Corriere della Sera, 20 settembre 2017
Alla buvette tè inglese. E scoppia la rivolta dei deputati scozzesi
Londra In Gran Bretagna per dire «tempesta in un bicchier d’acqua» si usa «tempesta in una tazza da tè»: ed è quella che si è scatenata a Edimburgo, quando si è scoperto che il tè servito al Parlamento scozzese viene fornito dagli odiati inglesi o non da un produttore nazionale. Scandalo e proteste dei deputati, che chiedono di ristabilire prontamente l’orgoglio ferito: anche perché le due bevande differiscono non poco, essendo le miscele scozzesi ben più robuste e degne delle selvagge Highland di quelle servite a sud del Vallo di Adriano ai debolucci inglesi.
In particolare, l’indigesto tè che gli indispettiti deputati scozzesi sono costretti a ingurgitare proviene da Jacksons di Piccadilly, a Londra: casa fondata ai primi dell’Ottocento che ha ottenuto il sigillo reale già nel 1890 e che oggi è di proprietà della ben nota Twinings, anch’essa azienda londinese. Mentre le linee guida ufficiali del Parlamento di Edimburgo richiedono esplicitamente di «promuovere i prodotti scozzesi».
«I cittadini che hanno visitato Holyrood (sede dell’assemblea, ndr ) hanno espresso sorpresa al fatto che non sia un fornitore di tè locale ad avere i suoi prodotti in uso o in vendita al Parlamento», ha scritto in una lettera il deputato conservatore Miles Briggs. Che ha quindi chiesto di correre ai ripari e di rifornirsi da Brodies, produttore di tè che si trova a sole cinque miglia dal Parlamento e che ha nella sua gamma l’orgoglioso «Edinburgh tea» oltre al fiero «Scottish breakfast tea», «indispensabile per un avvio civilizzato della giornata».
Ma il suo collega Murdo Fraser, anch’egli conservatore, ha suggerito un approccio bipartisan, proponendo di offrire una scelta di tè sia inglesi che scozzesi in modo da lasciare la decisione ai clienti: «Credo che i bevitori di tè al Parlamento scozzese saluterebbero magari una varietà di miscele in offerta, sia dalla Scozia che da altre parti del Regno Unito», ha commentato.
La questione, però, ha un risvolto politico terzomondista, oltre che nazionalista: perché un portavoce del Parlamento di Edimburgo ha spiegato che loro sono obbligati a rifornirsi da produttori che praticano il commercio equo e solidale con i Paesi in via di sviluppo, condizione finora non soddisfatta dalle aziende scozzesi. Di qui la necessità di rivolgersi agli inglesi, anche se la porta resta aperta agli scozzesi quando adegueranno i loro standard.
Resta una domanda: la prossima volta che la premier scozzese Nicola Sturgeon riceverà in visita Theresa May, cosa le offrirà da bere?