23 settembre 2017
APPUNTI PER GAZZETTA - LE ELEZIONI IN GERMANIADAGOSPIACHULZ DA KAPÒ A KO. PERCHÉ MERKEL RIVINCERÀ A MANI BASSE LE ELEZIONI IN GERMANIA Simone Santucci per ofcs
APPUNTI PER GAZZETTA - LE ELEZIONI IN GERMANIA
DAGOSPIA
CHULZ DA KAPÒ A KO. PERCHÉ MERKEL RIVINCERÀ A MANI BASSE LE ELEZIONI IN GERMANIA
Simone Santucci per ofcs.report - https://ofcs.report/
Tutti i sondaggi confermano che, ancora una volta, sarà Angela Merkel a vincere le prossime elezioni politiche del 24 settembre. Essersi aggrappati come ad un’àncora di salvezza al secondo politico tedesco più noto in Europa, ed averlo messo di corsa alla guida di ormai un moribondo partito socialdemocratico, non basterà a riportare l’SPD al governo.
SCHULZ
Troppo forte, forse più di prima, il consenso che sin dal lontano 2005 permette a Frau Merkel di guidare, senza troppe preoccupazioni, la principale potenza comunitaria. Nonostante Schulz sia in campagna elettorale da quasi un anno e rappresenti, per tedeschi e non, la personalità più blasonata che l’SPD potesse spendere, la Germania, con ogni probabilità, deciderà di non cambiare, confermando così, per la quarta volta di fila l’ex ministro di Kohl. Vista da questo scorcio la Germania rappresenta un unicum che va al di là dei confini dell’Europa.
Neanche i miti del novecento europeo come Churchill, De Gaulle e Thatcher erano arrivati a tanto: il primato Kohl, ancora in cima alla lista dei capi di governo durati più a lungo, comincia a tremare. Analizzare i fattori che determineranno questo nuovo probabile successo può essere semplice, financo banale. I risultati, del resto, sono sotto gli occhi di tutti. Mai come oggi la Germania è stata più forte.
MERKEL SCHULZ 4
A parlare è l‘Ocse, con i dati sul diffusi pochi giorni fa nel suo consueto rapporto sulla crescita: con una media punti di 112,6 nell’ultimo trimestre Berlino si conferma perno e traino della crescita continentale, permettendole così di veleggiare ad oltre 2 punti di percentuale di prodotto interno lordo. Il biennio di stagnazione 2008-2010 a segno negativo è, a differenza di altri autorevoli concorrenti, solo un triste ricordo. Nessun altro, in Europa, può vantare questi numeri e a Berlino lo sanno bene.
Ma non è solo il quadro economico e finanziario a sorridere. Piaccia o no, anche dal punto di vista politico, la Germania, si caratterizza come un esempio virtuoso, reso possibile sia dalla ormai consolidata stabilità di governo (nonostante tre governi a coalizione, due con l’SPD e uno con i liberali) e sia dalla lungimiranza di alcune scelte (vedi alla voce migranti) che le permettono, a lungo andare, di rivendicare con successo l’aver intrapreso delle scelte impopolari. Il tutto a differenza di altri concorrenti, come l’Italia.
MERKEL SCHULZ 2
Vuoi per una maggiore capacità, vuoi per la sua secolare caparbietà, la Germania ha reso possibile declinare in pochissimo tempo un modello di integrazione efficace e coerente trasformando, grazie ad un giusto e mix di investimenti pubblici mirati, l’iniziale l’emergenza in un modello economico vincente. I migranti oggi in Germania, più che un costo per le finanze pubbliche, sono un vantaggio.
E la pax sociale che, da ben dodici anni regna in questo Paese, nonostante qualche preoccupante segno di rafforzamento delle forze politiche xenofobe che emergerà domenica, ne è la dimostrazione più lampante. Non è forse solo un’operazione retorico affermare, con una certa convinzione che, dalle parti di Berlino, all’interno di un modesto appartamento in affitto, viva l’unico statista europeo degno di quest’appellativo. I tedeschi lo hanno capito. E forse, stavolta, pure qualcuno fuori dai confini teutonici.
SCHULZ BERLUSCONI KAPO
1. SCHULZ, L’ ULTIMO COMIZIO È UN FLOP "SENZA DI NOI ADDIO AI DIRITTI"
Walter Rauhe per ’’la Stampa’’
martin schulz
La Piazza dei Gendarmi non è sconfinata e senza volto come così tante altre piazze della capitale tedesca, ma quasi intima e accogliente nella sua cornice neoclassica. Ma anche questo piccolo salotto storico di Berlino era gremito ieri sera solo per metà in occasione del comizio conclusivo del candidato socialdemocratico alla cancelleria, Martin Schulz, e le circa seimila persone accorse ad ascoltarlo sarebbero potute passare anche come i rifugiati ugonotti scacciati quattro secoli fa dalla Francia di Luigi XIV dopo la revoca dell’ Editto i Nantes.
I Re di Prussia li accolse a Berlino e dedicando a loro lo splendido «Duomo francese» sulla centralissima Gendarmenmarkt. I militanti seduti ieri sulle scalinate della chiesa apparivano a loro volta un po’ spaesati, affranti, quasi «bastonati» ed intimiditi dallo sfarzo architettonico della piazza e anche dagli obbiettivi dei tanti fotoreporter e ed operatori televisivi.
martin schulz
Gli applausi più scroscianti che hanno interrotto il lungo comizio sono arrivati ogni qualvolta Schulz ha accennato all’ avanzata della destra populista dell’ Alternative für Deutschland - i «becchini della democrazia» che minano le basi della convivenza civile e della tolleranza rischiando di rientrare per la prima volta in un parlamento tedesco dai tempi della Repubblica di Weimar. Invitando ad opporsi a questa nuova minaccia, al candidato socialdemocratico riesce uno di quei pochi momenti di vera enfasi e di sincero sdegno in grado di elettrizzare la piazza.
Sui volti di alcune persone più anziane spunta anche qualche lacrima. Ma restano momenti isolati nella cronologia automatica di un discorso ripetuto da Schulz centinaia di volte nelle scorse settimane. I successi raggiunti dall’ Spd all’ interno della Grosse Koalition - dal salario minimo garantito al diritto di matrimonio per i gay, dal contenimento del caro affitti alla garanzie per legge di un posto negli asili nido pubblici.
laura boldrini martin schulz
«Molti mi accusano che è difficile distinguermi da Merkel», grida con voce ormai rauca l’ ex presidente dell’ Europarlamento, «non è colpa mia se la cancelliera ci ruba le idee per spacciarle poi come le sue». Senza l’ Spd al governo in Germania tornerebbero la freddezza sociale, la disuguglianza, le ingiustizie salariali e avrebbero il sopravvento i «falchi» che ai tempi della crisi dei bilanci nell’ Eurozona piantarono in asso la Grecia. «Quando sarò cancelliere garantirò per i valori che hanno fatto grande la Repubblica federale», promette in modo poco convincente il quarto candidato contro Merkel nella storia tedesca.
SCHULZ E RENZI
Molto lascia intendere che anche lui è destinato però a fallire come prima di lui Schröder, Steinmeier e Steinbrück. L’ Spd potrebbe incassare il peggior risultato della sua storia. «Mai più grande coalizione» è scritto sul cartello sorretto da un giovane ragazzo.
Secondo lui l’ Spd ha bisogno di rigenerarsi all’ opposizione per concentrarsi su un vero programma di sinistra come quello di Corbyn in Gran Bretagna. E chissà se per un’ attimo Schulz si sia chiesto se ne sia valsa la pena di abbandonare la scena europea, per cimentarsi nel vespaio politico casalingo.
2. FISCHI E SLOGAN ANTI-MERKEL "CON ME CONFINI PIÙ SICURI" - ANGELA CONTESTATA A MONACO, IN PIAZZA ANCHE TURCHI E OPPOSITORI
Francesca Sforza per ’’La Stampa’’
angela merkel fiori
«Un’ atmosfera grandiosa», così uno dei candidati bavaresi della Csu aveva appena definito la Marienplatz, nel centro di Monaco, tirata a lucido per il comizio finale di questa niente affatto scontata tornata elettorale tedesca. Ma è bastato che la cancelliera Angela Merkel salisse sul palco perché l’ affermazione suonasse grottesca, ai limiti dell’ irriverenza.
Una pioggia di fischi ha infatti scandito ogni passaggio del suo discorso. Ed è stato chiaro sin dall’ inizio, per lei, che il punto non sarebbe stato contrastarli o, peggio, tentare il dialogo con la piazza, ma arrivare alla fine. Così è stato, anche se a un certo punto - con l’ aria visibilmente affaticata - ha dovuto riconoscere l’ umore circostante: «Non si costruisce il futuro del Paese con i fischi e con le urla», ha detto.
angela merkel
Amore mai sbocciato Non è un mistero che tra Merkel e la Baviera l’ amore non sia mai sbocciato: troppo dell’ Est lei, troppo cattolici loro.
E quindi a poco è valso impostare il discorso dell’ ultimo comizio elettorale prima del voto sull’ importanza della famiglia e sulla forza dell’ esempio bavarese per il resto della Germania: «Nei prossimi quattro anni ci impegneremo negli investimenti per l’ istruzione, perché i nostri figli non devono solo saper leggere, scrivere e far di conto, ma anche essere preparati alle sfide del mondo digitale, e chi meglio della Baviera sa quanto l’ innovazione, lo sviluppo della tecnologia e la ricerca siano importanti?».
I cartelli contro Ma non è servito, i fischi sono continuati, e in piazza hanno cominciato ad alzarsi cartelli aggressivi: «Merkel odia la Germania», «Merkel ha fatto i campi di concentramento in Libia», «Merkel muss Weg» (forse lo slogan più gettonato dell’ intera campagna), Merkel deve andare via.
angela merkel
Neanche il passaggio sul l’ importanza di tenere fermo ai confini - «E finché le frontiere esterne non saranno sicure controlleremo anche i confini interni» - ha strappato un applauso. Figuriamoci quando è stato sollevato il problema dell’ ordine mondiale e del pericolo atomico.
Non tutti agitatori Il dialogo tra piazza e cancelliera non è mai iniziato, ieri sera, e quindi qualsiasi cosa avesse detto avrebbe ricevuto sempre e solo fischi. Giunta al termine del discorso, non un minuto di meno non uno di più del previsto, la cancelliera ha frettolosamente raggiunto l’ uscita, accompagnata dalla scorta e da schiamazzi offensivi.
Ma chi c’ era ieri sera nella rabbiosa piazza di Monaco?
Alcuni erano chiaramente agitatori dell’ AfD, ma non troppi per la verità, anche perché a qualche centinaio di metri, sulla Rinderplatz, i candidati dell’ estrema destra tenevano un loro striminzito comizio davanti a una settantina di elettori e curiosi. «Se la Merkel continuerà a essere cancelliera - ha detto il candidato Horst Schmuller dal palco AfD - state sicuri che non ci sarà più posto per comizi della Csu sulla Marienplatz».
alice weidel leader gay afd
Altri invece avevano l’ aria di tedeschi qualunque, alcuni anziani - a sentirne i discorsi rispondenti al profilo del classico elettore della Csu - altri ragazzotti, molti di ritorno da un incontro di calcio, moltissimi dall’ Oktoberfest e non esattamente sobri. In un’ aiuola appena fuori la piazza si erano radunati un gruppo di turchi, diversi uomini e qualche donna velata, ma hanno preferito rimanere in silenzio.
Una signora in burqa ha assistito immobile all’ intero discorso, e si contavano anche numerosi rappresentanti di comunità asiatiche.
GERMANIA CONGRESSO AFD SCONTRI
Nelle ultime file, ai margini della piazza, una signora anziana e ben vestita scuoteva la testa: «Ma perché fanno così? - si chiedeva a mezza voce rivolta alla piazza fischiante - non si rendono conto di cosa ci può succedere senza la Merkel?».
REPUBBLICA.IT
BERLINO - Sessantuno milioni di elettori tedeschi alle urne per scegliere il nuovo Bundestag, la Camera che dà la fiducia al governo e al cancelliere. O meglio, alla cancelliera: visto che la conferma di Angela Merkel appare scontata per tutti. Ma se il partito vincitore sarà a meno di sconvolgimenti la Cdu, molta più incertezza c’è sul resto del panorama politico tedesco.
Per la prima volta potrebbero essere sei i partiti che entreranno al Bundestag; per la prima volta l’Afd potrebbe ottenere deputati, e anche molti. E poi: quale coalizione potrà governare? Merkel potrebbe optare per una nuova Grosse Koalition o trovare soluzioni divers.
Le urne saranno aperte fino alle 18, quando saranno diffusi i primi exit poll e inizierà lo spoglio.
FOCUS I RISULTATI / COME SI VOTA / LA CAMPAGNA ELETTORALE
· GLI ULTIMI SONDAGGI
A poche ore dal voto in Germania il candidato del partito socialdemocratico (Spd), Martin Schulz, continua a perdere preferenze nei sondaggi, almeno stando al Politbarometer di Zdf, la seconda emittente pubblica con sede a Magonza. L’ex presidente del Parlamento Europeo, infatti, si attesta al 21,5%, in diminuzione di un punto e mezzo percentuale rispetto alla settimana scorsa. Invariato, il dato di Cdu/Csu, il partito dell’attuale Cancelliera Angela Merkel, stabile al 36%. E’ in crescita l’Alternativa per la Germania (Afd), il partito nazionalista di estrema destra, che secondo le proiezioni, arriverà all’11%, un punto in più rispetto ai sondaggi precedenti, confermandosi terza forza al Bundestag.
REPORTAGE Tra gli arrabiati dell’ex Ddr: "Ora Merkel ci teme"
· MERKEL E SCHULZ: "ANDATE A VOTARE, FRENIAMO L’AFD"
Negli ultimi comizi elettorali prima del voto di domenica prossima, sia Schulz e Merkel hanno esortato gli elettori a partecipare al voto: "Gente, andate a votare", ha detto il candidato Spd al migliaio di persone dal palco di Minden. E ha spiegato il perché: "Tanto maggiore sarà l’affluenza al voto, tanto minori saranno le chance dell’estrema destra di entrare in forze nel Parlamento". Stesso tenore e stesso richiamo sono arrivati anche dalla cancelliera che in un’intervista alla radio "1live" ha chiamato gli elettori alle urne per arginare Alternative für Deutschland: "Votate per quei partiti che rispettano pienamente la nostra costituzione".
RITRATTO DI MERKEL
Angela Merkel corre per il quarto mandato da cancelliera e l’unica certezza di queste elezioni è che sarà riconfermata con una percentuale impressionante, per un partito tradizionale. Mentre tutte le vecchie “Volksparteien” europee si sono squagliate come neve al sole durante la lunghissima crisi economica e finanziaria, i cristianodemocratici sono rimasti saldamente attorno alla soglia del 40 per cento. Anche questa volta, è atteso un risultato tra il 36 e il 38 per cento, dunque in calo, ma stellare rispetto ai cugini conservatori o ai vecchi partiti socialisti e socialdemocratici del resto del continente. Ed è un risultato legato moltissimo alla personalità di questa figlia di un pastore protestante nata 63 anni fa ad Amburgo e cresciuta nella Germania est, dietro la Cortina di ferro. Di Merkel, che ha preso il suo cognome dal primo marito e dal 1998 è sposata con il chimico Joachim Sauer, sono noti alcuni episodi dell’infanzia che i biografi menzionano per sottolinearne tratti salienti della personalità. Forse quello più interessante è che per un lieve difetto motorio alle gambe, da piccolissima era costretta a calcolare con grande precisione i suoi percorsi, soprattutto se doveva fare le scale. Un dettaglio che deve averle spazzato via molta spensieratezza e aver acuito quell’indole quasi proverbiale alla cautela e al tatticismo. Merkel entrò in politica tardi: quando cadde il Muro, era già una trentacinquenne con una solida carriera accademica da fisico alle spalle e si buttò nell’avventura del primo governo libero della vecchia Germania est come portavoce del premier Lothar De Maizière. Il demiurgo della riunificazione, il cancelliere cristianodemocratico Helmut Kohl, la prese immediatamente sotto la sua ala protettiva, la trasformò nella sua “ragazza” e ne favorì l’ascesa verticale del partito. Quando finì il regime dov’era cresciuta, la futura donna più potente del mondo era stata persino indecisa se iscriversi alla Spd o alla Cdu. Un altro dettaglio che ne lascia intuire l’evoluzione successiva. Machiavellica e spregiudicata, quando era già a capo dei cristianodemocratici, riuscì a far fuori Kohl dieci anni dopo la caduta del Muro con una lettera a un giornale in cui gli assestò il colpo di grazia dopo lo scandalo dei fondi neri. E da donna, dunque eterna sottovalutata nel consesso eminentemente maschile che era in quegli anni la Cdu, riuscì a spianarsi la strada per la candidatura del 2005 che le fece conquistare la cancelleria. Nell’anno più difficile della sua carriera politica, il 2016, quando ha perso cinque elezioni regionali sulla scia di un primo, gesto visionario, quello della politica delle “porte aperte” sui profughi, ha rischiato per lunghi mesi di non potersi ricandidare, pressata dal suo partito. Allora, è emerso persino un possibile putsch per sostituirla in corsa con il suo alleato-rivale di sempre, l’ex delfino di Kohl, Wolfgang Schaeuble. Ma l’affievolirsi dei flussi migratori dai Balcani e la consapevolezza crescente che nel panorama politico tedesco non ha rivali, le ha garantito la quarta candidatura. I suoi tre governi sono stati all’insegna di un riformismo pragmatico e post ideologico. Negli ultimi dodici anni la Germania ha rinunciato al nucleare dopo lo shock di Fukushima, ha abolito la leva obbligatoria, ha introdotto il congedo parentale, ha aumentato gli assegni per i figli e le pensioni per le donne, ha migliorato la legge sulla violenza sessuale, ha varato il salario minimo e la riforma sanitaria, ha approvato il ‘matrimonio per tutti’, ha deciso leggi più severe sull’integrazione ma anche di non introdurre un tetto ai profughi. Punti che farebbero la felicità di qualsiasi partito progressista. Ma che hanno aperto un varco a destra dove si è infilato l’Afd, un partito nato da un rifiuto della solidarietà verso il resto dell’Europa che si alimentato via via di xenofobia islamofobica e ha vissuto un vero e proprio exploit con l’arrivo del milione e duecentomila profughi dal 2015. Domenica farà ufficialmente il suo ingresso nel Bundestag. Purtroppo, anche questa è un’eredità della cancelliera-proteo che si è trasformata in tutto, in questi anni, mangiandosi fette di Spd, di Verdi e di liberali.
MARTIN SCHULZ
“Sono figlio di gente semplice”. In fondo, è stato questo il mantra di Martin Schulz in campagna elettorale. Il padre era poliziotto, la madre fondò il circolo della Cdu di Würselen, lui a diciannove anni era già militante della Spd. Ma in questi mesi di campagna elettorale intensa, in cui ha battuto la Germania palmo a palmo, probabilmente ha sbagliato strategia proprio a partire dall’immagine di “uomo della porta accanto”.
La Frankfurter Allgemeine Zeitung ha sottolineato che avrebbe giocarsi il suo europeismo viscerale come un argomento principe di campagna elettorale, lui invece ha preferito ricordare a tutti che ha origini modeste, che può capire le ansie della “piccola gente”. Peccato che la Germania abbia prodotto in questi decenni la campionessa mondiale del fascino della “porta accanto”: Angela Merkel. Ai comizi di “Mutti”, i sostenitori ripetono soprattutto una cosa: “è una di noi”. Schulz, competendo su questo piano, non poteva che arrivare secondo. Classe 1955, parlamentare europeo dal 1994, poi capogruppo dei socialisti e presidente del Parlamento dal 2012 fino a gennaio di quest’anno, Schulz ha acquisito notorietà in Germania, ma soprattutto all’estero, grazie a un italiano: Silvio Berlusconi. Il suo scontro epico nel 2004 con l’allora presidente del Consiglio nella plenaria del Parlamento europeo culminò in un insulto da parte di Berlusconi - “Kapò” - che è passato alla storia. Schulz è cresciuto a Würselen, paesino nei pressi di Aquisgrana, all’incrocio di tre frontiere europee. A scuola lo bocciano due volte, lui alla fine abbandona: “a scuola ero uno stronzo (Sausack)”, ripeterà spesso, negli anni successivi. Che non abbia fatto la maturità non gli ha impedito di imparare cinque lingue e di fare una carriera verticale nel più antico partito socialdemocratico. Ma dopo la scuola, fonda una libreria (che esiste ancora) e per un momento sfiora la tragedia. In realtà, da ragazzino, sogna di diventare calciatore. Ha talento, ma un infortunio al ginocchio sinistro gli stronca la carriera. Lui comincia a bere, crolla, pensa persino al suicidio. “A vent’anni circa ero il ragazzo più fuori di testa di tutta la Germania”, sostiene. Nel 1980, “grazie alla famiglia e agli amici”, arriva la salvezza. Il 26 giugno di quell’anno decide di smettere di bere. Da allora non ha più toccato un goccio di alcol e la sua vita ha preso una piega completamente diversa. Ma del periodo da alcolista, Schulz parla con grande onestà: “Non ho nulla da nascondere”. Beveva qualsiasi cosa gli capitasse sotto tiro. Schulz è un discreto narratore e battutista, uno scambio con Erdogan è rimasto famoso. Dopo i saluti di convenienza, Schulz gli dice “ti trovo in gran forma”. Il sultano gli risponde “faccio molto sport” e Schulz affonda “pensavo per le grandi distanze che devi coprire per uscire dal tuo ufficio”. Il cafonissimo palazzo presidenziale di Erdogan non ha nulla da invidiare, come megalomania di spazi, a Versailles. Alla fine degli anni Ottanta, quando è ancora sindaco di Würselen, Schulz si ritrova a gestire un’emergenza profughi: un migliaio di africani, lasciati passare dal Belgio. Lui sequestra la palestra di una scuola per accudirli, teme per la propria rielezione, che invece arriva con una percentuale bulgara, con la maggioranza assoluta. E quando nella regione adiacente chiudono le miniere causando un’ondata di disoccupazione, Schulz crea un’area favorevole all’industria high tech. La tecnologia che si utilizza oggi per stabilire nei cortei internazionali di calcio se il pallone ha superato una linea, per dire, viene da Würselen. Una storia di successo, per un appassionato di calcio che per un po’ è stato agli inferi come Schulz, che somiglia a una nemesi.
CAZZULLO
Caro Aldo,
i partiti italiani si preparano alle elezioni del prossimo anno. Ma perché ancora non si conosce la data? Il vero problema è che con l’attuale legge elettorale il risultato è scontato e significa che non ci saranno né vincitori né vinti. Ne seguirà un lungo periodo di trattative fra i vari partiti e, se tutto va bene, l’Italia avrà un nuovo ed instabile governo per l’estate. Ma il Paese ancora in crisi può permettersi un lungo periodo di instabilità? Negli altri Paesi il nuovo governo giura il giorno dopo le elezioni.
Virgilio Avato
Caro Virgilio,
Anch’io come lei trovo incredibile che in Italia non si conosca ancora la data del voto. In Francia le presidenziali sono fissate con mesi e mesi di anticipo. In America da sempre si vota il martedì dopo il primo lunedì di novembre. Da noi, nel 2013 si votò il 24 febbraio; l’ipotesi di tornare alle urne a maggio di quest’anno non violerà la legge, ma certo urta il senso comune.
Il vero problema però è che le elezioni rischiano di essere inutili. L’unica legge elettorale che avrebbe buone probabilità di consegnarci una maggioranza porta il nome dell’attuale presidente della Repubblica; ma i suoi poteri di persuasione morale sono limitati. L’idea di rovesciare il Mattarellum e assegnare una minoranza di seggi con i collegi uninominali e una maggioranza con il proporzionale, decisi dai capipartito, pare più una presa in giro degli elettori che un progetto serio.
Non è vero, gentile Virgilio, che negli altri Paesi il governo giura il giorno dopo le elezioni. In Germania Angela Merkel si prepara al quarto mandato da cancelliera, ma ogni volta ha dovuto negoziare una coalizione. La grande differenza è che la Germania ha la cultura politica della stabilità. Dal 1949 a oggi ha avuto otto cancellieri, cinque cristianodemocratici — tra cui Adenauer per 14 anni e Kohl per 16 — e tre socialdemocratici: Brandt per quasi cinque anni, Schmidt per più di otto, Schröder per oltre sette. Kohl ha avuto a che fare con 11 presidenti del Consiglio italiani, da Spadolini a Prodi (più D’Alema che non fece in tempo a incontrarlo); la Merkel con 6, da Berlusconi a Gentiloni. Nella mentalità tedesca avere un leader non è un problema, ma una risorsa. Da noi i leader sono bersagli da abbattere, molto spesso per i compagni di partito. E già si sente dire che senza governo staremo meglio. Ne riparleremo quando ci troveremo esposti alla speculazione internazionale.
TAINO SUL CORRIERE
Si parla molto delle esportazioni tedesche. Beh, al momento la maggiore di queste è Angela Merkel. La cancelliera si avvia a vincere le elezioni federali di domenica prossima con il mondo che la osserva, che la identifica con la Germania, che vede in lei il difensore principale della libertà di mercato e di un mondo fondato su regole condivise. Nei suoi 12 anni di governo, ha fatto errori e compiuto passi falsi: essere però diventata il punto di riferimento o la bestia nera dei democratici o dei dittatori è un risultato magistrale, probabilmente il maggiore che ha confezionato.
Il manifesto con il quale il suo partito, la Cdu, arriva all’appuntamento elettorale è una grande fotografia della leader accompagnata dalla scritta «Successo per la Germania». Indubbiamente, grazie alla sua cancelliera, oggi il Paese ha una reputazione globale che non aveva mai avuto dal crollo del nazismo e che va oltre le sue dimensioni e i suoi muscoli.
Nella legislatura tedesca che si sta chiudendo, Merkel non ha fatto molte riforme, anzi. E lo stesso è successo nelle due legislature precedenti, nelle quali ha guidato il governo una volta con i socialdemocratici (come negli scorsi quattro anni) e un’altra con i liberali. Tra gli errori che le vengono attribuiti — non di poco conto ma che gli elettori le perdonano — c’è l’uscita repentina dal nucleare dopo il terremoto di Fukushima, decisione molto costosa; come carissima per le bollette elettriche dei cittadini e delle imprese è la Energiewende, la transizione a un’economia senza emissioni nocive (che non sta funzionando come voluto). C’è l’avere tenuto aperte le porte del Paese ai rifugiati siriani e iracheni nel 2015 senza avere avuto un piano domestico ed europeo: segno della sottovalutazione precedente della situazione in Medio Oriente.
C’è la clamorosa collusione sua, del governo di Berlino e dei due maggiori partiti, cristianodemocratici e socialdemocratici, con l’industria automobilistica sempre protetta e ora coinvolta in scandali e spaventata dalla concorrenza new tech in arrivo dalla Silicon Valley. Secondo alcuni critici c’è l’errore di non avere aiutato a sufficienza l’allora primo ministro britannico David Cameron a ottenere riforme a Bruxelles che avrebbero forse potuto evitare la Brexit. E c’è la cancellazione di alcune riforme del mercato del lavoro e delle pensioni. A fronte di tutto questo, Merkel, leader fluida e a-ideologica, ha mostrato la gran capacità di accompagnare senza scosse i cambiamenti della società tedesca e di non mettere mai a rischio il buon andamento dell’economia. E, verso l’estero, ha conquistato una reputazione inimmaginabile fino a pochi anni fa.
La statura internazionale della cancelliera è cresciuta nella gestione delle crisi europee del debito e della Grecia. Ha raggiunto un punto alto nel rapporto conflittuale con Vladimir Putin sull’annessione russa della Crimea e nel tenere unita l’Europa nell’imposizione di sanzioni contro Mosca. Ha fatto un balzo nel mostrare lo spirito umanitario di Merkel e della Germania nell’apertura ai rifugiati (al di là della sottovalutazione precedente). Si è rafforzata nello stabilire buoni rapporti con il leader cinese Xi Jinping, con quello indiano Narendra Modi, con il giapponese Shinzo Abe e, soprattutto, con Barack Obama. E ha raggiunto l’apice durante il G7 di Taormina e il G20 di Amburgo quest’anno quando ha mostrato la faccia dura a Donald Trump e si è presentata come la paladina globale di un ordine internazionale aperto, non protezionista, guidato da regole condivise, gestito a bassa voce e con compromessi.
Oggi — di fronte alle convulsioni a Washington e al network degli «uomini forti» Putin, Xi, Erdogan e lo stesso Trump — Merkel fa apparire la Germania come la sola democrazia in grado di avere una voce forte a livello internazionale. La cancelliera sa che Berlino non ha i muscoli per giocare da sola questo ruolo e che il Paese è restio a seguirla. Ciò nonostante, il mantello di liberale in politica estera Merkel lo ha indossato. Il suo atto più coraggioso.
VALENTINO
Ci sono soltanto due certezze nelle elezioni federali di domani in Germania. E paradossalmente sono l’una diretta conseguenza dell’altra. La prima, scontata, è che Angela Merkel condurrà la sua Cdu alla quarta vittoria e sarà nuovamente cancelliera. L’altra è che AfD, Alternative fuer Deutschland, il partito di estrema destra, xenofobo e in odore di filo-nazismo, farà il suo ingresso al Bundestag, il Parlamento federale. Non sarà la prima volta, a differenza di quanto è stato detto in questi giorni. Come spiegava ieri Kurt Kieser sulla Sueddeutsche Zeitung, già agli esordi della Repubblica, nel 1949, 1953 e 1957, il colpo riuscì per ben tre volte alla Deutsche Partei, forza politica dell’ultradestra con legami negli ambienti degli ex nazisti, che il cancelliere Adenauer non ebbe problemi ad accettare addirittura come partner nella coalizione di governo. Nel 1953, un altro partito della destra radicale, la BHE, che si rivolgeva ai profughi tedeschi cacciati dai territori dell’Est, entrò al Bundestag, sempre sotto Adenauer, e piazzò un ministro che da studente aveva partecipato al fallito putsch di Hitler del 1923.
Prima forza di opposizione
Ciò che è nuovo nel caso di AfD sono in primo luogo le dimensioni del successo elettorale, che a meno di un clamoroso abbaglio sondaggi e analisti le predicono: potrebbero essere tra 70 e 80, alcuni suggeriscono addirittura 100 i deputati di estrema destra nella nuova Camera bassa, su un totale che grazie ai cosiddetti mandati in eccesso potrebbe superare 650. Il che significherebbe disporre di un apparato di quasi 400 persone, un bilancio di almeno 30 milioni di euro, una vicepresidenza, una presenza costante nelle emittenti pubbliche. Di più, se Angela Merkel dovesse nuovamente ritrovarsi alla guida di una Grosse Koalition con la Spd, allora AfD potrebbe essere la prima forza di opposizione e quindi aver diritto alla presidenza della potente commissione per il Bilancio.
I «nemici della Costituzione»
Ma non è solo una questione di numeri. «Germania, stai attenta!», ha titolato giovedì a tutta pagina il solitamente compassato settimanale Die Zeit, un editoriale a firma del suo direttore Giovanni Di Lorenzo, secondo il quale l’elezione di domani potrebbe rivelarsi una frattura nella storia tedesca, «nel caso migliore un nuovo inizio, nel peggiore una minaccia per la democrazia». Le parole vengono pesate una per una, ma il giudizio è condiviso: «AfD contesta i fondamentali della democrazia federale, mobilita i nemici della Costituzione, rimette in discussione l’identità della Germania e le sue scelte di fondo, come l’Europa, l’economia sociale di mercato, l’apertura verso il mondo», dice preoccupato un ex collaboratore della cancelliera. E aggiunge: «Se non ci fosse la coscienza della nostra storia, largamente diffusa nel popolo tedesco, a far da deterrente, AfD oggi sarebbe già al 25 per cento».
La mutazione antropologica di AfD
Che la resurrezione annunciata di AfD, nata quattro anni fa come movimento anti euro e considerata finita già nel 2015, sia direttamente collegata al successo della cancelliera, è uno dei paradossi di questa elezione. «Non c’è dubbio che la politica centrista della Merkel, soprattutto la sua scelta di accogliere i rifugiati, abbia creato spazio politico sulla destra della Cdu-Csu — ammette il nostro interlocutore —, ma AfD ha avuto anche una mutazione antropologica: all’inizio era in buona parte la Cdu orfana di Kohl e scontenta di Angela Merkel, c’erano intellettuali, imprenditori. Ora è qualcosa di diverso e molto inquietante».
La classe dirigente
I futuri deputati di AfD, le loro biografie ed esternazioni suonano piena conferma di un veleno sottile e insidioso, che l’ultradestra instilla nella conversazione politica tedesca, rendendo salonfaehig, presentabile, ciò che prima era tabù. Gente come il giudice di Dresda Jens Maier, 55 anni, mai stanco di castigare «il culto della colpa dei tedeschi» o la «produzione di popoli meticci». O come Wilhelm von Gottberg, 77 anni, candidato in Bassa Sassonia, che liquida l’Olocausto come «l’efficace strumento per criminalizzare i tedeschi». Poi c’è l’hooligan Sebastian Muenzenmaier, 28 anni, indagato per lesioni gravi dopo aver guidato una banda di ultras del Kaiserlautern all’assalto di un bus di tifosi del Mainz, pieno di donne e bambini. Su tutti, spicca il co-leader del partito, l’ineffabile Alexander Gauland, che ai primi di settembre ha rivendicato (sic) «il diritto di essere fieri delle imprese dei soldati tedeschi in due guerre mondiali». È lui che, sul modello di Trump con Hillary Clinton, promette di creare una commissione di inchiesta sulla politica illegale di Angela Merkel verso i rifugiati.