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 2017  settembre 25 Lunedì calendario

«Tycoon» cinesi dai piedi d’argilla

Giganti dai piedi d’argilla. Sempre più tycoon cinesi, espressione dell’imprenditoria privata di successo, vacillano sotto i colpi di un’offensiva senza uguali al potere economico accumulato in questi anni. La Cina, a vario titolo, chiede il conto del loro operato: le banche chiudono i cordoni della borsa, le autorità spingono a ripianare i debiti corporate.
Diventati grandi anche grazie alle loro guanxi (relazioni amicali), al boom economico e al “Go Global”, questi capitani d’industria sono stati a lungo anche la bandiera del socialismo con caratteristiche cinesi. Ora il vento cambia e Xi Jinping forse guarda a un settore privato diverso da questo dove non c’è spazio per indiscriminate operazioni di salvataggio. Teste eccellenti che rischiano di cadere giù dal piedistallo, in uno straniante effetto domino, dopo essere stati a lungo coccolati dall’establishment e dai media come campioni del fare impresa e ambasciatori della Cina all’estero, ma oggi accerchiati dalle fughe di notizie. Basta pensare alle recenti accuse di riciclaggio lanciate attraverso i canali della tv statale al patron dell’Inter, Zhang Jindong, chairman di Suning, il quale ha dovuto impegnarsi per allontanare da sé ogni sospetto. E che dire della tormentata vicenda dell’acquisizione del Milan ad opera della cordata guidata dall’oscuro Yonghong Li? Su quest’ultimo deal, pur essendo (così si dice) il Milan la squadra del cuore del presidente Xi, è calata la scure del capo della Safe, Pan Gongsheng («Acquisizioni non centrate»).
È qualcosa di più della famigerata “Hurun list”, ovvero l’elenco dei ricchi cinesi dal quale, di tanto in tanto, vengono espunti i nomi dei caduti in disgrazia. Piuttosto, sembra la fine dell’idillio tra un’intera classe imprenditoriale e le istituzioni. In vista del XIX Congresso del Partito, che dal 18 ottobre ridisegnerà la mappa del potere a Pechino, è partito anche il reshuffle di una certa impresa privata. C’è chi si è mosso in anticipo e adesso lancia strali via Youtube sulla corruzione a Pechino da una suite ovattata di New York come Guo Wengui, il fondatore di Beijing Zenith Holdings, che ha interagito con un altro gruppo sotto la lente, Hna Group.
Sunac, Wanda, Fosun e Hna, società oberate dai debiti, si dichiarano vittime del deleveraging. Wang Jianlin – chairmandi Wanda Dalian, ex militare, diventato più volte l’uomo più ricco della Cina – ha citato in giudizio per diffamazione i social media accusandoli di aver fabbricato ad arte false informazioni, chiede risarcimenti milionari e nega di essere stato bloccato il 28 agosto a Tianjin mentre con la famiglia cercava di lasciare il Paese su un jet.
Guo Guangchang, chairman di Fosun – conglomerato con un valore di mercato di quasi 14 miliardi di dollari – a fine agosto, in una conferenza stampa a Hong Kong, ha promesso più trasparenza nelle operazioni e nel management, negando ogni accusa di essere stato investigato dalle autorità. Guo ha uno stile assai simile a un imprenditore di cui non si sa più nulla se non che gli è stato tolto il passaporto insieme al suo impero.
Wu Xiaohui, dall’8 giugno, data del suo fermo, è l’ex chairman della potentissima Angbang Insurance. Ex marito di Zhuo Ran, nipote di Deng Xiaoping, Wu sembrava inattaccabile tanto da potersi permettere uno stile rude e arrogante. L’abbiamo visto muoversi in diretta al China development forum in marzo, dove ha teorizzato la necessità di puntare solo su investimenti in grado di dare ritorni del 10 per cento. Poi, al Boao Forum for Asia, ha battibeccato con il figlio dell’ex premier Zhu Rongji, Levin Zhu. Proprio su questo, sul modo di essere impresa e di fare l’imprenditore Wu rivendicava la sua versione, mentre Levin, che nel 2014 si è dimesso prima dell’Ipo dalla carica di Ceo della banca di investimento Cicc, dava prova di pacatezza confuciana.
Due modi diversi di essere e di gestire il business. Forse è anche su questa falsariga che si stanno decidendo i destini di sommersi e salvati, sullo stile e non solo sulle presunte speculazioni finanziarie, anche se Wu Xiaohui è sospettato di aver alimentato la bolla speculativa grazie ai suoi rapporti con il defenestrato capo dell’Authority sulle assicurazioni.
Certo, la Cina ha reso più difficile fare acquisizioni all’estero in alberghi, entertainment, casinò e sport per evitare rischi di investimento e potenziali crimini. Non sappiamo, però, come evolveranno queste vicende, le più eclatanti almeno, destinate comunque a travolgere ampi settori dell’economia cinese. Ma lo scenario è chiaro, a partire da ciò che non deve essere il leader di una grande impresa nei prossimi cinque anni. Non deve essere arrogante, non deve essere per forza sotto le luci dei riflettori, né troppo legato ai politici, né essere ossessionato dalle acquisizioni straniere e, ovviamente, non deve distrarsi sui bilanci. Anche qui è partito l’atto secondo dell’era del presidente Xi Jinping.