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 2017  settembre 19 Martedì calendario

Il profumo del tempo in formato tascabile. Modena, in mostra i calendarietti Art Déco

Se il tempo è denaro meglio averlo sempre sotto mano. Per non scialare neppure un istante. Fu così che l’800, secolo della modernità commerciale, partorì il calendarietto tascabile che forniva a donne di casa o uomini d’affari un comodo strumento per controllare date, fissare appuntamenti, disdirli, posporli. L’idea di stampare almanacchetti, e omaggiarli, venne a un profumiere londinese, Rimmel, che li usò come veicolo pubblicitario, perché il «consiglio d’acquisto» stava appresso al cliente tutto l’anno. Da lì in poi fu un pullulare di calendarietti che scandivano i mesi e reclamizzavano merci. A questo universo, per larghissima parte finito nel macero della futilità, custodito solo dai rari collezionisti che ne intuirono una valenza artistica e sociologica al di là del piacere feticistico di accumularli, è dedicata una piccola ma divertente mostra a Modena, L’arte in tasca. Calendarietti, réclame e grafica 1920-1940, curata da Giacomo Lanzilotta da domani fino al 18 febbraio, nel Museo della figurina.
L’esposizione si concentra sugli Anni 20 e 30 del Novecento, che coinvolse i migliori talenti dell’Art Déco. Per molti, certo, fu solo un esercizio alimentare da sbrigare magari sotto pseudonimo. Ma nessuno lesinò in cura o idee quando gli capitò di dedicarsi a quelle affiche in miniatura, da Dudovich, a Boccasile, a Pagot (poi inventore di Calimero). Il più prolifico fu De Bellis, pittore crepuscolare di vaglia: ne realizzò una sessantina, come ne conta il bel catalogo edito da Franco Cosimo Panini che (preziosamente) censisce anche i migliori autori tra cui si segnalarono Codognato, Gobbo, Nanni, Brunelleschi, o la straordinaria Edina Altara, detta la «Coco Chanel» italiana, pittrice, collaboratrice di Gio Ponti, demiurga di giocattoli, ceramista, autrice di splendide pubblicità.
Arte ed erotismo
I calendarietti, grazie alla perfezione della cromolitografia, ravvivarono le burocratiche tabelline del tempo scandite e movimentate, per due millenni, solo dal compleanno dei santi e dai rispettivi martiri. Invece dei consueti corpi strapazzati da attrezzi sadomaso, portarono nella cronologia colori, fantasia, frisson erotici che inneggiavano ai piaceri della vita, al frivolo, alla bellezza. Sponsor principali furono i cosmetici (spesso i calendarietti erano profumati e tenuti in bustine per conservare la fragranza), cui si unirono sartorie, distillerie, ippodromi. Insomma da chiunque volesse riempire il tempo libero con levità e gaiezza.
Svariati erano i soggetti, «Il fascino dell’Oriente», «L’amore attraverso i tempi», i miti, la lirica, i divi di teatro e cinema, le grandi opere della letteratura, dal Don Chisciotte, alle Mille e una notte, a un lunare riduzione dei racconti di Poe, a D’Annunzio.
Ma il tema più amato era la donna. Osé per i maschietti, con seni o natiche tracimanti da drappi e veli; come modello di seduzione, modernità, dinamismo, per il pubblico femminile. Troviamo eleganti sciatrici, automobiliste, aviatrici. O, geniale, un calendarietto che suggerisce alle donne, con divertenti versetti satanici, di usare profumi Viset per risvegliare i sensi sopiti del marito. All’inizio lei è mesta, cerca «nel lusso dell’abbigliamento/invano il mezzo per destare ancora/nel tepido marito il sentimento/ di quel cessato amor che l’addolora». Consigliata da un’indovina, vola a comprare un flacone di «Premier Foi», «lieta, giuliva e piena di speranza/le belle forme aggrazia e abbellisce / emana dal suo corpo una fragranza / che il cuor più duro avvince e intenerisce». E il gioco è fatto. «L’antico amor torna». Il consorte l’abbraccia di nuovo.
Il tramonto
Il calendarietto classico cessò con la guerra (ce ne furono di propaganda patriottica durante il conflitto). E non si riprese più. Da noi, nel dopoguerra, sopravvisse quasi esclusivamente nelle barberie maschili. Sacrificando via via la grafica raffinata per foto di donnine sempre più discinte che anticipavano in audacia le ragazze del mese di Playboy, diventarono regaluccio licenzioso, da far scivolare con complice segretezza nelle mani dei pater familias più affezionati, come augurio di Buon Natale, dopo l’ultima rasatura dell’anno. Ancora se ne stampano, con modelle ignude, prosperose, invitanti, tuttavia quasi caste rispetto all’offerta porno del web. Meraviglioso retaggio demodé di un passato scomparso. Ucciso dal calcolo del tempo che ormai si può fare, come ogni altra cosa, in touch screen sul cellulare, protesi dei nativi digitali. Che ha sciolto il profumo del tempo tascabile nell’eterno presente del silicio.