamburi, per esempio, continuano ad abbattersi le polveri.
PARLIAMO DI “NEMO“, CHE TRA POCO TORNA SU RAIDUE. FORSE È STATO L’UNICA NOVITÀ NEL PANORAMA DELL’APPROFONDIMENTO GIORNALISTICO TELEVISIVO. EPPURE ALL’INIZIO AVETE FATICATO NON POCO...
È stata una fase di assestamento. Si fanno degli errori e tutti i programmi nuovi hanno bisogno di tempo per essere rodati e per farsi conoscere. Certo, non sempre questo tempo viene dato e io registro con felicità che la Rai abbia voluto rischiare e attendere. Nella seconda parte di stagione abbiamo capito come confezionare meglio le nostre idee e come semplificare il linguaggio. E i due ospiti in studio in ogni puntata sono lo sguardo dello spettatore a casa che guarda la tv.
SUI SOCIAL SIETE STATI ACCOLTI BENE ANCHE ALL’INIZIO...
È stata una boccata di ossigeno. Quando ti svegli la mattina e vedi il risultato basso, ovviamente sei dispiaciuto. La qualità non si misura in base all’audience, ma è comunque un dato di mercato. Ma leggere i commenti positivi è stato un incoraggiamento. Della serie: “Ok ragazzi, aggiustiamo il tiro ma la strada è quella giusta”.
COM’È CONDIVIDERE LA SCENA CON UN PERSONAGGIO COSÌ ORIGINALE COME ENRICO LUCCI?
Lucci è quello che è. È proprio così, è un vulcano e mentre ci lavori riesce contemporaneamente a strapparti dieci risate e a fare un’analisi politica lucidissima sulla tenuta del governo. È stimolante, è parte di una generazione che ha creato un linguaggio nuovo, anche “sacrilego”, nei confronti della politica.
TI OCCUPI SEMPRE DI COSE MOLTO SERIE. CHE FAI NEL TEMPO UBERO PER RILASSARTI?
Quello che di solito fanno tutte le persone. Mi piace stare con gli amici, cucinare e organizzare cene. Adoro il mare e catturerei tutti i tramonti.
QUANTO SEI SOCIAL?
Mi piace la vita reale. Uso i social, ma più per diffondere contenuti che per la mia vita privata. Ho un sano rapporto di distacco. E soprattutto penso che i social mostrino il nervo scoperto della nostra società, con contenuti sempre più violenti postati con estrema facilità. È un mezzo importante anche per fare informazione, ma con i paletti necessari.
OGGI SE NON HAI DEGLI HATERS NON SEI NESSUNO: TU COME SEI MESSA?
Devo essere sincera: non ne ho. Forse perché non ho un profilo pubblico su Facebook e riesco a filtrare un po’ di contenuti. Ma quando faccio un servizio sull’immigrazione o sul nervo scoperto del momento, porto a casa anche insulti.
COSA GUARDI IN TV?
Non la guardo molto...
MA CE L’HAI?
Non ce l’ho, ma non per snobismo. In tanti anni a Roma ho cambiato molte case e dovevo restare sempre “leggera”. Recentemente è salita mia madre e mi sono fatta prestare la tv da un’amica. Però oggi è possibile recuperare le cose migliori su Internet...