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 2017  settembre 14 Giovedì calendario

Il supercarcere dove gli jihadisti sfidano la legge

Qui mancano cento uomini, e manca soprattutto il comandante». «Il risultato è che non c’è un vero controllo sui detenuti jihadisti, che sono tanti e si sentono così forti da minacciarci e a volte perfino aggredirci». «Spesso se ne approfittano: possono fare telefonate in arabo anche più di due volte al mese, senza regole e senza che o capisca quel che dicono e con chi parlano». Ad ascoltare gli agenti, la prigione di Bancali, un grosso edificio bianco che sorge nella campagna a ovest di Sassari, è la classica bomba con la miccia accesa. Perché i 25 detenuti del repano «Alta sicurezza 2», classificati come «terroristi islamici pericolosi», non sarebbero adeguatamente sorvegliati. «È la verità» conferma Antonio Cannas, delegato sardo del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria. «In questo carcere siamo molto sotto organico. E in più ci mancano le figure apicali, a panire dal comandante: il nostro commissario è in maternità da sei mesi. Così è impossibile governare il reparto». Attenzione, perché Sannas non pare il solito sindacalista costretto dal mestiere alle iperboli rivendicative; e parla per esperienza diretta perché tra le celle di Bancali lavora da tempo, con il grado di assistente-capo.
Ma che cosa sta accadendo, davvero, nel carcere di Sassari? Bancali è una struttura di massima sicurezza, inaugurata nel luglio 2013. Dispone ufficialmente di 318 agenti, anche se l’organico ne prevede 392. Cannas però aggiunge che 50 di loro sono in malattia («Molti lamentano stati ansiosi» spiega «perché si sentono abbandonati»), e altri 40 sono sempre altrove, spediti in missione. L’organico reale scenderebbe insomma a 230-240 poliziotti. Che devono occuparsi di 341 detenuti. Tra questi ci sono 90 mafiosi, il fiore della criminalità organizzata: boss del calibro di Leoluca Bagarella e di Giuseppe Madonia. Per la prima volta, a Bancali dispongono di celle disegnate per rispondere alle rigide regole dell’articolo 41 bis dell’Ordinamento penitenziario, il «carcere duro». Ogni cella è affiancata da una saletta attrezzata per la videoconferenza, che consente di non dover trasferire i detenuti nelle aule dei processi. Ai 90 potrebbe presto aggiungersi Rocco Morabito, il capo della ’ndrangheta calabrese che è stato appena arrestato in Uruguay dopo 25 anni di dorata latitanza.
Dentro le mura di Bancali, però, a fare paura oggi non sono tanto i boss mafiosi quanto i 25 terroristi islamici. Sono un gruppo coeso e importante, che vale statisticamente il 56,8 per cento dei 44 jihadisti reclusi in Italia e ritenuti «particolarmente pericolosi» dal Dap, il Dipartimento deH’amministrazione penitenziaria, che oltretutto fanno proseliti fra gli altri detenuti. Ospitati nel reparto As2 del quarto piano, da mesi danno seri problemi. È come se a un certo punto fosse girata una parola d’ordine. Da allora, le minacce nei confronti degli agenti sono quotidiane: «Ti guardano negli occhi» racconta Cannas «e poi fanno passare il pollice sotto il collo, come a dire io-ti-sgozzerò». In aprile, in giugno e in luglio le cronache locali hanno registrato uno stillicidio di aggressioni, locali occupati e stanze devastate.
Il 4 settembre Mauro Pili, un deputato del movimento sardo Unidos che in gennaio aveva già visitato Bancali, ha denunciato in un’interrogazione che due giorni prima i soliti 25 jihadisti si erano rifiutati di rientrare in cella: «Protestano» ha scritto Pili «perché vogliono fare quello che vogliono, soprattutto telefo­nare. E pare che ne ottengano il permesso in cambio di tregua. Agli agenti, i vertici hanno trasmesso un ordine via passa-parola: subire, siamo pochi. È lo Sta­to che arretra. E gli agenti ancora una volta vengono usati come scudo inerme di un governo che li espone a ogni rischio».
Anche Antigone, l’associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale che ha visitato Bancali nel giugno 2016, aveva segnalato tre criticità: «Tra il personale e tra gli agenti, nessuno parla l’arabo, né possiede conoscenze sufficienti di cultura islami­ca». La prevenzione della radicalizzazione «si limita all’osservazione di comportamenti anomali, come farsi crescere la barba o intensificare la preghiera». E in assenza di un imam affidabile scelto dal Dap, còme invece avviene da mesi in altre prigioni italiane, «la preghiera è autogestita dai detenuti». Forse è per questo se, dall’inizio del 2016, una ventina di detenuti pare si sia convertita ad Allah: il primo sarebbe stato Vulnet Maqelara, un criminale macedone che a Bancali si fa chiamare Karlito Brigande in omaggio ài suo eroe/il protagonista del film Carlito’s way.
Tra gli jihadisti di Bancali forse il più importante è Muhammad Hafiz Zulkifàl, già imam di Bergamo e Brescia, e ritenuto capo di una cellula di Al Qaeda attiva tra Lombardia Sardegna: «Si è tinto barba e capelli di arancione e in carcere passeggiava liberò con i suoi compagni» ha raccontato Pili. È di certo.ùn capo anche Sultan Wali Khan, imam di Olbia e accasato di essere al vertice della cellula sarda di Al Qaed& nonché complice della strage che il 28 ottobre 2009. aveva causato cento morti a Peshawar, in Pakistan. Jjn altro volto noto alle cronache è quello di Abderrahim Moutaharrik, il marocchino campione di kickboxing che lo scorso febbraio, a Milano, è stato condannato in primo grado a sei anni di reclusione. Suo vicino di cella è il tunisino Hamadi ben Abdul Aziz ben Ali Bouyehia, tra primi 30 nella «black list» statunitense degli jihadisti più pericolosi: anche lui si è tinto barba e capelli di arancione.
L’unica nota positiva, in tutto questo, è che la direttrice di Bancali vanta un’indiscussa esperienza: Patrizia Incollu governa il carcere dalla sua apertura, e prima aveva diretto la prigione nuorese di Badu ‘e Carros, una delle più difficili d’Italia. Da mesi Incollu chiede almeno una ventina di agenti di rinforzo e il ministero della Giustizia in luglio ha disposto l’invio di un plotone del Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria. Il Gom è un reparto scelto, fatto di 500-600 uomini, cui viene affidata proprio la custodia dei detenuti più pericolosi. Finora, però, nessun nuovo agente dei Gom è arrivato a Bancali. Ora i sindacalisti sperano in una nuova data, il 15 settembre. Ma esattamente da quel giorno Incollu avrà una gatta da pelare in più, perché dovrà assumere l’interim della direzione di Badu ‘e Carros, il cui responsabile torna in Continente. Capita molto spesso, pare, nelle 198 carceri italiane. Perché da tempo non si fanno concorsi.