Il Sole 24 Ore, 24 settembre 2017
Ciclismo, l’eccellenza italiana dal carbonio alla E-bike
Vent’anni fa il mondiale di ciclismo su strada era una specie di derby tra case produttrici italiane. Oggi nell’alto di gamma, la concorrenza internazionale è cresciuta, ma l’industria tricolore rappresenta ancora un faro per spirito di innovazione e garanzia di prestazioni.
Basta citare solo un nome, quello di Ernesto Colnago con la sua pionieristica «bottega» capace di reinventare i veicoli a due rote con l’utilizzo del carbonio attraverso una sinergia con un’altra punta di diamante dell’imprenditoria italiana, Enzo Ferrari.
Ma sono tanti i marchi di aziende del Belpaese che da soli evocano l’epopea del grande ciclismo: Campagnolo, Selle Italia, Wilier Triestina, De Rosa. Leader indiscussi nella progettazione e nella produzione di bici e componenti indispensabili per assicurarsi performance di valore assoluto.
Aziende italiane e a un tempo globali. La maggior parte delle quali, infatti, pur restando di proprietà familiare hannouna vocazione all’internazionalizzazione quasi naturale ottenendo la maggior parte dei propri ricavi e utili oltreconfine.
Sono queste «ditte» di fascia alta che, come le firme del lusso per la moda, fanno da traino al più vasto settore della fabbricazione di biciclette made in Italy, in cui sono impiegati tuttora 12mila addetti e che realizza circa un miliardo di fatturato. Un comparto che tra il 2015 e il 2016 ha accumulato un surplus nella bilancia commerciale di 122 milioni.
Un comparto produttivo ed eccellenze che, perciò, andrebbero protetti e tutelati con politiche speciali. Certo, se si resta fedeli alle leggi del mercato non si possono impedire alle multinazionali di acquisirne delle parti come accaduto lo scorso dicembre per Pinarello, holding da 5o milioni di euro di ricavi, presente in oltre 50 paesi, in grado di produrre 30mila biciclette e telai l’anno, entrata nell’orbita di Louis Vuitton e LVMH.
Ma ciò che si può e si deve fare però è permettere alle imprese italiane ed europee di stare sui mercati internazionali senza subire la concorrenza sleale, in particolare da parte dei competitors cinesi. «Dopo una battaglia lunga più di vent’anni – sottolinea in quest’ottica Piero Nigrelli, direttore settore Ciclo di Confindustria Ancma – in cui siamo stati anche tacciati di essere retrogradi e protezionisti a oltranza, finalmente tutti hanno capito la legittimità delle nostre posizioni. Ciò che noi chiediamo è di poter competere ad armi pari e se ciò non è possibile, come quando dalla Cina arrivavano biciclette a prezzi inferiori del 70% rispetto a quelli del mercato occidentale, allora è giusto che ci siano dazi e strumenti che preservino la concorrenza».
Anche il dazio nato all’inizio degli anni ’90 a difesa della bici italiana ed europea sarebbe stato travolto dal riconscimento pieno a Pechino dello status di economia di mercato. Una possibilità contro la quale anche le organizzazioni del settore ciclo si sono spese non poco. «Ora le isituzioni europee stanno ripensando alle norme in questa delicata materia – aggiunge Nigrelli – ma è necessario non abbassare la guardia. Anche per difendere quella che è la nuova invenzione del comparto ciclo del Vecchio continente, quella che in tempi relativamente brevi sta diventando una incredibile leva di sviluppo per molti paesi. Parliamo della E-Bike che non è la bicicletta elettrica, come spesso di equivoca, ma la bici a pedalata assistita».
Nel 2016 sono state vendute in Italia 124.400 e-bike pari al +121% rispetto al 2015. Mentre appare in lieve flessione invece la vendita di bici ordinarie, poco più di un milione e mezzo (il calo è pari a 2,6%), per quanto il risultato sia migliore di quello registrato in altri paesi d’Europa dove la riduzione ha sfiorato il 9 per cento.
Aumentano anche i numeri della produzione italiana di E-bike: si è passati dai 16.600 del 2015 ai 23.600 veicoli dello scorso anno. Sta nascendo anche una filiera intera di E-bike Made in Italy sia come assemblaggio ma soprattutto come costruzione di motori e componentistica elettrica ed elettronica. Salgono anche le esportazioni dalle 3.400 e-bike nel 2015 alle 8.000 nel 2016.
I motivi di questo successo europeo risiedono nell’estetica delle E-bike sempre più simili a delle biciclette tradizionali, con dimensioni ridotte di motore e batteria, e in grado di raggiungere i 25Km/h.
Inoltre, i diversi livelli di erogazione della potenza (250Watt) permettono di scegliere quanta fatica si è disposti a fare e questo consente di utilizzare sempre di più la bici in zone montane. La E-Mountain Bike costiuisce ormai il segmento di mercato leader indiscusso delle vendite. Basta farsi un giro in montagna per rendersene conto. «I dati di mercato 2016 confermano il grande cambiamento in atto degli anni precedenti: le E-Bike stanno cambiando il modo di andare in bici – conclude Corrado Capelli, presidente di Ancma Confindustria -. Infatti sono sempre di più gli appassionati delle due ruote che scelgono le biciclette a pedalata assistita per muoversi nel traffico urbano e per fare sport soprattutto in montagna. L’agilità e la riduzione della fatica negli spostamenti sono solo due fra gli indicatori positivi di questa crescita sia nella produzione che nell’export. Avremo lo stesso trend anche per il 2017».