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 2017  settembre 27 Mercoledì calendario

Vite nel fango ma da Oscar

Qbello che nel film A Ciambra scorre negli sguardi ostinati e poetici di Pio e dei suoi coetanei, alla Ciambra di Gioia Tauro torna degrado a perdita d’occhio. Il crudo “paesaggio” su cui si consumano le loro prime durissime prove, ridiventa solo fango, abbandono, carcasse, vie di collegamento senza asfalto. Polvere e basta, e strati di immondizia su cui galleggiano le vite del ghetto. Destini che nessuna Hollywood si sospetta possa cambiare.
È la verità dietro il cinema verità. Dove centosessanta ragazzini solo da quest’anno – se tutto andrà bene – capiranno cosa significhi andare (più o meno) regolarmente a scuola, sottoporsi a un prelievo, ricevere un libro. Dove il comune di ventimila abitanti è stato sciolto nel maggio scorso per condizionamenti mafiosi. Dove le casse sono in totale dissesto e i dipendenti si chiedono a ogni mese se arriverà lo stipendio. «Abbiamo appena cominciato, bisogna fare tantissimo. Ma siamo partiti», avverte il prefetto Michele Di Bari.
Nel quartiere protagonista dell’ultima opera di Jonas Carpignano – A Ciambra appunto, scelto ieri come candidato italiano all’Oscar, molto amato da Scorsese – le strade sono ancora nel buio totale perché manca l’illuminazione pubblica, e una strana quiete cala di giorno: sopra il crepitìo dei copertoni continuamente incendiati, sul rumore delle auto sfasciate dei manovali, sul rimbombo degli scooter dal motore “truccato” delle gang di minorenni. Alcuni tra i più “anziani”, per paradosso, finiscono ai domiciliari, dentro case che sono peggio di un carcere duro. Un silenzio che è un coma sociale, in questo rione senza scuola, senza sanità, senza cassonetti, senza fogne e senza parrocchia. Un pezzo d’Italia senza Italia insomma, con gli edifici abitati e quasi tutti sventrati dalle scale alle cantine, che sta alla periferia della periferia della Piana. E che qualcuno insiste a chiamare “quartiere rom”, mentre quei 1500 abitanti sono italiani e calabresi residenti con stabilità a tutti gli effetti: solo nipoti o pronipoti dei nomadi che, circa cinquant’anni fa, trovarono la loro definitiva dimora nell’ex fertile area regginao. «Un conto era sentirne parlare, appena arrivato a Reggio Calabria. Un altro è stato andarci, al quartiere Ciambra. E cominciare una complessa azione tra tutti gli uffici operativi», racconta il prefetto Di Bari, promotore da mesi, con la protezione civile regionale e la questura guidata da Raffaele Grassi, di una prima incessante attività di bonifica e assistenza. «Abbiamo portato via di lì decine di camion di rifiuti depositati negli anni a cielo aperto. Abbiamo rimesso in piedi il servizio di scuola bus, senza il quale i piccoli non andavano a scuola» continua Di Bari. «La commissione prefettizia sta facendo un lavoro costante, abbiamo coinvolto i funzionari dell’Asp, l’azienda sanitaria, e quella dell’ambiente per affrontare alla radice l’abc dell’emergenza sociale. E ora, già da mesi, i livelli di evasione scolastica sono stati abbattuti. Abbiamo rifatto le fogne, quasi totalmente, perché c’erano depositi di liquami ovunque, ora cominceremo l’analisi del rischio per gli edifici».
Il caso ha voluto che, a maggio, per qualche giorno, il pianeta della Croisette e l’ultimo gradino della Calabria contemporanea parlassero delle stesse persone. E mentre alla Quinzaine, il film di Carpignano conquistava pubblico e critica, a Roma si scioglieva Gioia Tauro per infiltrazioni di ‘ndrangheta, arrivavano i tre commissari, Franca Tancredi, Vito Turco e Berardino Nuovo. Anche l’Sos lanciato al capo dello Stato Sergio Mattarella da Antonio Marziale, oggi garante per l’Infanzia presso la Regione Calabria, ha aperto uno squarcio sul rione. «Volevo e voglio – dice Marziale – che lo Stato torni a fare lo Stato». C’era anche un prete, impegnato, che si era battuto per un container dove «fare catechismo, lettura, organizzare giochi». Poi il container è arrivato, non è mai stato aperto, i giochi sono rimasti le sigarette e i copertoni da bruciare, e quel sacerdote, don Antonio Scordo, è stato condannato anche in Cassazione per un’altra brutta storia: falso, in relazione alla violenza esercitata da una banda. A Ciambra, il film, ha fatto finora in Italia un modestissimo incasso, poche le sale a sostenerlo. Le illusioni soffocano nel rione, dove malgrado Scorsese e Hollywood, nessuno sembra mai salvarsi.