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 2017  settembre 21 Giovedì calendario

Uffa che truffa

Qualcuno dirà: uffa che barba che noia, ancora la legge elettorale? È quello che i partiti sperano che noi diciamo, per poterci fregare meglio, prendendoci per sfinimento. E c’è il rischio che ci riescano, visto che della nuova legge elettorale si discute da quando fu approvata l’ultima entrata in vigore: il Porcellum. Era il dicembre 2005, il centrodestra era dato per spacciato alle elezioni del 2006 contro l’Unione di Prodi e si inventò una legge truffa per almeno pareggiarle con due diversi premi di maggioranza tra Camera e Senato (uno su base nazionale, l’altro su scala regionale); e, già che c’era, per regalare a B. (e a tutti gli altri capipartito) il potere di vita o di morte sui parlamentari, non più eletti ma nominati col trucco delle liste bloccate. Risultato: Prodi si ritrovò con una buona maggioranza alla Camera, ma con un margine risicatissimo al Senato (3 soli seggi, poi erosi dalle compravendite berlusconiane, dai doppi giochi della sinistra radicale e infine dal ribaltone di Mastella). Una porcata, per ammissione dello stesso autore Calderoli, tradotta da Sartori in Porcellum, per assonanza col Mattarellum, il sistema misto fra maggioritario (75%) e proporzionale (25%) utilizzato alle elezioni del 1994, del ’96 e del 2001. Col Porcellum si votò nel 2006 (governo Prodi-2), nel 2008 (Berlusconi-3 e Monti) e nel 2013 (Letta, Renzi e Gentiloni).
Poi, nel 2013, la Consulta lo bocciò e, svuotandolo di tutti profili incostituzionali (dal premio di maggioranza alle liste bloccate), lo trasformò in un sistema molto simile a quello usato nelle elezioni del ’92: proporzionale puro a preferenza unica. Però si disse che quel sistema non garantiva la governabilità, anche perché nel frattempo – con l’irruzione in Parlamento dei 5Stelle – il sistema da bipolare era diventato tripolare. Così Renzi, B. e Verdini scrissero l’Italicum: capilista bloccati (2/3 dei parlamentari nominati dai capipartito) e niente più coalizioni, ma premio di maggioranza alla lista che arrivava prima, purché superasse il 40% dei voti; altrimenti si andava al ballottaggio e il primo si pappava il 55% dei seggi. Ma valeva solo per la Camera, perché il Senato non sarebbe più stato elettivo, come da controriforma costituzionale che – pensava il Bomba con Napolitano e Mattarella – sarebbe stata certamente approvata al referendum del 4 dicembre 2016. Invece vinse il No e subito dopo, nel gennaio 2017, la Consulta bocciò l’Italicum: via il ballottaggio, via il premio di maggioranza, ma non i capilista bloccati. Da allora l’Italia ha due leggi elettorali, entrambe ritagliate dalla Consulta da quelle incostituzionali di B. & Renzi.
Al Senato quel che resta del Porcellum: proporzionale con sbarramento all’8%. Alla Camera quel che resta dell’Italicum: proporzionale con sbarramento al 3%. Si può votare subito, ma Mattarella dice che le due leggi vanno “armonizzate”: non è vero, anzi il Senato ha sempre seguito regole diverse dalla Camera, ma rinviare le urne fa comodo a tutti. E, a giugno, riparte la rumba della legge elettorale. Stavolta su basi decenti: l’accordo fra i partiti maggiori (M5S, Pd, FI, Lega) sul modello tedesco: un misto di maggioritario e proporzionale basato sulle liste e non sulle coalizioni. Poi però, di mano in mano, il tedesco diventa sempre più italiano, un Porcellitalicum con la stragrande maggioranza di nominati (capilista bloccati, liste bloccate e niente voto disgiunto, previsto invece in Germania). I 5Stelle chiedono di levarli e Renzi, per non restare solo a difendere una legge impopolare e non bruciare i ponti con Pisapia&C., fa saltare il banco col pretesto di un sacrosanto emendamento che estende la legge al Trentino Alto Adige.
Ora, quando tutti pensavano che si sarebbe votato con i due Consultellum proporzionali, riecco i renziani in azione col Rosatellum-bis, bocciato da B. e dallo stesso Pd a maggio perché premia le coalizioni e penalizza le liste singole. Ora Pd e FI, terrorizzati dal M5S, si sono convertiti alle coalizioni. Il Rosatellum, con rispetto parlando, funziona così. L’elettore riceve una sola scheda per ogni Camera: a sinistra l’elenco dei candidati, uno per partito o coalizione, nel collegio uninominale (chi prende più voti vince); a destra i listini bloccati dei partiti nella circoscrizione proporzionale (senza preferenze: decide il capo-partito, compilando le liste, chi piazzare ai primi posti con l’elezione garantita). Il voto disgiunto è vietato: chi sceglie una lista deve ciucciarsi il relativo candidato uninominale anche se non gli va, o viceversa. La soglia di sbarramento la deciderà Alfano, dunque sarà come lui: prossima allo zero. Una porcata con tre truffe.
1) Due parlamentari su tre sono nominati dai capi (quota proporzionale) e solo uno (quota uninominale) è scelto dagli elettori.
2) I partiti si coalizzano nei collegi, con tanti simboli (anche di liste civetta e patacca) accanto a un solo candidato, per fare massa e battere la concorrenza, salvo tornare a dividersi il giorno dopo le elezioni; ma corrono da soli, ciascuno con la sua lista, nelle circoscrizioni proporzionali, per poi coalizzarsi dopo il voto (magari con altri rispetto ai finti alleati di collegio).
3) Centrodestra e centrosinistra si fingono uniti nella parte sinistra della scheda, poi si dividono subito dopo le urne per dare vita all’agognato inciucione Pd-FI-Ap, con molti più seggi di quelli che spetterebbero loro in base ai voti raccolti e soprattutto ai voti che prenderebbero se dichiarassero le loro vere intenzioni prima delle urne. E naturalmente la prima forza politica del Paese, il M5S, non avendo alleati, avrà metà dei seggi che gli spetterebbero in base ai suoi voti. Pensate ancora che la legge elettorale sia noiosa e vada lasciata in mano a questi manigoldi? Noi no.