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 2017  settembre 23 Sabato calendario

Dimmi cosa bevi e ti dirò quale scrittore ami

A chi dice che l’autunno è triste si può ribattere, con eleganza e spocchia letterarie, che “la vendemmia è l’ultima allegria dell’anno”: l’ha scritto quell’allegrone di Cesare Pavese ne La luna e i falò, ma tanti sono i personaggi romanzeschi dediti ai piaceri di Bacco, personaggi creati dalla penna di altrettanti illustri sbevazzoni.
Che di triste in autunno ci può essere solo la sbronza lo sapeva quel godereccio di Alexandre Dumas (padre), autore, tra l’altro di un Grande dizionario di cucina: i suoi Tre moschettieri combattono (anche) contro i vinacci contraffatti e se la prendono con il vino d’Anjou e “l’orribile vinello di Montreuil, terrore dei palati degli intenditori”. Viceversa, nel Conte di Montecristo scorrono litri di alcol pregiato: Xeres; Montepulciano; Bordeaux; Porto; Alicante; vino di Malaga, di Cassis, di Cahors, di Orvieto, di Spagna, di Chio e di Cipro – lo stesso vino di Cipro che il Marchese, spasimante della Locandiera, offre al suo rivale in amore, spacciando per Doc una mescita davvero disgustosa.
Non solo in Goldoni il vino è strumento di raggiri ed esca per babbei: il noto scemotto Renzo Tramaglino in osteria si ubriaca di “vino sincero”, parla a vanvera con una spia e finisce pure in manette. Molto più scaltro di lui è il Don Giovanni di Da Ponte-Mozart, che brinda con un “eccellente marzemino”, un bianco italianissimo, trentino soprattutto, le cui uve maturano proprio a fine settembre. Il milanese Carlo Porta preferisce invece stare “alegher” con “del vin negher”, mentre il quasi conterraneo Parini canta i “licor lieti di Francesi colli/ e d’Ispani e di Toschi o l’Ungarese / bottiglia”.
La vendemmia letteraria nostrana è particolarmente ricca: Gabriele D’Annunzio, o meglio Andrea Sperelli, ama il “vieux cognac e il vin ghiacciato di Sciampagna”; i personaggetti di Verga spasimano per il “buon vino di Mascali”; ne La pelle di Malaparte si beve il Lacryma Christi, un vino vesuviano, “sacro, antico”; Svevo opta per il Vino generoso, sin nel titolo di un suo racconto: “Gli altri si dedicavano allo champagne, ma io ero ritornato al vino da pasto comune, un vino istriano secco e sincero… Io l’amavo quel vino, come si amano i ricordi e non diffidavo di esso”.
Il meno anonimo degli alcolisti, Ernest Hemingway, nel saggio Morte nel pomeriggio si sofferma a lungo su vitigni ed etichette, dal suo fegato più o meno tollerati: “Io preferirei avere un palato che mi dia la gioia di godere pienamente un Château Margaux o un Haut Brion (anche se gli eccessi a cui mi sono abbandonato non mi consentono di bere Richelbourg o Corton o Chambertin) piuttosto che avere i ferrei intestini della mia fanciullezza quando tutti i vini rossi mi riuscivano amari tranne il Porto… La maggior parte della gente all’inizio preferisce uve dolci, Sauternes, Graves, Barsac e vini frizzanti, come champagne non troppo secco e Borgogna frizzante, mentre più tardi li darebbe tutti per un campione leggero di Grand Crus di Médoc, anche se è in bottiglia semplice, senz’etichetta, polvere né ragnatele”.
Se Don Chisciotte sguazza in otri di vino rosso, i Demoni pasteggiano a champagne e Bordeaux e Anna Karenina e soci trincano vino di Crimea, del Reno e di Borgogna; Cachet blanc; Nuits; Xeres. Del Barone di Münchhausen si ricorda il mitico Tocai, mentre del clown di Böll l’ebbrezza livorosa a sorsi di grappa. Houellebecq fa bere ai suoi personaggi Chablis, mentre la Sagan li ubriaca di Beaujolais.
Alla voce bollicine spiccano la “cena artistica” di Bernhard, a base di champagne e luccioperca, i fiumi di Cristal di Capote sulla Côte Basque, il Dom Pérignon annata 1946 (et al.) di James Bond. Tra i più incalliti bevitori ci sono detective, poliziotti, investigatori e affini: il Montalbano di Camilleri, per dire, ama il Corvo bianco, il Nero d’Avola, il Cerasuolo di Vittoria, il Passito di Pantelleria e il Marsala.
Poirot si trova a risolvere un caso di cianuro versato nello champagne – che spreco. Di veleno –, mentre Nero Wolfe si fa di Cordon Rouge, Borgogna e “champagne di sole uve Pinot Meunier”. Pressoché sterminata è la lista dei vini di Maigret, che, in generale, predilige Beaujolais, Chateneuf de Pape, Rosé di Provenza, Sancerre, Chianti, Bourgueil e Pastis, ma non disdegna il Pernod, il vino della Loira e il Vin des Moines: “Non è peggio del vino che una volta si vendeva sfuso. Una miscela di vino algerino e di vari vini del Midi”.
Altro palato francese è il vicecommissario di Fred Vargas, quel Danglard che “si fida della riflessione e crede nelle risorse del vino bianco”. Sulla “riflessione” avrebbe da aggiungere qualcosa Kant, che nella Critica del Giudizio cita il vino delle Canarie per definire il “piacevole” di contro al “bello”. Ma fermiamoci qui: scadere dal vino alla filosofia è facilissimo.
di Camilla Tagliabue