Millennium, 1 settembre 2017
Vaccini, in Europa l’informazione batte l’obbligo. Ma l’Italia si accoda all’ex blocco sovietico
AL DI LÀ DI QUELLA che fu la Cortina di ferro, le vaccinazioni sono un obbligo imposto per legge, come un’eredità dell’era sovietica. Il passato totalitario di segno opposto è invece un motivo forte per cui alcuni Paesi dell’Europa con cui di solito l’italia si confronta, come Germania e Austria, quell’obbligo lo rifiutano senza se e senza ma. L’obbligo vaccinale, insomma, è una questione culturale, storica. Filosofica. Se da un lato con il decreto Lorenzin l’Italia ha virato verso Est e la Francia si attrezza per seguirne la rotta, gli altri Paesi dell’Ovest continuano a puntare sulla libertà di scelta. Anche Berlino resiste, nonostante le fortissime pressioni interne. Anzi no, un obbligo lo ha introdotto: per combattere la vaccine hesitancy, ha imposto ai suoi cittadini di informarsi sull’argomento. «L’esitazione vaccinale riguarda tutti i Paesi occidentali, alimentata soprattutto dalla crisi di credibilità di cui soffrono le istituzioni», spiega Pier Luigi Lopalco, docente di Igiene e medicina preventiva all’Università di Pisa, tra gli autori dello studio Venice che nel 2011 tracciò tra i primi una mappa delle politiche attuate nel continente. «A questo fenomeno ogni Paese risponde in base alle sue prerogative culturali e politiche». In Italia, usando come leva l’aumento dei casi di morbillo registrati a inizio anno, il governo Gentiioni ha portato da quattro a dieci i vaccini obbligatori, prevedendo l’impossibilità di frequentare asili nido e scuole dell’infanzia per i bimbi non immunizzati e iscrivendosi d’ufficio a quell’ideale “Intemazionale Vaccinista” composta dai Paesi che prima della sua dissoluzione gravitavano attorno all’Unione sovietica.
L’appartenenza al club è certificata dallo European Centre for Disease Prevention and Control, agenzia con sede a Stoccolma che monitora le malattie infettive nel continente per conto dell’Ue, secondo cui sui 31 Paesi sorvegliati (i 28 dell’Ue più Liechtenstein, Norvegia e Islanda), 20 non prevedono alcuna vaccinazione obbligatoria e 11 ne hanno almeno una: oltre che della Francia che ne ha tre e sotto la presidenza di Emmanuel Macron punta a raggiungere quota 11, l’Italia è in compagnia di Polonia, Bulgaria, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lettonia, Grecia, Slovenia e Croazia. «In questi Paesi l’obbligo vaccinale è un retaggio del collettivismo – spiega Lopalco – e di un contesto in cui per ragioni storiche le imposizioni statali vengono accettate più facilmente dall’opinione pubblica». Nelle democrazie mature dell’Occidente europeo, invece, «la immdatoiy vaccination è l’eredità di leggi vecchie di decenni – prosegue il docente – infatti riguarda prevalentemente malattie come tetano, difterite e poliomielite, quelle per le quali si partì con le vaccinazioni di massa negli anni Sessanta e Settanta. Dopo quella fase tra gli esperti di sanità pubblica di tutto il mondo si è diffusa la convinzione che l’immunizzazione dovesse essere raccomandata, non obbligatoria».
UK: CONSENSO INFORMATO
Nel momento in cui i loro osservatori hanno registrato cali nelle coperture, le capitali si sono mosse per la maggior parte in un’unica direzione: mettendo in campo campagne contro i singoli morbi causa degli allarmi e puntando sull’informazione. È accaduto nel Regno Unito, dove nel 2016 le immunizzazioni tra uno e due anni di vita hanno mostrato una leggera flessione complessiva per il terzo anno consecutivo a livello nazionale e quella per morbillo, parotite e rosolia (Mpr) per la fascia dei 24 mesi è scesa per il secondo anno, dopo una crescita costante cominciata nel 2007. «Public Health England, il National Health Service e il Department of Health stanno valutando se e quali azioni intraprendere, anche se si tratta di un dato che va letto in un contesto in cui i valori della vaccinazione pediatrica sono superiori al 90 per cento», specificano a Fq Millennium dal Department of Health. L’obbligo, quindi, da queste parti non è un’ipotesi presa in considerazione: «Noi interveniamo nell’ambito di un sistema di consenso informato. Public Health England, agenzia governativa che monitora le coperture, ha dimostrato di saper dare risposte efficaci».
Come nel 2013, quando un’esplosione dei casi di morbillo spaventò il Regno: 587 contagi solo tra gennaio e marzo, molti dei quali nelle scuole, con un centinaio di persone finite in ospedale. Il governo rispose varando una campagna mirata, individuando un milione di ragazzi a rischio e invitando i genitori a effettuare le vaccinazioni presso gli ambulatori e le vaccin clinic temporanee installate nelle scuole: «Lo scopo era far sì che al 95% dei giovani tra i 10 e i 16 anni, i più colpiti, fosse somministrata almeno una dose entro il 30 settembre di quell’anno». L’obiettivo, si legge nei report ufficiali, venne raggiunto «dopo i primi tre mesi di campagna e a settembre in Inghilterra il numero dei casi conclamati si era fermato a 13». Il National Health Service aveva messo in relazione il calo di fiducia nel vaccino anti-morbillo cominciato alla fine degli anni Novanta con una ricerca pubblicata il 28 febbraio 1998 su Lancet dal Royal Free Hospital di Londra, a prima firma di Andrew Wakefield, che ipotizzava un nesso tra il siero Mpre l’autismo.
SVEZIA: NO-VAX CONVOCATI
Negli anni successivi la comunità ì scientifica aveva completamente smentito i risultati della ricerca, Wakefield era stato radiato dall’Ordine, ma gli effetti dei suo studio erano arrivati anche in Svezia. «Agli inizi degli anni 2000 – ci racconta Victor Harju, capo della comunicazione del ministero della Salute svedese – la somministrazione del siero Mpr, è crollato a causa delle ricerche di Wakcficld. Ci sono voluti anni prima di tori nare ai livelli ottimali». Obiettivo raggiunto senza introdurre sanzioni per le famiglie no-vax: «I genitori contrari | vengono chiamati, anche più volte, a col1 loqui individuali nei centri di medicina ’ preventiva per discutere con i nostri esperti dei rischi e dei benefìci dell’immunizzazione». Che è oggetto delle campagne comunicative condotte dalle singole Province: «Quando poi nel Paese viene introdotto un nuovo vaccino, la Folkhàlsomyndigheten, agenzia governativa competente, si muove per fare informazione sul piano nazionale».
Per Stoccolma, quindi, l’obbligo non è necessario: «L’immunizzazione è largamente accettata e raggiunge oltre il 99 per cento dei bambini – riprende Harju – il nostro sistema promuove un clima di dialogo e non prevede coercizioni: di regola, praticare procedure mediche su un paziente senza il suo consenso è vietato dalle nostre leggi». Un approccio che secondo il governo ha prodotto risultati: «Qui la copertura è superiore al 96% per tutte le vaccinazioni pediatriche (difterite, pertosse e tetano-polio-Haemophilus-morbillo, parotite e rosolia-pneumococco) entro i due anni di età. 11 dato, tuttavia, scende all’80 per cento nel caso del papilloma virus per le ragazze». Secondo i database delFOms, nel 2016 ha lasciato a desiderare anche quella relativa alla terza dose dell’epatite B (67%), ma il trend c in netto miglioramento: era del 53% nel 2015, del 42% nel 2014.
GERMANIA: VIETATO NON INFORMARSI
Anche la Germania ha dovuto affrontare cali nelle coperture. LaStàndige Impfkommission, che elabora la politica federale in materia, raccomanda 15 sieri, le associazioni dei pediatri chiedono l’adozione dell ’obbligo vaccinale, ma per il momento il governo ha risposto introducendone un altro: quello di informarsi. Tutto era nato nel 2015, anno in cui le autorità sanitarie avevano registrato 2.465 casi di morbillo, concentrati soprattutto nelle grandi città come Berlino, Dresda e Amburgo, in cui la copertura è in genere più bassa rispetto alla media nazionale. Così, mentre anche i contagi di parotite avevano cominciato a destare allarme, il Parlamento aveva approvato una legge che obbliga i genitori a presentarsi in un centro medico specializzato per fare un colloquio e ricevere una consulenza sul tema. Nel 2016 i casi conclamati erano scesi a 300, ma nel 2017 sono tornati a salire, fino a toccare quota 634 tra gennaio e maggio.
Per questo a giugno il Bundestag ha approvato un Ddl che introduce un sistema di reporting che entrerà in funzione al più tardi nel 2021 e consentirà il monitoraggio delle epidemie su scala nazionale. La norma prevede che al momento dell’iscrizione di un figlio a un Kita, la scuola dell’infanzia, le famiglie consegnino un documento che dimostri che hanno sostenuto il colloquio, e che l’istituto comunichi alle autorità sanitarie i nominativi dei genitori inadempienti. Questi ultimi possono essere invitati di nuovo a incontrare i medici e, in caso di rifiuto, rischiano una multa fino a 2.500 euro. Non solo: i loro figli possono essere lasciati a casa nel caso in cui nella scuola si diffonda una malattia, insieme ai compagni che non sono stati sottoposti a una delle vaccinazioni raccomandate. Ma non è una misura punitiva: «1 bambini non vaccinati possono essere allontanati dall’asilo solo se esiste un focolaio – spiega Susanne Glasmacher, dirigente del Robert Koch Institut, centro di ricerca pubblico che monitora le coperture – per è una questione di buon senso: se i bambini non vaccinati sono malati, non dovrebbero andare in classe, ma questo vale per tutte le malattie contagiose, non solo per quelle prevenute dal vaccino».
«Siamo in ritardo sulla tabella di marcia – sostiene Lotar Wicler, presidente del Rki-avremo problemi a raggiungere entro il 2020 l’estinzione del morbillo», come previsto dal Global Vaccine Action Pian, firmato da 194 Stati membri dell’Organizzazione mondiale della sanità nel maggio 2012. Ma per il momento l’istituto ritiene che «un piano d’emergenza non è necessario», in quanto il biennio 2014-2016 e i dati parziali sul 2017 hanno mostrato un aumento della copertura. «Perché non introduciamo l’obbligo vaccinale? Perché la coercizione non è un buon mezzo – conclude Glasmacher – si possono ottenere ottimi risultati grazie alle campagne di sensibilizzazione».
AUSTRIA: FORZARE È ANTICOSTITUZIONALE
«In Germania l’obbligo è qualcosa che culturalmente è difficile da accettare, e questo per via del suo passato – argomenta Lopalco – lo stesso vale per i Paesi dell’Europa centrale». Come l’Austria: «Nella nostra percezione l’obbligo vaccinale interferisce con il diritto all’ integrità della persona, che è fortemente garantito dalla nostra Costituzione – è la spiegazione fornita a Fq Millennium dal ministero della Sanità di Vienna – e solo nel caso in cui esista il forte rischio che un agente infettivo possa risultare prevalente rispetto a questo diritto, può essere presa in considerazione l’ipotesi di introdurre un obbligo senza interferire con i principi sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo». Ma c’è anche una motivazione pratica: «L’obbligo non fa che rafforzare l’azione dei no-vax».
I risultati, tuttavia, sembrano inferiori a quelli raggiunti in altri Paesi che la pensano allo stesso modo. «Non abbiamo un registro centrale delle vaccinazioni – proseguono dal ministero – ma la copertura del 95% richiesta dall’Oms per l’eliminazione del morbillo c della rosolia è prevista nel piano nazionale e i dati sono trasmessi periodicamente all’Oms». Secondo cui nel 2016, tuttavia, la copertura per la seconda dose del vaccino anti-morbillo non ha superato l’89%, due punti in più della trivalente contro difterite, pertosse e tetano (Dtp): l’87%, identica a quella dell’haemophilus B, della polio e dell’epatite B. «Un modello di simulazione dinamica della copertura vaccinale della popolazione tra il 1998 e il 2015 mostra come il 92% dei bambini tra i 2 e i 5 anni è stato vaccinato almeno una volta, mentre al 10% di loro non è stata somministrata la seconda dose». Valori, continua il ministero austriaco, «rimasti relativamente stabili negli ultimi anni». Tranne per il 2014 quando, esclusa la seconda somministrazione anti-morbillo, erano tutti superiori al 96%.
EST: MANCANO I SIERI
«Non esistono evidenze scientifiche per dire che Vobbligo funzioni o meno – spiega Lopalco – ci sono Paesi che lo prevedono che hanno coperture altissime e altri che non raggiungono la sufficienza». In Bulgaria, per esempio, «tradizionalmente tocchiamo il 95% – spiegano dal ministero della Salute di Sofia – ma a causa della scarsità di vaccini registrata nel 2014 e nel 2015, abbiamo riscontrato un calo delle somministrazioni che ha avuto conseguenze sui dati del 2016». Un caso che accomuna Sofìa a diverse altre capitali dell’Est Europa in cui è previsto l’obbligo e nelle quali le coperture sono tradizionalmente alte. «In Croazia siamo rimasti oltre il 95% per anni – spiegano dal ministero della Salute-poi abbiamo registrato una flessione, che in alcune regioni ha portato il tasso al di sotto del 90%». Le cause? «Mancanza di dosi e campagne no-vax».
«A livello nazionale oscilliamo tra il 94,5% c il 97,7%», fa eco Zuzana Dobrovà, capo della comunicazione dell’Autorità per la Salute pubblica della Repubblica Slovacca, ma «a partire dal 2010 abbiamo registrato una leggera diminuzione dovuta alla crescita del movimento anti-vaccinista». Che è alla base anche dei problemi della Slovenia: «E aumentato il numero di chi si informa su internet -spiegano le autorità sanitarie di Lubiana – registriamo un calo di fiducia neirinformazione e nelle istituzioni scientifiche».
Ma le cause possono essere molteplici, dalla disorganizzazione alle malversazioni. Un caso di scuola è la Romania, dove l’obbligo non c’è, colpita alla line dello scorso anno da un’epidemia di morbillo che ha causato la morte di 32 persone, sugli oltre 8 mila casi confermati: «Li le coperture sono crollate perché intere contee sono rimaste senza vaccino», spiega Lopalco. Secondo un articolo del quotidiano Ziarul Financiar del 24 aprile, nel 2016 si è verificata una «anomala esportazione parallela di sieri» che ha fatto sì che mentre le scorte erano insufficienti, il Paese ha venduto all’esterodosi perdiversi milioni di euro. «E anche dove le forniture sono arrivate – spiegava il premier Mihai Tudose alla radio pubblica il 28 luglionon tutte le strutture hanno fatto il loro dovere. 11 risultato è che la copertura è al 50% a livello nazionale.
Siamo lontani dal mondo civilizzato». Una situazione difficilissima, in cui intere comunità che si oppongono alla pratica per motivi religiosi animano un forte movimento no vax, e che ora Bucarest vuole affrontare introducendo l’obbligo.
NORVEGIA: COPERTURA AL 100%
Un equilibrio tra principi e risultati sembra averlo raggiunto la Norvegia. «La libertà di scelta è alla base della nostra cultura», spiega Britt Wolden, direttore del Dipartimento vaccinazioni del Folkehelseinstituttet, agenzia competente in materia del ministero della Salute. «Abbiamo un programma gratuito che comprende i vaccini per i bambini, compreso quello per l’influenza, a favore dei gruppi a rischio. Ma nessuno è obbligatorio». Il tassodi copertura «oscilla tra il 91 e il 96% a seconda dell’età e del vaccino – prosegue Wolden – e il nostro Registro nazionale mostra come la percentuale sia in crescita soprattutto tra i più piccoli». Secondo dati delPOms, nel 2016 raggiungeva il 100% per la prima dose di vaccino contro difterite, tetano e pertosse; percentuale che scendeva al 96% per la terza dose e al 94% per la quarta. La polio è al 96%, valore stabile a partire dall’inizio degli anni Novanta, la stessa dcll’Haemophilus, della rosolia e della prima dose del morbillo (per la seconda scende al 91 %). «Questi risultati sono dovuti al lavoro quotidiano e alle risorse che investiamo nella formazione del personale-prosegue Wolden – che instaura un dialogo con i genitori e fornisce loro tutte le informazioni di cui hanno bisogno». Per questo motivo il dibattito in corso da mesi in Italia sul tema è qualcosa di difficilmente replicabile in Norvegia: «Un partito politico ha chiesto l’obbligatorietà, ma la proposta è caduta nel vuoto. L’opinione pubblica non lo ritiene necessario».
ITALIA: MANCANO I SOLDI
«Da noi i no-vax sono una piccola minoranza rumorosa», riprende il professor Lopalco. «In Italia si è registrato un aumento delle persone che non intendono più vaccinarsi e nel contempo un calo delle coperture. Il problema è serio e qualcosa andava fatto, ma la sanità pubblica non ha saputo rispondere con il rafforzamento della comunicazione, che è il modo più efficace». Lo ha fatto invece con il decreto Lorenzin, ma «l’obbligo non è che una stampella, un aiuto di breve termine. Per risolvere il problema serve un’azione di lungo periodo fatta di colloqui con le famiglie e azioni di divulgazione mirata. Che però non siano spot televisivi, che sono soldi buttati dalla finestra. Per raggiungere risultati – prosegue Lopalco – servono interventi “multicomponenti”: oltre che nel materiale informativo, bisogna investire nel personale sanitario e fare in modo che i genitori scettici siano chiamati nelle Asl a fare colloqui e ricevere informazioni. E queste cose costano moltissimo». Qualche esempio: «Oggi nel budget di una Asl una seduta vaccinale dura in media 10-15 minuti. Un tempo che serve appena per fare una brevissima anamnesi e per fare l’iniezione. Se davanti mi trovo un genitore che ha dubbi, per un counselingserve minimo mezz’ora di tempo. Perché sia davvero efficace, il colloquio dovrebbe durare almeno un’ora. Si tratta di interventi complessi la cui efficacia è dimostrata, ma dispendiosi in termini di denaro e di organizzazione».
«Saremo un martello su questo argomento-cinguettava la Lorenzin il 12 marzo 2015 – coinvolgeremo anche la rete delle farmacie con una campagna diretta ai genitori». «Nel nuovo piano nazionale vaccini – ribadiva il 3 novembre 2016 – puntiamo a fare moltissima formazione a famiglie e operatori». Il Piano nazionale di prevenzione vaccinale 2017-2019 pubblicato in Gazzetta Ufficiale i 118 febbraio, poi, sottolinea che «il Comitato nazionale di bioetica raccomanda campagne di promozione e informazione che siano a carattere nazionale, implementate rapidamente, comprendenti una comunicazione efficace sui siti internet e un’accurata informazione a livello individuale, scritta e verbale, al fine di rendere consapevole il cittadino sia delle strategie in atto sia dei benefici attesi a fronte dei rischi possibili». Quindi, si dirà seguendo la logica, prima che la vaccinazione diventi obbligatoria il ministero ha pensato di varare una campagna informativa per le famiglie. Sbagliato. «A decorrere dal 1° luglio 2017 – recita l’articolo 2 del decreto vaccini pubblicato in Gazzetta il 5 agosto, intitolato Iniziative di comunicazione e informazione sulle vaccinazioni – il ministero della Salute promuove iniziative di comunicazione e informazione istituzionale (...) senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Tradotto: tante belle intenzioni, ma niente soldi. E chi dovrebbe diffondere questa cultura? «Medici di medicina generale», «pediatri di libera scelta» e «farmacisti delle farmacie del territorio». Ai quali, però, difficilmente si potrà chiedere di lavorare di più senza prevedere un incentivo economico.
Ma Lorenzin dice di aver pensato anche alla formazione di docenti e studenti prevedendo, si legge al comma 2 dello stesso articolo, «iniziative di formazione del personale docente ed educativo nonché di educazione delle studentesse e degli studenti sui temi della prevenzione sanitaria e in particolare delle vaccinazioni». Per realizzare questo bel progetto «è autorizzata la spesa di euro duecentomila per l’anno 2017». Da dividere per le scuole di tutta Italia. Cui si aggiungerebbe il 50% delle multe, da 100 a 500 euro, inflitte ai genitori che non vaccinano i figli, specifica il decreto. Soldi che però al momento non ci sono. E chissà se ci saranno mai.
(Hanno collaborato Alessandro Ricci e Sabrina Provenzani)