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 2017  settembre 22 Venerdì calendario

Roma, sfida finale al re della monnezza. Ma la metropoli rischia l’emergenza

ROMA Ghino di Tacco è passato alla storia perché dall’alto della sua rocca dettava legge dalla via Francigena fino al Campidoglio. E adesso Manlio Cerroni dall’alto di una castello di immondizia affronta l’ultima sfida, quella in cui tenterà ancora una volta di imporre la sua legge su Roma. Lui, “il Supremo” che a 91 anni si vanta di avere smaltito 150 milioni di tonnellate di spazzatura, dovrà accettare il ritorno alla piena legalità oppure esporre la Capitale a una drammatica emergenza rifiuti. Da luglio la questione allarma il prefetto Paola Basilone e la sindaca Virginia Raggi, obbligate a trovare una soluzione. Ma ormai sono rimasti quattorci giorni, poi tutto diventerà incerto.
La questione è antica e incredibile: non esiste un contratto con le aziende di Cerroni. Sì, dal 2009 Roma gli affida la metà dei suoi rifiuti a sulla base di un accordo “alla buona”: mai una procedura d’appalto, mai una formalizzazione. «Cerroni non fa gare, solo strette di mano», ha dichiarato un anno fa Daniele Fortini, allora presidente della municipalizzata capitolina Ama: «A Roma il mercato è fatto da un signore che dice: “Voglio 175 euro la tonnellata” e la pubblica amministrazione senza contratto, senza gara, senza bandi gli stringe la mano e glieli dà». Una condizione più che eccezionale, fuori da qualunque norma italiana ed europea. Il Supremo sa che la capitale non può fare a meno di lui. O accetta le sue regole, o la spazzatura resta nei cassonetti: «I rifiuti sono miei», è la frase con cui ha apostrofato i manager del Campidoglio.
Il suo castello è Malagrotta. Lì dopo avere dominato per decenni l’unica discarica capitolina, il più grande buco nero della monnezza italiana chiuso per volontà del sindaco Ignazio Marino, oggi possiede ancora due impianti Tmb – acronimo per trattamento meccanico-biologico – da cui dipende la pulizia della metropoli. Nel 2016 hanno inghiottito 426 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati. Quantità enormi, a prezzi ritenuti assai alti: fino a poco fa 143 euro a tonnellata mentre ora il compenso determinato dalla Regione Lazio ne riconosce 122, per un fatturato che sfiora i 60 milioni di euro l’anno. Più o meno la stessa tariffa che Roma spende per mandare una tonnellata di rifiuti in Austria, farli bonificare e poi smaltire nei termovalorizzatori, mentre il gruppo Cerroni l’incassa per la sola operazione di trattamento iniziale, condotta alle porte dell’Urbe.
Ma lo scorso aprile il trono del “re della monnezza” ha subìto un duro colpo. Dopo una lunga serie di ricorsi, è scattato il commissariamento per mafia: è l’onda lunga di un’inchiesta per traffico di rifiuti, che deve ancora essere giudicata in primo grado. La guida delle aziende è passata nelle mani di un professionista nominato dalla prefettura, Luigi Palumbo. Ed automaticamente si è mossa l’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone: basta con gli accordi ad personam e le strette di mano, bisogna fare degli appalti in regola.
Viene proposta una soluzione ponte: un contratto con il gruppo Cerroni di un anno, giusto il tempo per permettere al Campidoglio di bandire una gara. Semplice? Per nulla. Il Supremo non ci sta: così non può rientrare nei costi – sostiene – perché gli impianti hanno bisogno di interventi. E pone due condizioni: «un quantitativo minimo garantito» e una «durata stabile tale da garantire un adeguata programmazione degli investimenti». Insomma, chiede di andare avanti almeno per altri cinque anni. Addirittura rilancia, scrivendo direttamente ai vertici grillini – con lettera pubblicata sul suo sito – : si rivolge a Luigi Di Maio, ad Alessandro Di Battista e alla sindaca Raggi, proponendo un piano «per il Rinascimento di Roma». Una bella società mista tra lui e il Comune, che costruisca discarica, termovalorizzatore e centro di compostaggio con tecnologie «da fantascienza».
Il sindaco Raggi non vuole saperne di proroghe e nuove iniziative. Ma non vuole neppure assistere all’invasione dei rifiuti. Perché già da alcuni mesi si registrano problemi negli impianti di Cerroni, con improvvise riduzioni della quantità trattata. A cui si sommano difficoltà e guasti pure nelle strutture pubbliche, con un effetto sulla raccolta che preoccupa non poco il Campidoglio. Soprattutto nella tempistica: si rischia una crisi proprio nel cuore dell’imminente campagna elettorale.
Adesso il tempo è scaduto. Il mandato del commissario termina il 6 ottobre e, d’intesa con il primo cittadino, Cantone e il prefetto Basilone hanno deciso che non si può aspettare: bisogna varare subito il contratto “ricognitivo”, con una validità che non superi i sedici mesi, e bandire una gara.
E il Supremo come reagirà? Accetterà di deporre lo scettro di “re dei monnezzari”? «Non sono un ideologo, sono un uomo d’azione e di fatti», scrive sulla sua pagina web. L’interdittiva antimafia oggi gli impedisce ogni rapporto con le amministrazioni pubbliche. Ma se si piegasse alla legalità, varando una governance diversa del suo gruppo, tra 16 mesi potrebbe rispondere al bando con le carte infine a posto. Il piano della Regione infatti impone che lo smaltimento avvenga sul territorio, dove non ha concorrenti. Già, la capitale non ha mai avviato un programma per uscire dall’emergenza: nessun nuovo impianto in cantiere, nessuna discarica e così si spediscono ogni settimana migliaia di tir e di treni carichi di spazzatura in 62 siti sparsi in dieci regioni d’Italia e in quattro nazioni, dall’Austria alla Bulgaria, dalla Romania al Portogallo. Insomma, si vive alla giornata.
Una realtà che Cerroni conosce perfettamente, perché è la radice del suo potere: tutte le mattine riceve 1.250 tonnellate di immondizia e quando ha voluto è sempre riuscito a risolvere qualunque difficoltà. Ma basterebbero un paio di guasti a sommergere le strade di sacchi neri. Lo ha messo a verbale l’ex presidente di Ama, Fortini: «La patologica precarietà romana nella gestione del ciclo dei rifiuti può indurre chiunque, con una pala meccanica o con l’urto di un quadro elettrico a determinare una crisi».