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 2017  settembre 27 Mercoledì calendario

«Non serve un bilancio comune. Ora piani per il default dei deboli». Intervista a Jochen Andritzky

Jochen Andritzky è un uomo le cui parole meritano molta attenzione in Italia. Dal 2015 è segretario generale del Consiglio tedesco degli esperti economici, la fabbrica di idee del governo. Da lì viene la proposta che ormai è il trofeo al quale ambisce Berlino nei negoziati sugli assetti dell’euro: procedure «ordinate» di default per Paesi ad alto debito, se vanno in difficoltà. In primo luogo per l’Italia stessa.
Emmanuel Macron parla di uno strumento di bilancio dell’area euro «pari a vari punti di Pil». Che ne pensa?
«Lo spirito dell’Europa è sempre stato il progresso attraverso compromessi sensati. Piuttosto che per un grosso bilancio dell’area euro, i governi potrebbero impegnarsi per un migliore assetto di politiche di bilancio e monetarie. Uno strumento di bilancio non risolverebbe i problemi strutturali, per cui sono responsabili i governi nazionali».
Con quale obiettivo e chi decide quando un governo dovrebbe accettare di essere messo in default?
«Il Consiglio degli esperti economici ha presentato lo schema per un processo di ristrutturazione dei debiti sovrani come parte dei programmi del fondo salvataggi (Esm). Vogliamo aumentarne l’efficacia nel risolvere potenziali crisi. Se un Paese ha un debito troppo alto, i fondi dell’Esm sarebbero usati per soddisfare gli investitori, anziché per coprire i deficit di bilancio».
Dunque cosa bisognerebbe fare, secondo voi?
«Se un Paese si rivolge al fondo salvataggi per un prestito e il suo debito è oltre un certo livello, ai detentori dei bond sarebbe chiesto di condividere gli oneri allungando le scadenze dei titoli. E una volta divenuto chiaro se un Paese possa o meno finanziare i suoi oneri futuri, agli obbligazionisti sarebbe chiesto di concordare su una ristrutturazione del debito più profonda. Sarebbero loro a decidere in un voto a maggioranza, non l’Esm».
La Germania propose già lo stesso nel 2010 con effetti disastrosi: gli spread degli altri Paesi esplosero per il timore del default «ordinato», si creò una spirale perversa.
«Abbiamo studiato attentamente la questione. Non è chiaro che la riforma che proponiamo sia diversa dall’assetto attuale. Inoltre, la nostra proposta prevede di introdurre i meccanismi di ristrutturazione del debito molto gradualmente nel tempo. Può essere fatto molto gradualmente. Questo lascia tempo per fare riforme e migliorare la crescita e la sostenibilità del debito. In questo modo non diamo modo ai mercati di passare da un equilibrio positivo a uno negativo all’improvviso. Nessuno vuole che torni la crisi».
La vostra idea sembra il contrario del «whatever it takes» di Mario Draghi nel 2012. Quello rassicurò i mercati, permise agli spread di scendere e ai Paesi di riprendersi. Questa sembra mirare all’obiettivo opposto.
«La sua descrizione non è corretta. La Bce creò il suo programma di interventi (Omt) perché lavorasse in sincronia con il fondo salvataggi Esm. L’Omt non può funzionare da solo, non ha mai potuto».
Chiedete anche che i titoli di Stati come l’Italia nei bilanci delle banche non siano più considerati a rischio zero. Come dovrebbe accadere?
«Una lezione della crisi è che uno stretto legame fra le banche e gli Stati è pericoloso. Se ci sono problemi nelle banche, possono trasmettersi al governo e viceversa».
Dunque cosa proponete?
«Le regole attuali trattano il debito pubblico come privo di rischio. Ciò rende più attraente per le banche prestare ai governi piuttosto che alle imprese o alle famiglie. E spesso al governo del loro Paese, mentre sarebbe meglio diversificare. Per rimuovere questa distorsione, il Consiglio tedesco degli esperti ha proposto limiti all’esposizione in titoli sovrani basati sul rischio e requisiti di capitale adeguati al rischio».
Tutte le banche e le economie hanno bisogno di attivi privi di rischio. Dato che manca un eurobond, proponete che sia il Bund tedesco?
«Niente affatto. C’è un’ampia riserva di attivi a basso rischio che servono le esigenze del sistema finanziario».