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 2017  settembre 23 Sabato calendario

Copertoni, barche e lavatrici. I rifiuti nei canali di Venezia

ROMA «Le lavatrici si vedono nitidamente. Di copertoni ne abbiamo contati 5mila». E ancora, barche affondate, container, elettrodomestici vari, segni di una pesca a strascico che in teoria è severamente vietata. Fabio Trincardi, direttore del Dipartimento Scienze del sistema terra e tecnologie per l’ambiente (Dta) del Cnr, aveva avviato nel 2013 una missione per scandagliare la Venezia sommersa quasi per curiosità. «Volevamo conoscere il fondale, visto che l’ultima mappa risaliva al 2002 e oggi abbiamo strumenti molto migliori».
Il fondale, in realtà, il loro ecoscandaglio multifascio l’ha visto solo in parte. Il resto è coperto da uno strato di rifiuti che si accumulano dai tempi dei romani (non mancano anfore e resti di navi antiche affondate). Ma non meno preoccupante della spazzatura è stata un’altra osservazione: l’erosione ha già iniziato a intaccare il Mose. La barriera frangiflutti (chiamata lunata) della bocca di porto di Chioggia, a sud, doveva proteggere le paratie mobili dall’impatto diretto della marea. È invece ai fianchi di questa lunata che la corrente sta lavorando pesantemente. «L’impatto sulle strutture che poggiano sul fondale è già visibile. Larghe zone di erosione si sono formate alle estremità delle barriere realizzate tra il 2006 e il 2011 all’interno del progetto del Mose» scrivono i ricercatori del Cnr e dell’Istituto Idrografico della Marina nel loro studio su Nature Scientific Data. «È normale che le correnti accelerino e creino dei vortici alle estremità di una barriera» spiega Trincardi. «Il problema è che il Mose è stato progettato in assenza di informazioni sulla morfologia del fondale. Speriamo che i nostri dati, pubblici e gratuiti, offrano un punto di riferimento per studiare l’evoluzione futura dei fondali, che dovrà essere seguita con molta attenzione». L’acqua, a giudicare dai colori della batimetria, ha scavato quasi un metro di fondale all’anno.
Un altro punto delicato è la bocca di porto di Malamocco, quella centrale. «Qui le immagini mostrano l’alloggiamento delle paratie mobili, fortificato con dei massi. Ma l’erosione ha già iniziato a intaccare queste protezioni» spiega Fantina Madricardo, ricercatrice dell’Istituto di Scienze Marine (il vecchio nome del Dta) del Cnr. A pochi metri dalla paratia del Mose, verso l’interno, l’ecoscandaglio del Cnr ha misurato la profondità della “Fossa delle ceppe”: 49 metri in una zona dove la media è di una ventina. «Il Mose qui non c’entra» spiega Trincardi. «L’erosione circonda un molo costruito un secolo fa. Ma questo è l’effetto che le strutture artificiali potrebbero avere nel lungo periodo sui fondali». Lo scavo del Canale dei petroli, alla fine degli anni ‘60, ha offerto alle petroliere una rotta diritta al posto di una serie di canali tortuosi. «E questo notoriamente accelera correnti ed erosione» spiega il geologo del Cnr. Essendo da sempre, in Laguna, maggiore la corrente in uscita rispetto a quella in entrata, più la terra viene erosa, maggiore è la quantità di sedimenti trasportata verso il mare. «Ecco perché con il tempo la laguna tende a diventare sempre più profonda» spiega Trincardi.
In sette mesi, grazie al lavoro di 30 ricercatori, l’ecoscandaglio montato sulla chiglia di Litus, il motoscafo di 10 metri del Cnr, ha percorso 2.500 chilometri in lungo e in largo, tra la laguna e i canali di Venezia. A differenza degli strumenti del passato, capaci di osservare il fondale solo in verticale, i nuovi apparecchi inviano fino a 800 fasci, sia in basso che in diagonale. «Possiamo ricostruire il fondale con una risoluzione di 20 centimetri – spiega Trincardi – e con un’estensione laterale pari a dieci volte la profondità».