La Stampa, 20 settembre 2017
Isso 333 a.C. Alessandro contro Dario così si conquista la pace. A tu per te col Gran Re dei Persiani
In uno dei reperti più interessanti conservati nel Museo archeologico di Istanbul, si vede un destriero arrembante montato da un cavaliere nell’atto di sgominare una moltitudine di nemici, con la destra levata che in origine doveva brandire una lancia. È un sarcofago di marmo pentelico del tardo IV secolo a. C., ritrovato a Sidone e appartenuto al locale re Abdalonimo, ma è noto come «sarcofago di Alessandro», perché è proprio lui, Alessandro III il Grande, il guerriero raffigurato in altorilievo all’estremità sinistra del lato lungo frontale. La tipologia compositiva è la medesima del meraviglioso mosaico romano del I secolo a. C. che si può ammirare nel Museo archeologico di Napoli, una delle immagini più celebri del Megaléxandros, oltre un milione e mezzo di tessere su una superficie di 18 metri quadri, riemerso dalla Casa del Fauno di Pompei. Anche la situazione rappresentata è la stessa: si tratta della battaglia di Isso, al confine tra Cilicia e Siria, combattuta nel 333 a. C. dal Macedone contro il Gran Re dei Persiani Dario III.
Civiltà e barbarie
Alessandro era salito al trono tre anni prima, appena ventenne, in seguito alla morte violenta del padre Filippo II. Dopo essersi assicurato il controllo della Grecia continentale, fino alla Tracia e all’area illirica e danubiana, nel 334 si era volto all’Asia. Con lui uno dei più fidati generali di Filippo, Parmenione: guidavano un esercito di 37.500 soldati – 32.000 fanti e 5.500 cavalieri – tra macedoni, alleati greci e mercenari, oltre alla consueta corte di scienziati, artisti, sacerdoti, indovini e storici, tra i quali Callistene, un parente di Aristotele, incaricato di tramandare le gesta del sovrano.
Nella mente del giovane condottiero la spedizione si poneva in ideale continuità con lo storico conflitto tra civiltà ellenica e barbarie asiatica, che aveva il suo precedente mitico nella guerra cantata da Omero e quello più prossimo nelle aggressioni di Dario e Serse portate all’inizio del V secolo direttamente sul sacro suolo greco. Questa volta però le parti si invertivano, la vendetta doveva essere totale. Gli atti compiuti da Alessandro prima e dopo il passaggio dell’Ellesponto hanno una evidente valenza simbolica: dal sacrificio offerto nel Chersoneso tracico sulla tomba dell’eroe Protesilao, il primo caduto di parte achea della guerra di Troia, a quelli sui presunti sepolcri di Achille e Patroclo, sul sito dell’antica Ilio. Attenzione, però. Un altro gesto non va sottovalutato: il sacrificio di riconciliazione in onore di Priamo, il vecchio re troiano ucciso da un suo antenato materno, Neottolemo figlio di Achille.
Il nodo di Gordio
Alla battaglia di Isso il Macedone arrivò dopo una serie di fulminanti vittorie. All’inizio del 333 era padrone di tutta l’Anatolia occidentale, dalla Licia alla Panfilia alla Frisia, nella cui capitale, Gordio, tranciò di netto con la spada il celebre nodo che prometteva a chi l’avesse sciolto il dominio dell’Asia. Una leggenda, probabilmente, come le altre messe in giro da Callistene, a alimentare quel mito del Megaléxandros miracoloso che avrebbe avuto universale diffusione fino al Medioevo, in Occidente come in Oriente. Ma siccome la controffensiva del nemico, guidata dal mercenario greco Memnone, puntava al controllo dell’Egeo, minacciando le nuove conquiste macedoni e la stessa madrepatria ellenica, Alessandro si disinteressò del resto dell’Anatolia e puntò direttamente a Sud verso la Cilicia, cruciale base d’appoggio per la flotta persiana. In questo modo avrebbe finalmente stanato Dario, tenuto a scendere in campo dal suo ruolo di rappresentante in terra di Ahura Mazda. Era lui che voleva.
E Dario non si tirò indietro, con un esercito che comprendeva numerosi mercenari greci e secondo le ricostruzioni più attendibili era almeno due o tre volte superiore a quello dell’invasore. Si mosse con la sua corte e l’intero harem – madre, figli e concubine compresi – aggirando da Oriente il monte Amano per poi ridiscendere verso la costa con l’intento di chiudere l’avversario alle spalle. Saputo dei suoi movimenti, Alessandro – che nel frattempo si era spinto fino a Iskenderun (Alessandretta) – operò una rapida conversione verso Nord. All’inizio di novembre gli eserciti avversari erano schierati sui due lati del fiume Pinaro – a Sud i Greci, a Nord i Persiani – nei pressi della località (mai chiaramente identificata) tramandata come Isso. L’errore di Dario fu di schierarsi su una pianura troppo stretta per poter dispiegare adeguatamente la cavalleria, il suo corpo principale. Ma anche per la falange macedone il terreno non era ideale.
Parole sferzanti
Dopo laboriose manovre di piazzamento sui due fronti, Alessandro iniziò l’attacco con la cavalleria sul fianco destro di Dario, con l’obiettivo di convergere poi verso il cuore del suo schieramento. Ma aveva sbagliato i calcoli, perché fin dall’inizio i difensori presero il sopravvento. Per i Greci si profilava una cocente disfatta. Fu a questo punto che Alessandro in persona, ponendosi al centro del fronte offensivo, riuscì a sbaragliare la fanteria persiana e con una manovra di aggiramento raggiunse quasi il carro del Gran Re, che preso dal panico si diede alla fuga lasciando campo libero al nemico.
Per il Macedone fu una vittoria totale, che gli garantiva il controllo delle città costiere della Fenicia e gli apriva la via per l’Egitto, dove sarebbe stato accolto come un liberatore – figlio di Amon, al pari dei faraoni – dopo due secoli di intermittente soggezione ai Persiani. Secondo Callistene, tra i Greci i caduti furono appena 150, mentre Plutarco ne annoverò ben 110 mila tra gli sconfitti. Cifre ovviamente esagerate. Ma in mano al trionfatore, dopo un ulteriore attacco su Damasco, oltre alla cassa e alle salmerie persiane rimase la famiglia di Dario. Con una serie di lettere ufficiali il Gran Re ne chiese la liberazione, dapprima prospettando un patto d’alleanza e qualche rinuncia territoriale, poi offrendo a Alessandro di condividere il suo stesso rango regale e mettendogli a disposizione tutti i territori a Ovest dell’Eufrate, oltre a un risarcimento di diecimila talenti e alla mano di una delle sue figlie. Nel consiglio dei fedelissimi del Macedone la discussione fu accesa, con il prudente Parmenione in particolare a sollecitare le ragioni dell’accordo. Ma il condottiero vittorioso aveva ormai in mente qualche cosa di più grande e inusitato: voleva tutto.
Ed ecco la sua risposta, riportata da Arriano nell’Anabasi di Alessandro (composta quattro secoli più tardi, ma sulle basi di una scrupolosa documentazione). Dopo avere rinfacciato a Dario le sue responsabilità, accusandolo tra l’altro di essere il mandante dell’uccisione di Filippo, lo chiama al suo cospetto, se vuole rivedere i famigliari: «Chiedi e otterrai, sarà tuo tutto ciò che mi persuaderai a darti». Ma il tono è sprezzante: «Per il futuro, se mandi qualcuno da me, invialo al re dell’Asia» (pròs basiléa tês Asías; attento alle distinzioni lessicali, nei confronti dei Greci si proclamava soltanto eghemón, comandante supremo). «E non scrivermi da pari a pari, ma se vuoi qualcosa, manifestalo a me come a colui che è padrone di tutti i tuoi beni. Altrimenti prenderò decisioni su di te come colpevole verso la mia persona. E per il regno, se per caso hai parere contrario, combatti a piè fermo per esso e non fuggire, poiché io dovunque tu sia ti raggiungerò». Non proprio le parole di chi, dopo la guerra, aspira alla pace. Però…
Il grande rimescolamento
Torniamo a Istanbul, al Museo archeologico, e giriamo intorno al sarcofago di Alessandro. Sul lato lungo posteriore scopriamo ancora i Greci e i Persiani, questa volta non più opposti in battaglia bensì accomunati in una scena di caccia. Sono passati alcuni anni, Dario è stato ucciso in una congiura dei suoi satrapi e Alessandro, dopo averlo braccato in ogni landa sempre più a Oriente, gli ha tributato solenni onori funebri, ormai pienamente calato nel ruolo di legittimo successore della dinastia achemenide, di cui ha mantenuto l’organizzazione amministrativa (affidata ora ai suoi ufficiali). Non riuscirà a realizzare il sogno dell’impero, perché morirà prima, colpito da una febbre che lo consumerà nel giro di dodici giorni nel giugno del 323 a Babilonia, a 32 anni. Ma intanto aveva avviato la grande sintesi culturale di elemento greco e elemento asiatico, aveva imposto, contro le resistenze dei suoi, il bacio della mano e la genuflessione davanti al sovrano, addirittura aveva sancito nel sangue la fusione di Occidente e Oriente con le nozze di massa celebrate nella primavera del 324 a Susa, la capitale dei Gran Re, tra 80 ufficiali macedoni e 80 nobili persiane – e lui stesso, già sposato con la battriana Roxane, prese come mogli Statira, la figlia di Dario che era stata sua prigioniera, e Parisatide, figlia del precedente Gran Re Artaserse Oco. Dopo la morte di Alessandro, il suo impero si frantumò tra i Diadochi che cominciarono a farsi guerra, ma ormai il grande rimescolamento era in atto e avrebbe contrassegnato il resto dell’età antica.