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 2017  settembre 21 Giovedì calendario

L’eterna rivoluzione del sangue sciolto. Non solo Di Maio, il bacio dell’ampolla dalla Repubblica del ’99 al massone Garibaldi

Era il maggio del 1799, il glorioso Novantanove della laicissima Repubblica Napoletana, ed Eleonora Fonseca Pimentel esultava sul Monitore Napoletano, organo ufficiale del governo rivoluzionario e filofrancese: “Pure san Gennaro si è fatto giacobino”.
Più modestamente, ieri sul Corriere della Sera, Massimo Gramellini nella sua rubrica in prima pagina ha vergato lamenti sabaudi perché la “rivoluzione” grillina è finita con il “chierichetto” Di Maio che bacia l’ampolla del sangue sciolto di san Gennaro. Un altro “masaniello devoto” dopo Bassolino e De Magistris, altri baciatori eccellenti o “professionisti dell’ampolla”, come li ha chiamati il Foglio.
Ora, il punto non è di Di Maio (che peraltro ha risposto in maniera paesana e sbagliata, riducendo il tutto a mera “festa patronale”), ma proprio san Gennaro. Anzi, il sangennarismo, fenomeno che va oltre la fede e diventa categoria ontologica, non solo antropologica, in cui il sangue si storicizza e si dialettizza. Il sangue come spirito. Altro che superstizione o paganesimo. Il contenuto dell’ampolla è solo dettaglio.
Prova ne è proprio il Novantanove. I francesi arrivarono a Napoli e il popolo aspettava la reazione del Santo, come ben racconta Francesco Paolo de Ceglia in Il segreto di san Gennaro (Einaudi, 2016). Invece il miracolo, anzi il prodigio, si verificò due volte, a gennaio e a maggio, e il popolo insultò la statua in processione: “Va’, vattenne santo Jennaro puorco; anche tu si’ giacomino, pu, pu! Vattenne da ccà! Nun ce passà cchiù pe ccheste bie! Nun te volimmo guardà cchiù ’n faccia. Pu, pu! Puorco giacomino”. “Vai, vattene san Gennaro porco; anche tu sei giacobino! Vattene da qua! Non passare più per queste strade! Non ti vogliamo più guardare in faccia. Porco giacobino”.
La litania degli insulti a san Gennaro è materia vasta ed è un capitolo a parte (e anche questo rientra nel sangennarismo, fenomeno unico al mondo) ma restiamo nella storia. Quando la Repubblica finì e la Pimentel impiccata come tanti altri rivoluzionari, i sanfedisti per ripicca cambiarono patrono e scelsero sant’Antonio da Padova. Benedetto Croce racconta come “gli imbrattatele della rua Catalana esposero un grande quadro in cui sant’Antonio, armato di verghe, sferzava san Gennaro che scappava con una bandiera tricolore in una mano e nell’altra un pacco di corde destinate ai realisti”.
Non furono però soltanto i repubblicani del Novantanove, napoletani e francesi, a volere il sangue del Santo dalla loro parte. La superstizione, per dirla con il sabaudo Gramellini, non risparmiò il Gran maestro massone Giuseppe Garibaldi, eroe dei due mondi. Il liberatore oppure il “redentore”, come venne chiamato all’epoca, si presentò nel Duomo e si arrabbiò pure perché non riuscì a ricevere “la fluida benedizione”: i cancelli che proteggevano la reliquia rimasero chiusi.
In vista poi del 19 settembre 1860, i garibaldini mandarono avanti padre Gavazzi, cappellano in camicia rossa: “Al termine del suo infiammato discorso, egli parlò delle baionette e dei cannoni dei Cacciatori delle Alpi. ‘Il sangue, domani, deve liquefarsi e si liquefarà’, esclamò, brandendo il crocifisso, con gesto minaccioso, verso il palazzo ch’era stato quello dei re delle Due Sicilie. ‘Se no, a farlo liquefare, ci penserà Garibaldi’”. Garibaldi, per inciso, che non era proprio un Di Maio del Risorgimento.