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 2017  settembre 22 Venerdì calendario

Lezioni di geografia

Le elezioni (pare) si avvicinano. Non conosciamo ancora la legge elettorale né le alleanze di governo. Ma una cosa è già certa: l’informazione garantirà anche stavolta una campagna elettorale all’insegna della più rigorosa imparzialità. Senza figli e figliastri, senza sconti a nessuno. Lo dimostrano le prove generali di questi giorni, che – ove mai fosse necessario – confermano l’ottimo stato di forma del giornalismo italiano.
1) Il 15 settembre i giornaloni, avvertiti dall’Arcangelo Gabriele, informano che il procuratore di Modena Lucia Musti ha denunciato al Csm un orrendo complotto ordito, con la scusa della Consip, contro l’allora premier Matteo Renzi da due ufficiali del Noe: il colonnello “Ultimo” e il capitano Scafarto, due “esagitati”, anzi “matti” che, oltre a “scrivere le informative coi piedi” su “chiacchiere da bar”, le dissero testualmente: “Dottoressa, lei se vuole ha una bomba in mano. Lei può far esplodere la bomba. Scoppierà un casino. Arriviamo a Renzi”. Il colpo di Stato scatena lo sdegno unanime dei partiti, che chiedono pene esemplari contro i due golpisti. L’ora è grave. Tg e giornaloni fremono di sdegno, si attende ad horas lo schieramento dell’esercito regolare a presidio delle istituzioni minacciate, con cavalli di frisia alle porte e sacchi di sabbia alle finestre dei templi della democrazia in pericolo. Poi la Musti smentisce di aver mai detto quelle frasi e dal suo verbale, pubblicato dal Fatto, si scopre che non ha mai attribuito né a Ultimo né a Scafarto l’istigazione a far esplodere “bombe” contro Renzi: Ultimo le parlò di una vecchia inchiesta sulla coop rossa Cpl Concordia (legata ai nemici di Renzi) e lei non si occupava di Consip né di Renzi, diversamente da Scafarto che però mai si sognò di parlarle di “bomba”. Il presunto ordigno è una fialetta puzzolente da Carnevale, utilissima per nascondere coi suoi miasmi tre nuove conferme all’impianto accusatorio del vero scandalo Consip (tangenti per truccare il più grande appalto d’Europa e soffiate istituzionali per salvare i truccatori dalla galera): il Riesame che dà ragione ai pm sul sistema Romeo; e il patteggiamento del dirigente Consip Gasparri per una mazzetta di 100 mila euro da Romeo; il Gip che, autorizzando l’intercettazione di papà Renzi, conferma sul suo conto “gravi indizi di corruzione”.
2) Il 19 settembre il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Pd) è imputato per falso materiale e ideologico in atto pubblico, per aver retrodatato le carte del più grande appalto dell’Expo. La Procura generale chiede di rinviarlo a giudizio con due stretti collaboratori.
E stralcia per ulteriori approfondimenti l’altra accusa per cui Sala resta indagato: la turbativa d’asta. Trattandosi di un personaggio secondario, semisconosciuto, per giunta sindaco di un paesino di campagna ignoto ai più, nessun giornale italiano (a parte il solito Fatto) ritiene la notizia meritevole della prima pagina. Il Corriere la confina in basso a pagina 21, sotto il terremoto a Città del Messico, cioè negli esteri: com’è noto, Milano è in Centramerica. Stessa scelta de La Stampa che, avendo una foliazione più ridotta, la mette in fondo a pagina 15. Repubblica la piazza nella metà alta di pagina 18, ma solo perché sotto c’è un annuncio pubblicitario contro i disturbi gastrici e metterlo sopra pare brutto. Il Messaggero, impegnatissimo ad associare Virginia Raggi alle zanzare tigre e pure allo stupro di Villa Borghese (“Roma, stupri in aumento: pronto il piano. E il prefetto bacchetta la sindaca Raggi”), dà 22 righe a pagina 15. Titoli sono a fotocopia, per sottolineare l’irrisorietà della notizia: “I pm su Expo: processate Sala, ma cade l’accusa più grave” (Repubblica, che scambia uno stralcio per un’archiviazione), “Expo, chiesto il processo per Sala (ma solo per falso)” (Corriere), “‘Expo, processate Sala’. Ma cade l’accusa più grave” (Stampa), “Sala a giudizio soltanto per falso” (Messaggero). Ecco, se è “solo per falso”, che sarà mai: stupisce anzi che, per un reato così innocente e benemerito, si vada a disturbare un sindaco anziché dargli una medaglia o erigergli un monumento equestre.
3) Passiamo ora alle cose serie. Dal sobborgo Milano alla metropoli Bagheria. Anche lì il sindaco – il celeberrimo Patrizio Cinque (M5S) – è nei guai con la giustizia, ma non ancora imputato: “Solo indagato” – direbbero i giornaloni se non si trattasse di un noto serial killer – e sottoposto all’obbligo di firma per rivelazione di segreto (su un’inchiesta per abusi edilizi a carico della sorella e del cognato), abuso d’ufficio e turbativa d’asta (su un appalto per lo smaltimento dei rifiuti). Premesso che, lette le intercettazioni e soprattutto l’autodifesa sulla “giustizia a orologeria”, Cinque dovrebbe andarsene su due piedi, questa sì che è una notiziona: altro che Sala a Milano. Infatti la libera stampa le dedica sontuose aperture di pagina. Repubblica a pagina 14. Il Corriere a pagina 9 (non più negli esteri: Bagheria, diversamente da Milano, è in Italia). La Stampa a tutta 8: “Bagheria, sindaco M5S indagato. E la Procura voleva arrestarlo” (qui, per i “garantisti”, conta la richiesta del pm, non la decisione del gip che l’ha respinta). Il Messaggero, viste le dimensioni di Bagheria rispetto a Milano, passa dalla breve al paginone (tutta la 11): “Sicilia, altri guai per M5S: indagato il sindaco star”. Intanto, sempre in Sicilia, viene arrestato l’ex sindaco Pd di Vittoria (Ragusa), Giuseppe Nicosia, per voto di scambio con la mafia. Ma non merita certo l’attenzione di Bagheria: meglio le pezzature milanesi. In fondo Milano ha solo 3,2 milioni di abitanti e Vittoria appena 64 mila, contro i ben 55 mila di Bagheria Caput Mundi. Anzi, corre voce che Milano sia proprio in provincia di Bagheria.