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 2017  settembre 27 Mercoledì calendario

Un Mediterraneo da 5.600 miliardi

ROMA Un mare piccolo ma un immenso tesoro, un’enorme risorsa comune dilapidata dalle nostre azioni. Per la prima volta, nel tentativo di trovare nuove ricette per salvarlo, è stato quantificato il valore economico dei beni naturali del mar Mediterraneo: 5.600 miliardi di dollari. Una cifra spaventosa che dimostra il ruolo fondamentale di un bacino pari a poco meno dell’1% della superficie di tutti gli oceani del mondo ma che da solo è in grado di generare un Prodotto Mare Lordo – il Pil degli oceani – uguale al 20% di quello di tutto il pianeta.
Per fare un esempio: se quella del Mare nostrum fosse un’economia a se stante, sarebbe la quinta dell’intera area mediterranea dopo Francia, Italia, Spagna e Turchia, capace di produrre quasi quanto l’economia annuale di Algeria, Grecia e Marocco messe insieme.
«Ed è un valore perfino sottostimato, perché non si tiene conto delle ricchezze della profondità del mare, come idrocarburi o minerali, anche se non sostenibili – commenta Roberto Danovaro, ricercatore, docente di biologia marina e presidente della stazione zoologica A. Dohrn di Napoli – e nonostante il suo ruolo stiamo erodendo le sue risorse. Per questo ora è necessario combattere per un turismo più sostenibile e meno cloaca, per spazi e riserve protette come volano per l’economia, prima che sia troppo tardi».
I dati sono stati raccolti dal Wwf International che, in collaborazione con il The Boston Consulting Group, ha redatto un dettagliato report sul potenziale economico del mare con l’obiettivo di mostrare, durante il summit dell’Unione Europea “Our Ocean” in programma il 5 e 6 ottobre a Malta, quanto vale concretamente e cosa possiamo fare per proteggerlo da un declino decennale, oggi accelerato anche dal cambiamento climatico.
Secondo il Wwf la cifra globale dei beni naturali, 5600 miliardi di dollari, è da considerare come “un fondo di investimento pubblico” ed è l’insieme di una serie di asset come coste produttive, stock ittici e pesca, fanerogame marine (piante come la Posidonia), sequestro di carbonio e di tutte le componenti che possono dare benefici all’uomo e all’ambiente. Questi generano a loro volta il Pml (Prodotto marino lordo): quello dei mari del mondo è di 2500 miliardi di dollari, per il Mare nostrum è pari 450 miliardi, circa il 20% di quello globale. A influire maggiormente è il turismo che crea ben il 92% del Pml, mentre la pesca e l’acquacoltura insieme valgono soltanto il 2%.
Per il rapporto, questi beni fondamentali per 150 milioni di persone che vivono lungo le sue sponde sono sotto una costante pressione e la salute ecologica del mare, a causa dello sfruttamento, sta peggiorando. Negli ultimi 50 anni il Mediterraneo ha perso il 41% della popolazione dei mammiferi marini e il 34% della popolazione totale dei pesci, così come il 34% delle praterie di Posidonia. L’80% di tutte le popolazioni ittiche del bacino è minacciato dalla sovra-pesca.
Il turismo costiero produce il 52% dei rifiuti marini e delle spiagge. E come se non bastasse, il livello del mare entro il 2050 potrebbe salire di 25 centimetri.
«È un mare con una biodiversità incredibile – continua Danovaro – ma è minacciato da un mercato rapace e non sostenibile, dall’uso di pattumiera che ne facciamo ed è un catino che rischia di mutare per sempre a causa del riscaldamento globale. O riduciamo reti a strascico, scarichi, navi inquinanti e turbo soffianti e adottiamo politiche per un turismo sostenibile, riserve naturali e azioni di conservazione oltre al restauro dell’habitat marino, o non riusciremo a portare avanti una crescita economica e tecnologica che sia amica dell’ambiente» chiosa il ricercatore in linea con le stesse priorità sottolineate dal Wwf.
«Quando pensiamo al Mediterraneo ricordiamoci sempre una cosa: lì nuotano tutti i pesci che noi mangiamo, gli stessi che per osmosi assorbono tutto il nostro inquinamento».