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 2017  settembre 18 Lunedì calendario

Real Zizou

Chi lo avrebbe detto: due Champions League vinte, una dopo l’altra. L’anno scorso soffrendo contro i cugini dell’Atletico, a giugno spazzando via la sua amata Juventus. È stato il primo allenatore ad. alzare il trofeo due volte di fila da quando la Coppa dei Campioni ha cambiato nome, nel ’92. E lo ha fatto da principiante della panchina, dove si era trovato catapultato il 4 gennaio 2016 per prendere il posto dell’esonerato Rafa Benitez. Vero, l’autore dell’impresa risponde al nome di Zinedine Zidane ed è al timone di una corazzata come il Real Madrid, ma è da dimostrare che questo sia un vantaggio, soprattutto per un tecnico alle prime armi: pressioni e aspettative sono direttamente proporzionali al peso di essere favoriti in qualsiasi competizione cui i blancos partecipino e al numero di campioni a disposizione, ciascuno dei quali si aspetta una maglia da titolare e un ruolo da primadonna sul palcoscenico. Perciò, alla vigilia dell’esordio in Champions da bicampione in carica, il 13 settembre contro l’Apoel, di nuovo: chi lo avrebbe detto? Nessuno. O quasi.
MOSSA VINCENTE
«Posso dire che i suoi successi non mi hanno sorpreso», dichiara a SIP Alessandro Del Piero, che con Zidane ha giocato dal ’96 al 2001, gli anni in cui il francese è stato bianconero. «Certo, magari non in questa misura, quella non credo se la attendessero nemmeno i parenti stretti. Ma sono sempre stato convinto del suo valore e soprattutto del fatto che si tratti dell’uomo giusto al posto giusto. Conosce come pochi l’ambiente del Reai e sa trattare con i grandi campioni facendo valere da una parte il suo spessore di fuoriclasse, dall’altra la capacità di instaurare un dialogo basato sul rispetto. Mi ricorda Ancelotti in questo senso. E poi uno come lui, in campo, vedeva sempre le cose un attimo prima degli altri. Credo che un po’ di questa sensibilità, di questa capacità di intuizione, se la sia portata dietro anche nella valutazione dei giocatori».
«Io non pensavo che Zizou sarebbe diventato così bravo come allenatore. Questione di carattere: il suo è un po’ chiuso», dice Ciro Ferrara, come Del Piero compagno alla Juventus tra il ’96 e il 2001. «Invece ha smentito tutti andando dritto per la sua strada. Per esempio, lasciando fuori Baie nella finale contro la Juve. Si giocava a Cardiff e Baie è gallese. Tutti se lo aspettavano in campo, lui lo ha lasciato in panchina perché reduce da un infortunio, schierando Iseo. E ha avuto ragione».
GENIO, NON LEADER
Il carattere, già. «Era un timido, sì», conferma Nicola Amoruso, con lui alla Juve dal ’96 al ’99. «Per questo mi aspettavo piuttosto che diventasse un dirigente: per fare l’allenatore ci vuole faccia tosta. Invece Zizou ha trasformato la timidezza in semplicità di modi. E ha fatto dell’umiltà la sua forza».
«E poi è molto intelligente, e quando sei intelligente nulla ti è proibito», interviene Moreno Torricelli, juventino dal ’92 al ’98. «Moggi disse di lui che era un genio ma non un leader. Sottoscrivo, perché io ho avuto per compagni Vialli e Del Piero e loro avevano una personalità straripante. Zizou, invece, non parlava. Era leader a modo suo: faceva capire quanto ci tenesse a vincere con la voglia che ci metteva in ogni allenamento».
«Io lo definivo un uomo di ghiaccio», ricorda Angelo Di Livio, con Zidane dal ’96 al ’99. «Ma proprio per questo come si faceva a non volergli bene? Ed era capace di stare allo scherzo. E noi gliene facevamo tanti. Lo prendevamo in giro per la “piazza” che iniziava ad allargarsi sulla sommità della testa, soprattutto lo mettevamo in croce per come si vestiva appena arrivato in Italia. I suoi calzini bianchi corti erano terribili. Alla terza volta che io e Ferrara glieli tagliammo in piccole parti, ci implorò: “Basta!”. E noi: “Allora di’ a Veronique di non comprarteli più!”». «Zidane non è mai stato un introverso», riprende Ferrara. «Ha avuto problemi di adattamento come tanti stranieri al nuovo calcio, e, con la famiglia, al nuovo Paese. Ma alla Juve eravamo un gruppo sano: pian piano si sciolse. D’altra parte saremmo stati dei pazzi se non avessimo cercato di aiutarlo. Solo un cieco non si sarebbe accorto di quanto fosse forte con il pallone».
OPPOSTI CHE SI ATTRAGGONO
«Quando sentiva di non dare quel che tutti si aspettavano da lui, si arrabbiava e si immalinconiva», spiega Alessio Tacchinardi, che ha vissuto tutti gli anni dello Zidane juventino. «Era molto sensibile e si teneva le cose dentro. Una sola volta l’ho visto davvero arrabbiato e proprio con me. Avevamo appena finito l’allenamento, mi prese sotto il braccio e mi disse: “Tacchina, tu passi la palla più a Del Piero che a me”. Ci rimasi male perché figurati se facevo differenze tra i due, perciò risposi soltanto: “Zizou, se la passo ad Ale, non la do a uno scappato di casa. Casco bene comunque”. Sorrideva poco. Credo si sentisse un po’ straniero dovunque si trovasse. Forse dipendeva dalle sue origini, di algerino nato e cresciuto in Francia in un quartiere difficile di una città ad alto tasso di immigrazione come Marsiglia. Quello di noi che lo capì più di tutti, fino a diventare suo grande amico, fu Paolo Monterò. Due caratteri diversissimi, quasi opposti, si integrarono alla perfezione. Zidane si fidava in genere poco delle persone e forse vide in Monterò uno vero, incapace di tradire la fiducia. Così diventarono inseparabili: la sera usciva quasi sempre con Paolo e il suo giro: Iuliano, Tudor...».
SUOLA ED ESTERNO
Riprende Del Piero: «Per raccontare chi è Zidane, e che cosa ha significato per me, scelgo un episodio legato a una delle tante sfide tra Italia e Francia. Finale dell’Europeo 2000 in Olanda, perdiamo ai supplementari con il golden gol di David Trezeguet una partita che avevamo praticamente vinto... Sapete chi è stato il primo a venirmi a cercare e a rialzarmi da tqrra, consolandomi per la delusione della sconfitta? Zizou. Se fosse stato ancora in campo, avrei fatto lo stesso qualche anno dopo a Berlino... Siamo accomunati da un carattere simile soprattutto in una caratteristica: ci apriamo con gli altri solo quando siamo certi di poterci fidare. Siamo stati amici da subito perché siamo spiriti affini».
«Ho conosciuto Zidane», si inserisce Massimo Giletti, conduttore televisivo e juventino doc. «Una volta mi fa: “Sai qual è la cosa che più mi piace di Torino? Le partite con gli immigrati davanti alla stazione di Porta Nuova, la sera. Sono cresciuto in periferia e ho sempre giocato per strada con quelli come me. Integrazione vuol dire stare insieme a loro senza alzare muri”. Una volta fu beccato da Lippi. Il mister prima non vuol credere ai suoi occhi, poi lo squadra, pensa “questo è matto” e se ne va».
«Dopo Maradona è stato il più forte con cui abbia giocato», sospira Ferrara. «Riusciva a fare tutto con semplicità ed eleganza estreme nonostante un fisico possente. Quel suo controllo di palla con la suola innervosiva i difensori. Così, qualche “stecca” in allenamento gliel’ho tirata, tanto per abituarlo al trattamento che avrebbe ricevuto in partita». «Osservarlo era un piacere», aggiunge Torricelli. «Arrestava la palla con l’esterno del piede, in velocità: pazzesco». «Alla prima partitina tra noi fece un gol strepitoso: controllo spalle alla porta, piroetta e palla all’incrocio», ricorda Tacchinardi.
RIGATONI ALLA ZIDANE Roberto Falvo è lo chef di Angelino Bistrot, al 281 di corso Moncalieri, il locale di sua proprietà a Torino. «Prima lavoravo con mio padre da Angelino, al 59 della stessa via. Una sera vedo entrare Zidane. Chiede un piatto di pasta. La taglia col coltello. Diventò un cliente abituale. Prima di uno Juve-Milan mi fa: “La settimana prossima devo andare in Nazionale. Lì si mangia sempre male. Perché non vieni con me?”. Pensavo scherzasse, il giorno dopo si ripresenta e mi fa: “Hai preparato la valigia?”. Sono stato con lui 7 anni, ho vinto Mondiale, Europeo, Confederations Cup.
Per lui ho creato “i rigatoni alla Zidane”: pomodorini e basilico fresco, semplicissimi come piaceva a lui».
Ezio Greggio, conduttore storico di Striscia, è un altro tifoso juventino. «Ricordo una partita di beneficenza 6-7 anni fa a Torino. Quando presentano Zidane agli applausi si mescolano i fischi. Tanti. Forse era gente che ricordava la testata a Materazzi nella finale del Mondiale 2006. Del Piero e io iniziamo ad applaudire Zizou in maniera vistosa, finché tutto lo stadio ci viene dietro. Lui e io siamo insieme in squadra. Mi fa: “Vai in area che te la metto”. Mi butto dentro e lui mi pennella un pallone sulla testa che è solo da spingere dentro. Colpisco e quel bastardone di Antonio Chimenti, il portiere avversario, che fa? Me la devia. Però feci gol lo stesso, di piede». Grazie a Zidane? «No, a Del Piero».