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 2017  settembre 27 Mercoledì calendario

Un tesoro da mille miliardi tra i fiordi. Il re dei fondi sovrani è norvegese

Qual è la differenza tra un italiano e un norvegese? Il primo nasce con un debito di 38 mila euro, il secondo con un credito di 161 mila euro. È uno «spread» che vale ben 199 mila euro. Nel nostro caso, 38 mila è il totale del debito pubblico diviso per il numero di italiani. A Oslo, invece, il «credito» è la quota pro capite del maxi fondo sovrano norvegese, che reinveste sui mercati finanziari una buona parte dei proventi del petrolio del Mare del Nord. Negli ultimi giorni il forziere scandinavo ha superato il tetto di mille miliardi di dollari (850 miliardi di euro): prima con un repentino picco «intraday» e poi, qualche giorno dopo, in una chiusura ufficiale di sessione borsistica. Dopo, tra alti e bassi, le quotazioni hanno continuato a viaggiare intorno al super numero.
Tutto è nato nel 1998, quando fu costituito il «Norges bank investment management», poi diventato il fondo sovrano più grande del mondo. Il greggio è stato sicuramente una grande fortuna finanziaria. Ma non è tutto frutto del petrolio e dei rialzi azionari. Per capire, basta andare ancora più indietro nel tempo, fino al 1973 e a una foto scattata allora su un autobus di Oslo. È l’anno della prima crisi petrolifera: le estrazioni nel Mare del Nord sono solo una frazione di quelle attuali e l’oro nero è ancora in gran parte un prodotto dei Paesi Opec. La fotografia in questione ritrae l’allora re Olav, tranquillamente seduto su un autobus, che mostra il biglietto al controllore. Dalle auto blu ai grandi numeri, la Norvegia risparmia e investe. Da decenni. Fino ai mille miliardi di questi giorni.
Del totale degli investimenti, il 65% sono azioni, dal «gettone» di 7,4 miliardi di dollari puntato su Apple ai 5,5 miliardi su Alphabet (Google). Un altro 32% è rappresentato da obbligazioni, mentre agli immobili restano le «noccioline», il 3% circa. Guardando il mappamondo, oltre 400 miliardi di dollari (il 42%) sono stati indirizzati verso il Nord America, dalle azioni quotate a Wall Street al debito delle grandi «corporation». È rimasto in Europa il 36% del forziere, mentre il 18% è «volato» in Asia. Rimane solo il 4%, quindi, per Sud America, Africa e Oceania.
Così, dalle piattaforme dell’oro nero alle aziende della Silicon Valley, i norvegesi nascono già muniti di un’ampia dote finanziaria. Che viene poi solo in piccola parte scalfita dal debito pubblico nazionale, uno dei più contenuti di tutto l’Occidente, in relazione al Prodotto interno lordo. Senza contare l’avanzo di bilancio che – forte dell’industria del greggio (rieccola) – vale sei volte tanto quello della solidissima Germania, se calcolato in termini percentuali sul Pil.
Sui fiordi non splende certo il sole della Costiera amalfitana e a Oslo, Bergen e Trondheim non ci sono i tesori artistici di Roma, Venezia e Firenze, ma quello spread di 199 mila euro tra il nostro debito pro capite e la loro quota «personale» del fondo sembra incolmabile. Tanto che il maxi investitore norvegese ha fatto shopping anche in Italia, con partecipazioni in Tim, Prysmian, Unicredit e Banco Bpm. Nel resto del mondo, invece – solo per citare qualche (altro) esempio – ha comprato pacchetti azionari di Nestlé, Microsoft, Novartis, Amazon e Roche. Secondo alcune stime, nel suo portafoglio c’è l’equivalente dell’1,3% delle grandi aziende mondiali. Così, tra investimenti azzeccati e biglietto verde in calo, è arrivato al valore «monstre» a 13 cifre in dollari.