Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  settembre 21 Giovedì calendario

Germania, l’egemone meno riluttante. Dalla crisi dei migranti al salvataggio della Grecia

Quando la chiamano “il leader del mondo libero”, la prima a schermirsi è lei. Angela Merkel, che alle elezioni tedesche di domenica va alla ricerca del quarto mandato da cancelliere, sa di non volere e di non poter esercitare questo ruolo. E, tuttavia, una sequela di eventi imprevisti e tutti sfavorevoli, dall’invasione russa della Crimea, alla crisi dei rifugiati, a Brexit, all’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, l’ha costretta ad assumere una posizione più prominente sulla scena globale. Di volta in volta, ha proceduto per reazioni successive, pur senza elaborare una visione, ma collocandosi sempre di più al centro di un mondo che di leader non ne ha più.
Della fortunata etichetta della Germania come “egemone riluttante”, se in Europa molti ritengono ecceda in egemonia, nel quadro internazionale ha sempre prevalso la riluttanza, anche per ovvie ragioni storiche. Una posizione sempre più difficile da tenere nell’ultimo quadriennio di Governo Merkel e che lo diventerà ancora di più nel prossimo mandato. «Il prossimo Governo tedesco – scrivono Christian Moelling e Daniela Schwarzer in un lungo studio che il centro studi Dgap ha dedicato alla politica estera in vista del voto – si troverà di fronte a una costellazione particolarmente complessa di sfide».
La stabilità del Paese e la longevità al potere del cancelliere, che, già da 12 anni al Governo, sopravanza di gran lunga in esperienza gli altri principali leader mondiali, favoriscono l’affermazione di un ruolo più assertivo della Germania nel mondo, come ha provato a teorizzare nel 2014 l’allora ministro degli Esteri, e oggi presidente della Repubblica, Frank-Walter Steinmeier. «Nelle sue politiche verso la Russia, la Turchia, la Cina e gli Stati Uniti – sostiene Mark Leonard dello European Council on Foreign Relations – la Germania sta usando in misura crescente la sua forza economica per far progredire i suoi obiettivi strategici».
I tre pilastri della politica estera tedesca – la partecipazione a un ordine mondiale basato sulle regole, l’integrazione europea e la stretta collaborazione con gli Stati Uniti – sono tutti e tre da qualche tempo sotto attacco e continueranno a esserlo nel prossimo quadriennio. Le turbolenze nell’ordine mondiale sono molto di più che un problema teorico per la Germania, osservano Moelling Schwarzer.
L’elemento più rilevante per la Germania nel cambiamento dello scenario globale è stata probabilmente l’elezione di Trump. La signora Merkel è stata pressoché l’unica a reagire alle posizioni adottate prima dal candidato, poi dal neo-eletto Trump, con un richiamo ai “valori” fondanti dell’Occidente. E, dopo un incontro bilaterale al G7 di Taormina, in apparente esasperazione nei confronti degli atteggiamenti del presidente degli Stati Uniti e del suo neo-isolazionismo, ha detto: «Dobbiamo prendere il nostro destino nelle nostre mani».
Il che non significa, tutt’altro, rompere con l’America di Trump, così come il cancelliere ha mantenuto un canale di comunicazione con il presidente russo, Vladimir Putin, cercando un contenimento del conflitto in Crimea e Ucraina, Anche se poi è stata l’artefice principale dell’adozione e del mantenimento delle sanzioni europee a Mosca, nonostante le pressioni dell’establishment economico tedesco.
Con gli Stati Uniti il discorso è diverso, anche se da Trump viene la principale minaccia al sistema multilaterale del commercio di cui la Germania, il più grande esportatore mondiale, è uno dei principali beneficiari. Berlino, per esempio, ha risposto positivamente ai richiami della nuova amministrazione americana per l’aumento della spesa militare, in modo da avviarsi, seppure lentamente, verso il raggiungimento dell’impegno Nato del 2% del Prodotto interno lordo (oggi la Germania è all’1,2%), e già da tempo è più attiva in missioni internazionali dall’Afghanistan, al Mali, alla Lituania.
Ma i problemi per Angela Merkel non si limitano ai difficili rapporti con le due superpotenze tradizionali (mentre il pragmatismo di entrambe le parti, e il reciproco interesse, sembrano aver favorito relazioni meno travagliate con la Cina). Le controparti più spinose, su cui pesa in entrambi i casi la questione dei rifugiati, sono sulla frontiera orientale della Germania, con le diatribe con i Governi nazionalisti di Polonia e Ungheria, che rischiano di sfilacciare l’integrazione europea, e soprattutto nel confronto con la Turchia di Recep Tayyp Erdogan, che pare aver fatto della provocazione a Berlino uno degli strumenti essenziali della sua politica estera. Eppure, Erdogan resta un partner indispensabile dopo che l’accordo con Ankara, finanziato con i fondi europei, ha bloccato l’onda dei migranti che nel 2015 aveva rischiato di travolgere la popolarità del cancelliere. La presenza di una minoranza turca di diversi milioni all’interno dei confini tedeschi è un altro elemento di disturbo, che Erdogan ha cercato di sfruttare per i propri fini, anche interni.
Il fatto che, a pochi giorni dal voto, il cancelliere Merkel si sia presa il tempo di avanzare una sorta di candidatura a far da mediatore sul caso Corea del Nord è un esempio della consapevolezza di non poter assistere senza intervenire a un’escalation potenzialmente devastante. Un altro segnale della necessità di un ruolo più attivo sullo scacchiere globale è venuto dal fatto che nell’unico dibattito della campagna fra la signora Merkel e il suo principale rivale, Martin Schulz, la politica estera abbia occupato una parte rilevante della discussione.
La difficoltà per Berlino nell’assumere qualche forma di leadership internazionale è stata però messa crudamente in luce al G20 del luglio scorso ad Amburgo, dove, di tutti gli sforzi della presidenza tedesca, il risultato concreto più significativo è stato probabilmente il piano di aiuti all’Africa, un esito importante, ma non certo decisivo per i futuri assetti del quadro globale. Volente o nolente, nei prossimi quattro anni in politica estera il cancelliere Merkel dovrà fare di meglio.