la Repubblica, 23 settembre 2017
Londra ferma Uber per motivi di sicurezza e di salute pubblica
LONDRA La notizia provoca un terremoto di messaggini, soprattutto fra adolescenti. «OMG (Oh My God, ndr.), adesso come tornerò a casa dai party?», si disperano le ragazzine di Londra davanti al calendario di feste da qui ad Halloween di colpo carico di incognite. Senza Uber, per loro ma non solo, cambia tutto. La decisione di Transport for London (Tfl) di non rinnovare la licenza alla app dei taxi a buon mercato suscita perciò il panico in una delle sue capitali globali: forse soltanto a New York l’azienda fondata nel 2010 a San Francisco ha un giro d’affari superiore. Dal 30 settembre, a meno che il ricorso già inoltrato sia accolto, sotto il Big ben cesserà di esistere. Ma c’è anche chi gioisce, dal sindaco al sindacato.
«Salute pubblica e implicazioni di sicurezza» sono le ragioni citate dall’agenzia che regolamenta i trasporti nella capitale britannica. Di più, il comunicato ufficiale non dice. Non serve: qui le accuse nei confronti di Uber sono note da tempo. Con i suoi 40 mila autisti part-time ha fatto aumentare il traffico, sebbene sembri esagerato addossare a loro una congestione endemica. Più verosimile l’accusa di sfruttamento e condizioni di lavoro inaccettabili per gli autisti in questione, avanzata più volte dalle associazioni di categoria rivali, seppure soltanto una minoranza dei tassisti in questione si lamenti: tra avere un lavoro da schiavi dell’era digitale e non avere la possibilità di farlo, la maggioranza sembra preferire la prima opzione. La denuncia più grave si legge nei volantini appiccicati ai muri di tutta la città: «Attente, ragazze, il vostro prossimo viaggio potrebbe finire così» e sotto la riproduzione di un articolo di giornale su una 17enne stuprata da un autista di Uber. Ma cifre esatte sul numero di questi casi non ce ne sono e a sporgere denuncia sono soprattutto i “black cab”, gli autisti dei classici taxi neri londinesi, i più colpiti dalla rivoluzione “uberiana”.
Le autorità non hanno dubbi. «Sostengo pienamente la decisione di non rinnovare la licenza a Uber», afferma il popolare sindaco laburista Sadiq Khan, «sarebbe sbagliato permettere la circolazione di queste auto se pongono una minaccia alla sicurezza di Londra, le regole vanno rispettate da tutti». Ancora più duro Steven Mcnamara, segretario generale della Taxi Drivers Associations: «Non c’è posto per questa compagnia immorale nelle strade di Londra». Non tutti però gioiscono. «Questa sarà vista come una scelta retrograda da milioni di londinesi e di visitatori», osserva David Lean, direttore della lobby London First, «Londra deve essere aperta all’innovazione».
Di sicuro c’è che 3 milioni e mezzo di clienti non sanno più come si sposteranno. La metropolitana è cara, soltanto nel fine settimana funziona 24 ore ed è rischiosa, come indica il recente attentato. I taxi tradizionali costano il doppio: per questo Uber è il mezzo preferito dei giovanissimi. «Mia figlia è distrutta», si lamenta una mamma. E che faranno ora i suoi 40 mila autisti? I più attivi guadagnano 800 sterline la settimana con 60 ore di lavoro. Ma Uber non prevede ferie pagate o malattia e ha aumentato la sua commissione dal 20 al 25 per cento. L’amara conclusione è che, nell’era della rivoluzione digitale, un lavoro senza diritti è spesso l’unico lavoro possibile.