Corriere della Sera, 23 settembre 2017
Le violenze calano ma non abbastanza. «Denunciare subito»
È un primo passo ma ancora non basta. A dispetto della percezione falsata dai casi di cronaca delle ultime settimane, dall’1 gennaio al 15 settembre di quest’anno il ministero dell’Interno ha registrato 163 violenze sessuali in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Erano 2.936, sono 2.855. Ma su questo fronte la cattiva notizia è che fra i reati di genere – chiamiamoli così – gli stupri in percentuale diminuiscono decisamente meno di tutti gli altri: -2,25%.
E invece (sempre nei dati a confronto fra questi primi otto mesi e mezzo e gli stessi del 2016) calano vistosamente i femminicidi. Il 15 di settembre di un anno fa le donne uccise (da gennaio) per mano di fidanzati, mariti, spasimanti o amanti erano 80, oggi l’elenco conta 59 nomi, e cioè 21 in meno: una diminuzione del 26,25%.
E ancora: il confronto con il 2016 ci dice che i casi di stalking sono scesi del 18,61%, i maltrattamenti del 12,71%, le percosse del 7,81. Le violenze sono in fondo alla lista con quel 2,25% in meno che vuol dire (se l’andamento sarà mantenuto) arrivare a fine anno con circa 4.000 casi: una enormità, anche se a conti fatti sarebbero oltre 250 in meno rispetto al 2014, anno nero per gli abusi sessuali.
La querela e i tempiI fatti recenti di cronaca – dalle violenze di Rimini a quelle di Firenze, da Noemi uccisa dall’ex fidanzato a Nicolina ammazzata dall’ex di sua madre – hanno messo a fuoco forse più di sempre l’importanza del fattore tempo. Inteso sia come tempo di reazione della vittima sia come tempo di intervento di forze di polizia, magistrati, medici, assistenti sociali, centri antiviolenza. Per dirla con Rita Fabbretti, dirigente della sezione reati contro minori e reati sessuali della questura di Milano, «è fondamentale intervenire subito ed è importantissima la tempestività della denuncia, sia per le indagini sia per aiutare le vittime, anche dal punto di vista psicologico».
Mai dimenticare che i casi di maltrattamenti, lesioni e stalking sono spesso sentinelle d’allarme per il femminicidio. E la differenza fra la vita e la morte passa quasi sempre dagli uffici delle procure. Perché ci ritroviamo così di frequente davanti a storie di donne che avevano chiesto aiuto e che però non si sono salvate?
Le misureLa risposta parte da una premessa: la Giustizia e il sistema di intervento delle forze dell’ordine si muovono a rallentatore rispetto alle decisioni che in alcune situazioni sarebbe necessario prendere immediatamente. L’esempio ultimo è il caso di Noemi, la 15enne uccisa dal fidanzato vicino Lecce. La madre di lei lo aveva denunciato a maggio ma quel documento è arrivato in procura a luglio, con la posta ordinaria. Dopodiché niente si è comunque mosso. «La verità è che così non funziona» ammette Fabio Roia, magistrato che dal 1991 si occupa di questi argomenti. «Le denunce per questo tipo di reato devono diventare priorità, essere affrontate immediatamente, da professionisti: bisogna sentire le vittime, i testi, studiare il contesto, valutare il rischio. Subito». La vittima può chiedere al questore l’ammonimento del suo stalker. I dati disponibili più recenti dicono che in quel caso quasi l’80% degli ammoniti si ravvede. Se trasgredisce scatta l’arresto, misura prevista anche per lo stalker colto in flagranza. Fino a poco tempo fa la querela per atti persecutori era revocabile soltanto davanti al giudice. Oggi, dopo una recente sentenza della Cassazione, la revoca è possibile anche davanti alle forze di polizia: qualcuno, insomma, che possa verificare che la vittima non agisca sotto ricatto o minaccia del suo persecutore.
Valutazione del rischioLa difficoltà più grande nei casi di violenza domestica è valutare il rischio che corrono le vittime. La polizia utilizza Eva, un protocollo ideato dalla dirigente delle volanti di Milano, Maria José Falcicchia, e adottato (da febbraio di quest’anno) in tutt’Italia: scheda tutte le liti e i maltrattamenti in famiglia in un database e rende immediato il recupero dei dati in caso di intervento. Uno strumento utile se si pensa che alla seconda volta è previsto l’arresto.
I carabinieri usano una procedura diversa che ha però lo stesso obiettivo: capire se un caso di lesioni o percosse o una semplice lite in famiglia può diventare un reato più grave. Il piano nazionale antiviolenza scaduto a giugno prevedeva l’utilizzo di un altro protocollo, il Sara plus, messo a punto dalla psicologa e criminologa Anna Costanza Baldry. Tante procedure portano però a dati non omogenei mentre «sarebbe fondamentale che fossero uguali per tutti» dice Rita Fabbretti. Sperando che lo diventino con il nuovo piano antiviolenza.