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 2017  settembre 26 Martedì calendario

Lo Stato ci sta fregando. Sottratti due miliardi dai fondi dell’8 per mille

Cosa direste al prete della parrocchia se dei 10 euro che mettete la domenica nel bussolotto delle offerte per i poveri, ben 7 euro finissero in pastarelle e prosecco? Forse la cosa potrebbe non risultarvi troppo gradita. 
Ebbene, a ben guardare, lo Stato negli ultimi 20 anni delle nostre offerte laiche per iniziative benefiche e culturali se ne è pappato oltre il 70%. Dal 1990 in poi Pantalone con il famoso “8 per mille” ha raggranellato la bellezza complessiva di 2,9 miliardi di euro. Ma tra la Prima e la Seconda Repubblica soltanto 870 milioni sono andati per iniziative di sostegno al patrimonio culturale, per l’edilizia scolastica o in beneficenza. Oltre 2 miliardi sono stati utilizzati da tutti i governi, di tutti i colori, per rabberciare di anno in anno i conti pubblici in barba ai dettami della legge (n ̊ 222 del 1985, ma in vigore con l’anno di imposta 1990).
Di emergenza in emergenza della generosità laica dei contribuenti c’è rimasto ben poco. Nel solo 2016 ultimi anno fiscalmente censito, come riporta Il Sole 24 Ore di ieri i contribuenti italiani hanno apposto la firma nella dichiarazione dei redditi cedendo complessivamente 187 milioni. Peccato che solo 41 siano effettivamente stati destinati alle iniziative previste dalla legge. Nel 2015 era andata assi peggio: soltanto 8 milioni dei 195 raccolti con l’8 per mille sono stati effettivamente destinati alle iniziative previste dalla legge istitutiva sul prelievo di competenza statale.

Proprio in questo scampolo di fine legislatura il Parlamento sta esaminando i decreti di ripartizione della quota relativa al 2016, «che si riferisce alle scelte effettuate dai contribuenti nella dichiarazione dei redditi 2013 (dunque, anno di imposta 2012)», puntualizza il quotidiano di Confindustria. E la ripartizione assegna briciole (in media 8 milioni per capitolo di spesa), ingoiando oltre i due terzi del malloppo. 
Insomma, lo Stato fa la cresta pure sulle donazioni degli italiani, dirottando sul finalità diverse i quattrini “donati” dagli italiani in sede di dichiarazione dei redditi. E per i previsti cinque settori di intervento individuati dalla legge (salvaguardia dei beni culturali, difesa dalle calamità naturali, assistenza ai rifugiati, lotta alla fame nel mondo e il mantenimento in buono stato dellle scuole) rimangono se va bene le briciole. Poco più di 8 milioni. Solo considerando lo stato disastrato delle nostre scuole, l’abbandono in cui versano monumenti di valore storico c’è da farsi venire il sangue alla testa. 
Il paradosso è che poi i governo vanno a supplicare a Bruxelles miliardi di sconti (oltre 3 nel 2016, 3,5 nel 2017), per gli interventi a favore dei rifugiati. Salvo poi attingere anche a questo capitolo di entrate per sistemare un equilibrio contabile. 
Va bene adoperare i fondi per terremoti e disastri naturali (ma non raccontatelo ad Amatrice e dintorni che stanno ancora aspettando le donazioni private degli SMS), ma poi in oltre 20 anni lo Stato non è mai riuscito ad utilizzare il budget delle donazioni laiche per fini sociali. 
Secondo i conteggi realizzati dal quotidiano finanziario a tutt’oggi su 2,9 miliardi di euro destinati dai cittadini allo Stato sono solo 870 quelli effettivamente impegnati per le cinque finalità previste. 
Per ovviare a questa cattiva abitudine di uno Stato furbacchione nel 2016 (legge 163), la riforma della contabilità statale, ha sì introdotto «il divieto di utilizzare l’8 per mille dello Stato a copertura di leggi che comportano maggiori spese o minori entrate». Peccato che per alcuni interventi permanenti sia previsto che si continui ad attingere da questo salvadanaio: e così giusto nel 2016 (187 milioni raccolti), 64 milioni sono stati utilizzati per pagare il kerosene dei Canadair della Protezione civile, 35 per ripianare il debito pubblico, 12 per gli assegni familiari. 
Se facciamo la carità vorremmo avere la certezza che il nostro obolo arrivi all’indigente. Non che venga fagocitato nel calderone della spesa pubblica corrente. Ma forse si tratta solo di una nuova tassa mascherata, facendo leva sul buon cuore degli italiani onesti. Non certo sulla furbizia dei burocrati che se ne appropriano.