Libero, 18 settembre 2017
«Il cancro al polmone si potrà scoprire in tempo». Intervista a Rosalinda Sorrentino
«Sono come San Tommaso.
All’inizio io stessa non ci credevo. Ho voluto fare altri esperimenti, fare prove e controprove. Volevo essere convinta».
E adesso si è convinta?
«Adesso sì, sono convinta».
Rosalinda Sorrentino, ricercatrice a tempo determinato all’Università di Salerno, dipartimento di Farmacia, ha fatto una scoperta rivoluzionaria che, se validata su più ampia scala, potrebbe salvare migliaia di vite. Grazie a lei e ad altri ricercatori si potrà sviluppare un test per diagnosticare precocemente il tumore al polmone. In Italia è la prima causa di morte per gli uomini e ed è in forte incremento tra le donne. Una malattia che solitamente non dà scampo perché viene diagnosticata quando ormai è troppo tardi: grazie agli studi di questa ricercatrice appassionata e ostinata sarà possibile scoprire il cancro ai polmoni quando è agli inizi. E lo si potrà sconfiggere.
Rosalinda ha 38 anni, un curriculum lungo così, una passione senza limiti per la ricerca e per il suo lavoro che la porta ogni mattina a lasciare i suoi due figli piccoli, a salire sulla sua auto e andare dalla Penisola sorrentina, dove vive, fino all’Università di Salerno dove lavora a contratto. Un’ora e mezza, a macinare chilometri e pensieri. Avanti e indietro, tutti i giorni senza mai guardare l’orologio. Chiusa nel suo laboratorio a studiare, provare, riprovare. Si è sempre occupata dei meccanismi molecolari e cellulari coinvolti nella cancerogenesi polmonare. Dopo la laurea in Chimica e Tecnologia farmaceutiche e il dottorato all’Università Federico II di Napoli, vola all’Imperial College di Londra per un anno e mezzo. E poi per una posizione da “post-doc” lavora in America, al Cedars Sinai medical centre di Los Angeles. Le chiedono di restare ancora e sono pronti a farle ponti d’oro, ma lei decide di tornare. Non vuole essere un cervello in fuga. Le arrivano offerte da molte Università italiane ma la più allettante è quella di Salerno perché «qui ci sono strumentazioni all’avanguardia come quelle che avevo in America» e perché il professor Aldo Pinto con cui inizia a collaborare le lascia campo libero, si fida di lei. E lei di lui.
Come e quando arriva la scoperta?
«Era un torrido pomeriggio di luglio del 2013. Io e una mia collaboratrice, Michela Terlizzi, che all’epoca era solo una dottoranda, ci siamo trovate davanti a un risultato anomalo che sembrava un errore tecnico. “C’è qualcosa di strano”, le ho detto. Ma mi sono incaponita. Ho rifatto l’esperimento. E ho capito che non era un errore ma una scoperta».
Anche la scoperta della penicillina nacque da un errore...
«Sì, la scienza è piena di “errori” decisivi».
In cosa consiste la scoperta?
«Abbiamo scoperto che nel sangue dei malati di tumore al polmone c’è una proteina, appartenente al gruppo delle proteine caspasi, in una quantità quasi cinque volte superiore rispetto a un soggetto sano. Abbiamo ripetuto l’esperimento su 120 pazienti e abbiamo riscontrato che questo dato si ripeteva. Abbiamo fatto lo stesso esame su 72 soggetti sani e il livello di proteine era molto più basso. La scoperta è stata brevettata da me e dagli altri inventori: Michela, il prof Pinto e la prof Rita Aquino».
Quante persone muoiono di tumore al polmone?
«È il secondo tumore solido con maggiore incidenza, primo rispetto a tutti gli altri per mortalità. Il problema più grosso è che viene diagnosticato in fase tardiva perché i sintomi vengono spesso confusi con altre patologie quando è più complicato da trattare chirurgicamente e con la chemioterapia».
La diagnosi precoce di quanto potrebbe ridurre la mortalità?
«Del settanta, ottanta per cento. Se il cancro al polmone fosse scoperto in tempo, la prognosi del paziente sarebbe di gran lunga migliore. In questo modo il tumore si potrebbe sconfiggere più facilmente». Subito dopo la scoperta è stata creata ImmunePharma, una società spin off dell’Università di Salerno di cui Rosalinda è Ceo, e il kit diagnostico è stato brevettato in quasi tutti i Paesi del mondo e proprio in questi giorni è stato presentato al congresso della European Respiratory Society a Milano.
Chi sono i soggetti che secondo lei dovrebbero fare il test?
«I pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva che sono costantemente monitorati e i forti fumatori. Ma l’auspicio ovviamente è che questo test sia reso obbligatorio per tutti i soggetti che hanno superato i 65-70 anni d’età che è la fascia maggiormente colpita anche se negli ultimi anni, a causa dei livelli di inquinamento sempre più alti, l’età media dei soggetti a rischio si è abbassata a 60-65 anni».
Come si fa il test?
«Un semplice prelievo del sangue attraverso il kit diagnostico che contiene una serie di anticorpi che vanno a riconoscere la proteina che abbiamo identificato».
Molti si chiederanno quando il kit sarà messo in vendita.
«Nei laboratori diagnostici sia pubblici che privati. Alcuni investitori che credono in noi pensano che la commercializzazione possa avvenire entro il 2018, ma noi ricercatori siamo più cauti, il test deve essere sottoposto all’approvazione del ministero della Salute e dei vari comitati etici».
Dottoressa si è pentita di essere tornata in Italia?
«No, anche se nel nostro Paese è veramente mortificante che la ricerca di base non sia adeguatamente finanziata a livello ministeriale e quella con sviluppi applicativi non è supportata dall’industria e pochi sono gli investitori che credono in progetti innovativi».
Con quali fondi ha potuto fare questa ricerca?
«I ricercatori in Italia soffrono per la mancanza di fondi. Ho potuto lavorare grazie a quelli messi a disposizione dal Dipartimento di Farmacia e dell’Università di Salerno. Sono serviti per gli stipendi e per sostenere le spese di laboratorio. Per questo ringrazio l’Università di Salerno e il dipartimento di Farmacia che con grandi sforzi, in un periodo di sottofinanziamento degli Atenei, mi hanno dato la possibilità di condurre le mie ricerche».
Cosa è successo dopo la scoperta?
«Ho ricevuto tanti complimenti dal mio professore, diverse telefonate dall’America».
Che cosa sarebbe successo se fosse rimasta lì?
«Forse sarei ricchissima, ma non voglio fare polemiche e non è questo che mi interessa. Ora c’è bisogno di validare la nostra ricerca, produrre e portare sul mercato il kit anche tramite investitori, avendo come obiettivo finale quello di ridare speranza ai malati di cancro al polmone».
Dottor Safuan Gritli lei è amministratore delegato di “Dr Safuan srl”, la società che in collaborazione con Immune commercializzerà il test. Quando sarà in vendita?
«Se tutto va bene, una volta che il Ministero della Salute avrà approvato il kit, potrebbe essere disponibile in Italia e in Europa nella seconda parte del 2018».
Quanto costerà?
«I costi saranno contenuti. Si farà di tutto per non superare i 25 o 30 euro. Bisogna considerare anche che, oltre a salvare numerose vite umane, grazie a questo esame ci sarà un miglioramento della qualità di vita, poiché i tumori saranno diagnosticati quando sono ancora di dimensioni ridotte. E ci saranno risparmi enormi della spesa sanitaria. Si abbatteranno i costi di ospedalizzazioni lunghe per pazienti che purtroppo hanno poca speranza di guarigione e si eseguirebbero meno esami diagnostici costosi».