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 2017  settembre 22 Venerdì calendario

Quell’antica bestia degli Anni 70 tornata nel Nordest della crisi. L’errore di abbandonare i tossicodipendenti

Nel Nordest l’eroina è storia antica. E dolorosa. Dopo la strage degli Anni 70, è ricomparsa nel 2006. I talebani afghani avevano stretto un patto con la mafia kosovara che si occupava di raffinare l’oppio e di esportare il prodotto finito. E così è ritornata lungo la rotta balcanica e non se n’è più andata. All’inizio si preferiva sniffarla, scaldandola sulla carta stagnola secondo la moda marsigliese.
Si pensava che fosse più «pulita» ma già nel 2007 al Sert di Padova arrivavano i ragazzini. Aveva fatto scalpore il caso di due sedicenni. Poi, a poco a poco, è tornato di moda l’ago. L’eroina, la bestia di sempre, piace così. Mentre la cocaina domina incontrastata con un aumento tendenziale del consumo e dello spaccio, la brown sugar vive momenti di popolarità solo quando ammazza. Altrimenti è routine. I consumatori sono diversi, questa è una droga che consola e la vita può essere dura, triste e senza futuro in quella terra che, un tempo, veniva indicata come la «locomotiva economica d’Italia». Ma poi, ben prima che arrivasse la crisi, il treno aveva superato il confine e solo nel primo anno si erano trasferite all’Est 15.000 aziende. L’avevano chiamata delocalizzazione. Qualche anno più tardi era rimasto un cimitero di capannoni vuoti con scritto «affittasi» in cinese perché erano gli unici che avevano il coraggio di aprire laboratori. Forse perché molti erano clandestini e la manodopera in stato di semischiavitù. Nel frattempo la politica si distingueva per le grandi opere. Con il Mose è andata male. Un miliardo solo di tangenti. Altro che Mafia capitale. Altro che Roma ladrona. E le mafie erano già arrivate da un pezzo. Sembrava che quel sistema economico, che tanto piaceva alle pagine finanziarie di mezzo mondo, fosse fatto apposta per infiltrarsi nei meccanismi e riciclare a man bassa. D’altronde un’evasione massiccia delle imposte, l’esportazione dei rifiuti industriali nella terra dei fuochi made in camorra e il lavoro nero, avevano aiutato non poco a guadagnare somme enormi. Nel Nordest non era affatto una colpa essere «spregiudicati». Anzi. E quando ci sono i soldi, la criminalità organizzata non si tira indietro. La posizione geografica aveva facilitato, subito dopo la Caduta del muro, l’insediamento di culture criminali provenienti da tutti i Paesi dell’area ex comunista. Poi sono sbarcate le altre: dall’Africa e dal Sudamerica. Ora quelle più forti si occupano soprattutto di investire in attività pulite e lasciano alle ultime arrivate il compito di gestire le strade. Prostituzione e stupefacenti.

Tra di loro difficilmente vanno d’accordo, cercano continuamente di fregare il mercato ai concorrenti ma non si ammazzano quasi più. L’ultima cosa che vogliono è attirare l’attenzione delle forze dell’ordine. E dei media. Per questo la tragica catena di decessi per overdose nella provincia di Venezia è un’anomalia. Causata da un lato dalla gestione dilettantesca di qualche organizzazione emergente che ha immesso nel mercato una miscela mortale o eroina troppo pura. Dall’altro dal prezzo che si è abbassato al punto che un tossicodipendente si può permettere di acquistare più «buchi» del solito. Questa situazione non durerà a lungo. Le massicce operazioni di Polizia hanno chiuso il mercato nella zona della stazione di Mestre. Gli arresti sono dietro l’angolo: i confidenti nell’ambiente sono tanti e in casi come questi possono essere decisivi per smantellare la rete di pusher, responsabile della strage degli ultimi due mesi.
Certo, rimarrà il degrado. Non solo sociale ma anche culturale sulla tossicodipendenza. Le morti di overdose riguardano soprattutto persone non in cura presso i centri. E non è solo un problema individuale o famigliare. È soprattutto territoriale. Le amministrazioni tagliano i fondi all’assistenza e alla solidarietà ma è un errore strategico: abbandonare i tossicodipendenti al loro destino non aiuta ad arginare il fenomeno.