la Repubblica, 17 settembre 2017
Da Marie a Rosalind sei donne per la fisica
Le scienziate che hanno vinto il Nobel sono undici su un totale di cinquecento premiati.
Basta questo per dire che la strada è ancora lunga. Soprattutto nella fisica, che ha ancora il numero particolarmente basso di studentesse e ricercatrici: il dieci per cento, contro il cinquanta per cento della matematica. Per questo Gabriella Greison ha deciso di raccogliere in un libro, Sei donne che hanno cambiato il mondo, i ritratti di grandi fisiche che hanno fatto la storia.
Al centro del libro sta, ovviamente, Marie Curie.
Tutto in lei ci delizia. La giovinezza in Polonia, dove Maria Sklodowska è figlia modello e studentessa prodigio e patriota ardente contro i russi. ll patto di solidarietà con la sorella, che va a studiare medicina a Parigi grazie ai soldi che Marie le manda facendo la governante, e poi la mantiene a sua volta agli studi. Il viaggio a Parigi nel 1891, in un vagone di quarta classe: tre giorni seduta sulle valigie per raggiungere un paese dove le sia permesso studiare. La decisione di laurearsi in matematica e in fisica: chiusa nella sua stanzetta con letto pieghevole, tavolo e sedia, a nutrirsi di pane, tè e pezzi di cioccolata.
Ogni tanto sviene a lezione per la debolezza, ma presto ha quello che voleva, due lauree e una borsa di studio.Degli uomini non si cura. Non ne ha il tempo.
“La fisica è bellissima”, ripete a chi la incoraggia a uscire e svagarsi un po’, lei così bellina. Poi però le presentano il professor Pierre Curie, che forse può offrirle un posto da assistente, e tutto cambia. Si sposano quasi subito e per il viaggio di nozze fanno un giro della Francia in bicicletta. Marie mette al mondo una figlia, Irène, nel 1897 e poi decide di iscriversi a un dottorato, prima donna in Francia a farlo.
Come argomento di dottorato sceglie i raggi X, da poco scoperti, e ben presto, lavorando giorno e notte, isola due nuove sostanze radioattive, che battezza polonio, in onore della patria perduta, e radio. Quest’ultimo, più facile da produrre su scala industriale, eclissa presto il primo e può farla diventare ricca. Marie però rinuncia a brevettare il processo di produzione per lasciarlo a disposizione della scienza, anche perché i medici hanno intuito che può essere usato contro le cellule tumorali.
Marie e Pierre lavorano sempre insieme. La sera vanno in laboratorio a contemplare i bagliori che vengono dalle provette radioattive. “Uno spettacolo incantevole e sempre nuovo. I tubi luminosi brillavano di luci, fate e fantasmi”, scrive lei nel diario. Non sanno quanto quelle sostanze siano pericolose. Ben presto lamentano i primi malesseri, delle strane bruciature sulla pelle, che Marie annota nel diario, così come annota i progressi della figlia – “Oggi Irène ha alzato la forchetta di quindici gradi in più rispetto a ieri” – e le ricette di cucina.
Quando Pierre viene a sapere di essere candidato al Nobel scrive al comitato spiegando che rifiuterà il premio se la moglie non sarà candidata con lui. La vittoria arriva nel 1903, insieme a un collega, Becquerel. E poi in rapida successione la nascita di un’altra figlia, Ève, e la morte violenta di Pierre, investito da una carrozza. L’unica cosa che impedisce a Marie di impazzire è il lavoro. Riprende la cattedra del marito alla Sorbona, fonda l’Institut Curie, crea un servizio di ambulanze radiologiche per le trincee, vince un secondo Nobel nel 1911, questa volta per la chimica e da sola, per poi morire nel 1934, un anno prima che sua figlia Irène Joliot-Curie sia a sua volta insignita del Nobel.
Le altre donne narrate nel libro stanno tutte nella scia luminosa di Marie. Lise Meitner, madre della bomba atomica, è una bambina prodigio e da adulta una donna severa, dal parlare brusco, che non ha vita privata: “Mi sarebbe difficile immaginare la mia vita senza la fisica. È una specie di amore personale”, spiega.
Fa da assistente a Max Planck, è candidata con il collega Otto Hahn una decina di volte al Nobel, ma nel ’33 deve lasciare la cattedra a Berlino a causa delle leggi razziali e si rifugia a Stoccolma, all’Istituto Nobel. È qui che pubblica un articolo in cui pone le basi per lo sviluppo della fissione nucleare. Pacifista, rifiuta molte offerte di andare a lavorare alla bomba negli Usa e muore nel ’68 a Cambridge.
Emmy Noether, che Einstein definì “il più grande genio creativo matematico da quando l’istruzione superiore è stata aperta anche alle donne”, è un’ottima divulgatrice e fa fare grandi passi all’applicazione della matematica alla fisica.
Anche lei ebrea, nasce a Erlangen nel 1882, ed è una bambina precoce ma strana, che oggi verrebbe definita Asperger. Non ama gli altri, si veste sempre allo stesso modo, mangia sempre le stesse cose e manca di ogni senso pratico. A una studentessa che le suggerisce di riparare l’ombrello, ribatte con una tipica risposta da Asperger: “Ha ragione signorina. Teoricamente.
In pratica, invece, la riparazione non potrà mai essere attuata: quando non piove io non penso al mio ombrello, ci penso solo quando piove, e quando piove ne ho bisogno”. Anche lei in fuga dalla Germania perché ebrea, si trasferisce negli Stati Uniti, dove muore nel 1935.
Rosalind Franklin, nata a Londra nel 1920, ebrea come le prime due, come loro brillantissima da bambina, studia a Cambridge ed entra in una squadra che sta studiando la struttura del Dna.
Riesce a ottenerne delle immagini molto chiare, e in particolare a fermare in una foto che ha fatto epoca – la foto 51 del primo maggio 1952 – la struttura a doppia elica, ma commette l’errore di parlarne a un collega, Watson, che pubblica prima di lei i risultati e si prende tutti i meriti.
Muore pochi anni dopo, nel 1958, di un tumore, e non assiste così allo sgarbo di vedere Watson ricevere il Nobel per la sua scoperta.
Della storia triste di Mileva Mari? – prima moglie di Einstein, collaboratrice al suo fianco durante l’anno mirabile del 1905, madre dei suoi due figli, lasciata per una donna più giovane ma risarcita con il denaro del Nobel nel 1922 – sappiamo già tutto. Meno nota la sesta protagonista del libro, Hedy Lamarr, che fu per anni la donna più bella di Hollywood ma anche la madre del sistema di frequenze su cui si basano i telefoni cellulari. Nata a Vienna nel 1914, inizia a recitare giovanissima, fa scandalo apparendo nuda nel film Estasi, poi, perseguitata in quanto ebrea, si trasferisce a Hollywood, dove moltiplica film e mariti e mette al mondo due figli. Allo scoppio della guerra decide di fare qualcosa per la sua nuova patria.
Con un amico, il compositore George Antheil, mette a punto un sistema di comunicazione a prova di intercettazione, il Secret Communication System, Scs. Il progetto non viene preso in considerazione dall’esercito americano, ma riemerge ai tempi della Guerra fredda con il nome di Code Division Multiple Access, Cdma, e diventa il modello standard per i cellulari. Quando nel 1985 non è più sotto segreto militare, il mondo si accorge della donna che l’ha brevettato. Lei vive un suo indaffaratissimo viale del tramonto e registra brevetti fino alla morte, avvenuta nel Duemila.