Corriere della Sera, 19 settembre 2017
Rolling Stone a fine corsa. In vendita la Bibbia del Rock
NEW YORK Nel 1967 Jann Wenner, un ventenne newyorchese che aveva attraversato l’America per andare all’università in California, studente fuoricorso di quella di Berkeley, attivista del «Free Speech Movement» negli anni d’oro della cultura hippy, si fece prestare 7.500 dollari dalla sua famiglia e dai parenti della fidanzata. Con quei soldi iniziò a San Francisco, insieme al critico musicale Ralph Gleason, l’avventura di Rolling Stone : la rivista che sarebbe diventata la voce principale della controcultura californiana degli anni Sessanta e Settanta. E poi, dopo il trasferimento della redazione dalla West Coast a New York, la bibbia della musica rock e punk e della «pop culture» mondiale.
Ieri, a mezzo secolo esatto dall’inizio di questa entusiasmante cavalcata, Jann e il figlio Gus hanno gettato la spugna: Rolling Stone è in vendita. La crisi dell’editoria – meno ricavi dalle vendite e forte calo degli introiti pubblicitari – è arrivata anche qui. In più il magazine paga un brutto incidente del 2014 dal quale non si è mai pienamente ripreso: Rolling Stone denunciò un caso di stupro collettivo nel campus della University of Virginia, ma il caso si rivelò una montatura. Ritiro dell’articolo, denunce, processi, patteggiamenti: la vicenda ha avuto un costo elevato per la rivista sul piano economico (condannata a pagare un indennizzo di 3 milioni di dollari), ma, soprattutto, in termini di perdita di credibilità.
Tramonto triste e doloroso di un organo di stampa che ha inciso profondamente sulla cultura e anche sul dibattuto politico valorizzando scrittori come Tom Wolfe e Hunter Thompson e che ha lanciato, ad esempio, la fotografa Annie Leibovitz, scoperta quando era una studentessa ventenne dell’Art Institute di San Francisco. E che, tra tante rockstar, ha avuto il coraggio di mettere in copertina anche papa Francesco: abiti candidi ma icona di uno straordinario cambiamento. Tramonto, ma non fine della storia: nonostante le difficoltà, Rolling Stone diffonde ancora un milione e mezzo di copie pagate e, tra giornale di carta e piattaforme digitali, raggiunge un bacino di 60 milioni di americani.
Stanco e consapevole dei suoi limiti nella gestione delle nuove tecnologie, Jann si è affidato alle banche per la ricerca di imprenditori giovani che, oltre a essere disposti a mettere sul piatto parecchi soldi per il controllo di Rolling Stone, abbiano anche la capacità di sfruttare pienamente le potenzialità di queste piattaforme digitali. L’editore non vorrebbe uscire di scena: lui e il figlio Gus, oggi direttore generale del gruppo editoriale, sperano di poter restare in azienda come manager, ma si rendono conto che ciò dipenderà dalla volontà del compratore. Che potrà rilevare solo il 51 per cento del capitale dell’azienda, visto che il restante 49 per cento era già stato ceduto l’anno scorso a BandLab Technologies, una società di Singapore.
Per far fronte alle difficoltà dell’azienda, la famiglia Wenner aveva già venduto US Weekly e Men’s Journal, gli altri giornali di un gruppo nel quale, ora, oltre al magazine, rimane solo Glixel, un sito di videogiochi. C’è, quindi, da chiedersi cosa resterà, dopo questo ulteriore colpo di scena, di un rivista celebre per le sue copertine (come quella del 1981, l’immagine ripresa dalla Leibovitz di John Lennon nudo, in posizione fetale, tra le braccia di Yoko Ono), per i ritratti (come quello sugli aspetti meno noti di Steve Jobs), ma anche per articoli che hanno avuto un’influenza politica rilevante. Anche in anni recenti. Celebre quello del 2009 nel quale Matt Taibbi, dopo il crollo di Wall Street, descrisse Goldman Sachs, fin lì la banca d’affari più autorevole e riverita dei Pianeta, come una piovra. O l’intervista del 2010 a Stanley McChrystal, zeppa di critiche all’allora vicepresidente Joe Biden, dopo la pubblicazione della quale il generale fu costretto a dimettersi dal comando delle forze degli Usa e dei suoi alleati impegnate in Afghanistan e ad accettare il prepensionamento.