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 2017  settembre 20 Mercoledì calendario

Ci siamo arrivati: una classe di soli stranieri

Nell’unica prima elementare della scuola “Antonio Rosmini” di Padova non ci sono bambini italiani. Tutti i ventiquattro piccoli alunni sono stranieri. Ci sono bimbi cinesi, bengalesi, nigeriani, pachistani, rumeni e moldavi. Tutti sono figli di immigrati. Di bambini nati da genitori autoctoni nemmeno l’ombra. 
Ma come si è arrivati a questa situazione? Le spiegazioni possibili non ci sembrano molte. O chi ha provveduto a formare la classe non si è accorto di niente, anche se è piuttosto difficile non notare la totale assenza di cognomi italiani nell’elenco degli iscritti. Oppure il preside se ne è reso conto e ha ignorato il problema che magari non ha considerato tale. Oppure, dato che alle “Rosmini” di Padova negli ultimi anni il numero di studenti stranieri è cresciuto esponenzialmente, i genitori italiani hanno preferito iscrivere i propri figli in altri istituti per non correre il rischio che le lezioni fossero rallentate a causa delle normali difficoltà di apprendimento di chi proviene da famiglie in cui si parlano altre lingue e in cui esistono differenti culture e stili di vita. 
E già sentiamo pioverci addosso le solite accuse di razzismo: quelli di Libero sono i soliti xenofobi, ora hanno cominciato a prendersela anche coi bambini stranieri, vergogna! E invece no, perché anche questa volta riportiamo solo i fatti e ci limitiamo a descrivere una situazione che a breve potrebbe diventare sempre più frequente in tutto il Paese. 
Lo stesso padre di una bambina egiziana che da quest’anno frequenta le “Rosmini” si lamenta. Ha una figlia più grande che invece fa la quarta in un altro istituto dove solo i bambini stranieri sono la metà. «Chissà perché qui», dice, «è stata formata una classe intera con tutti alunni figli di immigrati. Così non va bene. Che tipo di integrazione sia linguistica che culturale ci può essere quando non c’è nessun bambino figlio di italiani?». Ma come il padre egiziano, anche altri genitori di bimbi stranieri protestano. «Sono arrivata solo due settimane fa» si difende la preside, Maria Mapelli. «La formazione delle classi era già stata fatta. Ma non dico questo per scaricare eventuali responsabilità sul mio predecessore che, 
a quanto mi hanno riferito le docenti e i rappresentanti di classe, ha lavorato bene e ha sempre tenuto un buon dialogo con tutti». La preside, che cerca comprensibilmente di smorzare le polemiche, sottolinea poi che molti dei bambini iscritti alla prima elementare sono nati in Italia e hanno frequentato l’asilo nel Padovano. 
Dunque, a suo dire, sarebbero perfettamente integrati. Però aggiunge: «Vorrà dire che quest’anno faremo di più per l’integrazione. Non a caso come scuola abbiamo già aderito al progetto del ministero dell’Istruzione, denominato “Fami”, che tra le altre cose prevede l’insegnamento della “Lingua Italia 2” da parte di docenti assunti esclusivamente per tale funzione intesi come mediatori per l’intercultura e la coesione sociale in Europa». 
Duro il commento dell’assessore veneto all’Istruzione, Elena Donazzan (Forza Italia): «Di fatto, in questo modo, l’italiano viene insegnato come una seconda lingua. Non è accettabile. Nel 2009, quando già ricoprivo questo ruolo, nelle linee guida della Regione introdussi il tetto del trenta per cento di alunni stranieri per ogni classe, è una soglia ragionevole, superarla significa creare problemi alla didattica. Il governo Berlusconi ne fece successivamente una circolare a livello nazionale. Casi come quello di Padova non aiutano né la scolarizzazione né l’integrazione. Qui da noi cominciano a esserci situazioni analoghe in tante altre scuole» aggiunge l’assessore veneto. «Nella mia città, Bassano del Grappa (nel Vicentino, ndr), in una classe elementare di una scuola storica, la “Giuseppe Mazzini”, ci sono solo due bambini italiani su venti». 
In più di ottocento classi del Veneto il numero di studenti stranieri è superiore rispetto a quello degli italiani. A gennaio avevamo scritto della scuola “Giulio Cesare” di Mestre, in provincia di Venezia, dove il settanta per cento degli iscritti erano figli di immigrati e dove c’era una classe composta da ventiquattro ragazzini bengalesi e uno solo italiano.