la Repubblica, 21 settembre 2017
Thyssen-Tata, un gigante d’acciaio 4000 esuberi, ma l’Italia non rischia
ROMA Il gigante è nato. La gestazione è durata quasi due anni, ma infine da un matrimonio indoeuropeo, come già successo con ArcelorMittal, è venuto alla luce il secondo colosso europeo dell’acciaio che, fin dai primi passi, scuoterà il mercato del vecchio continente trasmettendo vibrazioni un po’dovunque. Non esclusa la Cina, leader globale del settore. È stato battezzato con il nome di “Thyssenkrupp Tata Steel”, perchè si tratta della joint venture che tiene insieme le attività siderurgiche europee del gruppo tedesco e della conglomerata indiana, ovvero un totale di 34 fabbriche (quelle in Inghilterra e Paesi Bassi di Tata e quelle in Germania di Thyssen), 48 mila lavoratori, 21 milioni di tonnellate annue di acciaio commercializzato per 15 miliardi di euro. Con l’obiettivo di sinergie comprese tra i 400 e i 600 milioni di euro, sempre su base annua. Ma anche con la prospettiva di 4000 esuberi che hanno fatto alzare immediatamente le barricate ai sindacati e alla politica in Germania, peraltro alla vigilia delle elezioni. E hanno innescato preoccupazioni anche in Italia dove ThyssenKrupp controlla la Acciai speciali Terni: «Terni ha già pagato il conto di accordi non industriali – l’allarme lanciato dal senatore del Pd Gianluca Rossi e ha subito tagli e ripercussioni sociali, per cui si manifestino chiaramente i piani di Thyssen-Krupp, senza lasciarci nuovamente in balia di fumosità». In realtà il ThyssenKrupp Regional Office italiano ha diffuso una nota nella quale sottolinea che «Ast, come le altre attività dell’area Material Services di cui fa parte, non è interessata alla joint venture». Insomma, ThyssenKrupp si tiene stretta Terni perchè la fabbrica italiana sta ricominciando a macinare utili. Anche se, in una logica industriale, un’azienda come Ast, l’unica che produce inossidabile tra Thyssen (che le altre le ha cedute in passato) e Tata (che non ne ha), in prospettiva potrebbe anche rientrare nella joint.
Ma questo si vedrà in un futuro non troppo vicino, visti i tempi di concretizzazione dell’accordo: al momento è stato siglato il memorandum of understanding, mentre il closing definitivo (che contempla un livello paritario sia per la governance che per la distribuzione degli esuberi) è previsto nei primi mesi del prossimo anno seguito, entro il 2018, dal nulla osta delle autorità antitrust.
La nuova holding, con sede in Olanda, avrà una doppia struttura di management e di supervisory board. Verranno mantenuti anche i quartier generali in Germania, Olanda e Inghilterra, mentre i poli produttivi di Duisburg (Germania), Ijmuden (Olanda) e Port Talbot (Regno Unito) saranno i capisaldi dell’intero sistema produttivo. «Questa joint venture – ha detto Heinrich Hiesinger, Ceo di ThyssenKrupp – è l’unica opzione che affronta in maniera concreta le sovraccapacità strutturali del mercato europeo dell’acciaio e che, al tempo stesso, crea un valore aggiunto sostanziale attraverso le sinergie». L’impresa comune, ha aggiunto Hiesinger facendo tramontare tutte le ipotesi di abbandono della siderurgia da parte del gruppo tedesco, «consente a ThyssenKrupp di mantenere la sua presenza nel settore acciaio, un chiaro segno di impegno alle nostre radici». Il governo tedesco, attraverso il ministero dell’Economia e quello del Lavoro, ha auspicato un accordo delle aziende con le parti sociali, esprimendo «contrarietà ad una fusione ad ogni costo». Sindacati tedeschi in allarme, così come quelli olandesi: i 4000 esuberi spaventano e non si escludono azioni legali.