Libero, 25 settembre 2017
«Forza Italia? Quasi quasi fondiamo un altro partito». Intervista a Paolo Romani
Visto con gli occhi del presidente dei senatori di Forza Italia, Paolo Romani, il centrodestra appare come una grande famiglia eterogenea in cui la disunione fa la forza. «Non c’è bisogno di nessun listone, sia che le cose restino come sono, sia che si riesca a fare, come spero, questa legge elettorale che spinge alle coalizioni» sentenzia l’ospite d’onore, con Matteo Salvini, di Atreju, casa Meloni, intercettato in quello che di fatto è diventato il primo appuntamento pre-elettorale con tutti i rappresentanti delle anime, animelle comprese, di uno schieramento ipotetico che va da Fratelli d’Italia a Stefano Parisi.
Presidente, come sta il centrodestra? L’impressione è che la domanda e l’elettorato ci siano ma quanto a offerta politica dominino frammentazione e confusione.
«Sì, l’elettorato è vivo e compatto, lo si è visto in tutte le recenti elezioni amministrative e non fa troppe distinzioni: se la coalizione dà un’idea generale di compattezza la votano e le diversità diventano solo un valore aggiunto. D’altronde, fin dai tempi del ribaltone di Bossi, l’alleanza di centrodestra non è mai stata organica. Figurarsi oggi, che molte forze hanno cambiato leader e non siamo più abituati a stare insieme. Al di là degli accenti, però, contano i contenuti e quelli ci sono».
Quando si andrà al voto Forza Italia ci sarà ancora o Berlusconi fonderà un nuovo partito, magari il Partito della Rivoluzione, aggregandovi intorno il movimento animalista della Brambilla, i repubblicani sovrani della Santanchè, Rinascimento di Sgarbi e Tremonti e pure Energie per l’Italia di Parisi?
«Forza Italia oggi, come tutti i partiti, pur essendo più debole e destrutturata di un tempo, con Berlusconi leader può essere polo di attrazione e di aggregazione di tutti coloro che si riconoscono nel centrodestra. Tutta la politica è attraversata da un processo di frammentazione e i vecchi riferimenti simbolici stanno venendo meno. Oggi è più facile fondare un nuovo partito. Aspettiamo di vedere cosa accadrà con il voto in Sicilia, il 5 novembre. L’isola è da sempre un laboratorio politico e il centrodestra si presenta alle urne con tutti i suoi satelliti riaggregati e un vantaggio inaspettato».
Tra i satelliti i centristi ci sono ancora?
«Bisogna stare attenti a non rieditare il vecchio intorno al nuovo, altrimenti si diventa scarsamente riconoscibili e si dà l’idea di riproporre e moltiplicare il passato. Certo, sarebbe un peccato rinunciare a simboli storici come l’Udc. Siamo ai lavori in corso...».
È reale il riavvicinamento tra Berlusconi e Verdini?
«Credo che Verdini abbia chiuso la propria parabola in Forza Italia».
Lei è consapevole che se il 5 dicembre fosse passato il referendum di Renzi a primavera il centrodestra governerebbe da solo senza problemi?
«Con quel voto è stato sconfitto il renzismo non una semplice legge. Quella riforma garantiva la governabilità, ma al prezzo della dittatura di una presunta maggioranza che in realtà non esisteva».
Parliamo di programma: il centrodestra può trovare una sintesi?
«I valori generali mi sembrano condivisi».
La Lega ha fatto un passo indietro sull’antieuropeismo e Forza Italia uno avanti sullo stop agli immigrati: la quadra è questa?
«Condivido il ragionamento sulla Lega, ma quanto agli immigrati devo rivendicare che Forza Italia è da sempre in prima linea contro quella che Salvini chiama “l’invasione”. Il dispositivo votato in Parlamento con cui si autorizza la missione dell’Italia in Libia per frenare i flussi sul posto nasce da una nostra iniziativa».
Giorgia Meloni ha accusato il centrodestra di non voler vincere...
«Non la capisco. Ho l’impressione che i partiti di centrodestra siano in competizione tra loro e ciascuno cerchi di trovarsi il proprio spazio alzando la voce. La Lega lo fa alzando i toni, noi puntando sulla responsabilità, Fdi sui valori della destra. Mi va bene, il riferimento vincente è quello del 1994, dove Forza Italia riuscì a mettere insieme la Lega secessionista e An».
Ritiene che la Lega sia ingenerosa oggi con Bossi?
«Francamente un po’ sì, Bossi appartiene al Pantheon del Carroccio, occhio a metterlo in discussione, ha il merito storico di essere stato il primo a dare voce alla protesta del Nord. Si deve anche a lui la nascita del centrodestra, che prima non esisteva in natura. Certo, ha dato alla Lega quel timbro nordista che adesso impedisce al partito di crescere in Meridione; attenti però a voltare le spalle ai brand vincenti: togliere la parola Nord dal simbolo non ti aiuta a vincere al Sud».
Perché Forza Italia non si sta spendendo per i referendum autonomisti di Lombardia e Veneto?
«Ma non è vero. Il 14 ottobre faremo una manifestazione. La battaglia per l’indipendenza è morta ma io sono convinto che i referendum siano giusti: le regioni virtuose devono avere più poteri nella trattativa con il governo per l’utilizzo del denaro che arriva dalle tasse che pagano. Questo non è in contraddizione con i doveri di solidarietà nazionale, anzi...».
Renzi e compagni sostengono che il referendum non serve perché è solo consultivo...
«Ma lo era pure quello sulla Brexit. La politica è fatta anche di simboli, ci sono voti che hanno una portata storica e non si possono ignorare».
A proposito di simboli: la Merkel è il simbolo dell’Europa burocratica che ci opprime: i recenti attestati di stima del Ppe a Berlusconi sono una buona notizia per l’Italia?
«La Merkel è il vero capo del Ppe. Ma è anche vero che la sua azione di governo è rivolta soprattutto alla Germania, che è un problema per l’Italia, visto che abbiamo interessi economici concorrenti. Il problema è nostro, dobbiamo metterci in condizioni di difenderci a livello europeo e internazionale, e puoi farlo solo con una classe politica preparata e attenta, non come la Mogherini, che rappresenta l’Europa mettendosi il velo, non richiesto, in Iran. Lei ha mai visto la Merkel con il velo? Quello è stato il nostro tallone d’Achille a Bruxelles, oggi non puoi più battere la scarpa sul tavolo come fece Kruscev all’Onu e pensare che per questo ti ascoltino».
Come dire che Renzi ha sbagliato tutto?
«Ho l’impressione che, al netto dell’iniziale entusiasmo verso Renzi che avevamo tutti, la Merkel abbia presto battezzato il nostro ex premier come il solito italiano pasticcione e inaffidabile e, per dirla con Plutarco, oggi preferisca la saggezza degli anziani all’entusiasmo dei giovani».
Ma quei sorrisetti al vertice di Cannes, Berlusconi come fa a perdonarli alla Cancelliera?
«Guardi che lì il cattivo era Sarkozy, lei in queste situazioni si imbarazza sempre e abbozza, come fece quando Trump si rifiutò di darle la mano».
Come immagina in futuro il rapporto tra Italia e Ue?
«Troppi governi hanno fatto confusione. Per primo Monti, che si è piegato allo slogan tedesco dei compiti a casa distruggendo il Paese. Ci siamo pentiti di averlo appoggiato, ora è il momento di concentrarsi sul riscatto degli interessi italiani in Europa».
La proposta berlusconiana della doppia moneta è ancora in piedi?
«Ancora in piedi c’è il problema dell’euro, che privilegia la Germania a danno nostro. È un dato di fatto che le regole economiche dell’Europa non valgono per tutti allo stesso modo e che se non ci fosse stato Draghi la moneta unica sarebbe esplosa».
Discorso sovranista?
«La politica muscolare non è quella degli slogan sovranisti ma quella che ottiene risultati con la mediazione».
A proposito di sovranisti: Putin è un fattore destabilizzante o di stabilità?
«La seconda. In Ucraina e Crimea ha molte più ragioni che torti: la prima è stato teatro di un golpe contro un presidente vicino a Mosca legittimamente eletto, la seconda è una regione russa. È grazie a Putin se oggi la Siria non è nelle mani dell’Isis. Assad guidava e guida un regime ma rispettoso di etnie e religioni».
Siria uguale profughi: l’immigrazione è l’emergenza numero uno per l’Italia?
«La sinistra ha capito il fenomeno con straordinario ritardo. Ha confuso profughi e migranti economici e, succube di certi ambienti cattolici e delle frange più estreme del suo elettorato, voleva convincere gli italiani della necessità di accogliere tutti. Se non fosse intervenuto Minniti a fermare gli sbarchi, sotto il pressing dell’opposizione, la sinistra sarebbe stata già spazzata via dall’indignazione popolare».
Ius soli, immigrati, ora la minaccia di una patrimoniale: pare che il Pd faccia di tutto per perdere le prossime elezioni?
«Lo ius soli è il suicidio del Pd. Quanto al futuro di Renzi, se i Dem in Sicilia andranno incontro al disastro elettorale che si annuncia, nel partito cominceranno a volare i coltelli».
Lei ha svolto un ruolo di raccordo tra Forza Italia e il Pd: cosa l’ha delusa di più dei Dem e di Renzi?
«Ormai è difficile riconoscere un’identità del Pd, qualcosa che ne rappresenti la sintesi, il problema è quello. La vocazione riformista di Renzi sembrava autentica ma poi si è trasformata in una campagna referendaria presuntuosa e attaccabrighe che ha messo il segretario Pd di fronte ai suoi due grandi difetti, l’immensa presunzione a fronte di risultati scarsi, e lì si è rotto il feeling con i cittadini».
Decisiva nella rottura del rapporto di fiducia è stata anche la vicenda delle banche?
«Certo, consigliare a tutti di comprare azioni Mps prima del loro crollo definitivo è imperdonabile. Come far partire la commissione d’inchiesta in ritardo e fare adesso melina sui suoi componenti così che non porti a nulla prima del voto. Se poi aggiungiamo Banca Etruria, Mps e le altre banche...».
Cionondimeno se non ci saranno, come sembra probabile, i numeri per un governo di centrodestra, Forza Italia sarebbe pronta a tornare a governare con il Pd?
«Questo progetto di riforma elettorale spinge a coalizzarsi e il centrodestra ha possibilità di vittoria. Se il Pd non tradirà ancora il suo segretario, la norma stavolta può passare perché a differenza di qualche mese fa, non c’è più la paura del voto immediato ad affossarla. Delle possibili alleanze, parliamone a risultati chiari. Facciamo come in Germania: ognuno ha fatto la propria campagna elettorale senza pensare ad alleanze future».
D’accordo, ma Forza Italia con il suo potenziale 15% cosa ci fa?
«Quando parlo, io mi rivolgo a tutto l’elettorato, che oggi è molto mobile. Molti voti di Forza Italia sono finiti nell’astensionismo e sono recuperabili».
La Meloni per la coalizione propone un patto anti-inciucio...
«Ad impossibilia, nemo tenetur: la mia preoccupazione è dare un governo al Paese. Spero che il prossimo sia un esecutivo politico e di coalizione, perché con i tecnici abbiamo già dato e ci è costato caro. Quanto alle grandi coalizioni, abbiamo avuto brutte esperienze con il Nazareno: funzionano se vengono rispettati l’equilibrio nei rapporti di forza e la parola data».
La nuova legge elettorale è una grande coalizione per precludere a M5S ogni possibilità di governo?
«Così dicono loro. Io rispondo che Mattarella ci ha chiesto un sistema elettorale efficace e norme omogenee per Camera e Senato e che per questo non bastano dei ritocchi, perché le due leggi prevedono meccanismi incompatibili tra loro».
Perché avete tutti paura di M5S?
«Mi preoccupa una classe dirigente selezionata con una piattaforma internet che si sostituisce a un partito».
Non è che Forza Italia e Pd abbiano sempre selezionato i propri parlamentari con criteri ineccepibili...
«Ma non con meccanismi oscuri. In politica vige la vecchia legge che se non sei capace non ti rivotano. E la classe dirigente di M5S vince per distanza la gara dell’incompetenza».