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 2017  settembre 22 Venerdì calendario

Chantal Borgonovo, la vedova del campione morto di Sla si racconta in un libro: «Stefano, io e i nostri giorni insieme strappati alla morte»

Ci sono storie che non meritano aggettivi o definizioni, perché suonerebbero falsi o inutili. Sarebbe facile blaterare di amore e dolore, speranza e coraggio, vita e morte. Ma non servirebbe a nulla. La storia di Stefano Borgonovo – l’ex campione di Fiorentina e Milan ucciso nel 2013, dopo otto anni di lotta, dalla SLA – la può raccontare solo la moglie Chantal. Lo ha fatto insieme a Mapi Danna in Una vita in gioco. L’amore, il calcio, la SLA (Mondadori), la testimonianza di una promessa mantenuta: accanto a te nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia, come disse all’altare da ragazza, quando la vita era ancora un gioco sfavillante.
Chantal, quanto le è costato raccontare?
Mettersi così a nudo non è stato facile, Mapi ha colto perfettamente, con sensibilità rara, anche quello che non ho detto. Ci ho pensato molto prima di farlo, ma alla fine sono felice, perché ha aiutato soprattutto me. Ho cercato di mettere un punto, non del tutto fermo, ma un punto. E chissà che non possa essere un aiuto anche per chi sta passando un brutto periodo. Dentro c’è riscossa, voglia di vita, non è un libro triste. È un racconto che non fa sconti, senza scorciatoie, questo sì.
Lei racconta di quel giorno del 2008 in cui fu chiamata a decidere in pochi secondi della vita di suo marito. Come sarebbe stata la sua, di vita, se le cose fossero andate diversamente?
Mi chiesero l’autorizzazione a rianimarlo dopo una crisi respiratoria che lo avrebbe ucciso. Avrei potuto scegliere di finirla lì, per lui e per me, ma oggi non sarei così ricca e soprattutto i miei figli e io avremmo perso Stefano al culmine della sua disperazione. I ragazzi lo avrebbero ricordato così. Sembra paradossale, perché i 5 anni di tracheotomia sono stati durissimi, ma sono stati anche pieni.
Stefano non poteva battere la SLA, ma ha sconfitto un avversario molto forte: la vergogna della malattia.
Credo che questo sia il suo maggior merito. Non era facile per lui farsi vedere, entrare negli stadi, però ha contribuito a mostrare tutte le malattie, non solo la sua. Poco dopo la diagnosi litigammo, lui si vergognava, temeva che lo avrei lasciato. Mi arrabbiai, dissi che erano altre le cose di cui vergognarsi, non di essere malato.
Ha mai avuto paura – o la tentazione – di mollare?
Ci ho lavorato molto. La morte è un attimo, l’attesa della morte lunga sette anni è un’altra cosa. Ti consuma, è come un’ombra che hai sempre con te. Ogni giorno è strappato alla morte, ogni giorno Stefano e io lo abbiamo fatto. Ed è una cosa che lascia un segno profondo.
C’è un passaggio molto duro nel libro, l’allontanamento dalla madre di Stefano…
Avrei potuto evitare di raccontarlo, l’ho fatto per dire che anche io sono umana. È stata una decisione estrema, ma in quel momento era la cosa giusta. Mi ero quasi ammazzata per creare uno stile di vita sereno e sopportabile per la mia famiglia e la mamma di Stefano non riusciva ad accettare la malattia. Una voce fuori dal coro, seppur umanissima e legittima, avrebbe rovinato tutto il lavoro. Sono stata dura, lo so, ma ogni cosa era nelle mie mani. Stefano avrebbe potuto chiedermi di non farlo. Non lo ha fatto. Aveva capito perfettamente.
Lei è stata accanto a suo marito 24 ore su 24 per sette anni, tranne l’ultimo giorno. Sembra una sceneggiatura, più che la realtà…
È vero. Dal momento della diagnosi ho sempre pensato che lo avrei accompagnato fino all’ultimo giorno. Certo non ero sempre a casa, ma sono sempre stata vicina, non mi fidavo di nessuno. Quel giorno ero in Liguria a preparargli la casa al mare. È stato molto duro da accettare, anche se, almeno, c’erano tre dei nostri quattro figli. È un rimpianto che porterò sempre con me.
Come si torna – sia detto tra virgolette – alla normalità dopo un’esperienza così totalizzante?
La felicità e la serenità che ho avuto prima della malattia non tornerà mai più. A tratti sono serena e felice anch’io, ma una parte di me e morta con Stefano e non ritornerà. Hai te stessa, i tuoi figli, la famiglia, le persone a cui vuoi bene. La vita è un dono e vale la pena viverla.