la Repubblica, 17 settembre 2017
C’era una volta «Cuore»
La breve e fortunata vita di Cuore, “settimanale di resistenza umana”, va dal 1989 al 1995.
È dunque il giornale di satira cui tocca di raccontare Tangentopoli, ovvero il più grande crollo di Palazzo dalla caduta del fascismo.
E lo fa con allegra ferocia, anche se riservandosi, rispetto al coro funebre e/o alla canea esaltata di molti giornali “seri”, più di una licenza poetica: quando Craxi fugge a Hammamet il nostro titolone di prima pagina è “Passerotto non andare via”.
Ma al dovere di cronaca – anche la satira, a suo modo, è chiamata a onorarlo – Cuore aggiunge il diritto di occuparsi di tutt’altro: la società, le mode, i consumi, gli usi e i costumi. Insomma la “gente”, che proprio allora, con la nascita della Lega, comincia a vivere la sua unzione politica e la sua stagione di gloria, oggi al suo culmine grazie a Grillo: quella della presunta innocenza che la rende, quasi per diritto naturale, opposta al Palazzo.
Cuore non ci crede, alla gente “buona” e al potere “cattivo”. E pesta duro sulla società incivile tanto quanto sui potenti detronizzati. Tra tutti, impossibile non citare il doloroso titolone “L’uomo della strada è una bella merda”, che campeggia nelle edicole mentre tintinnano le monetine contro Craxi, e in Parlamento i portavoce della “gente” sventolano un cappio da forca.
La satira sociale, in Cuore, ha pari dignità della satira politica. Molte delle rubriche fisse, al tempo stesso esilarate e sgomente, si occupano della impressionante perdita di misura dell’uomo consumatore: Terziario arretrato, Mai più senza, Niente resterà impunito, Botteghe Oscure, e qualcuna la dimentico di sicuro.
La molla che fa scattare il meccanismo è molto semplice, la satira tende a colpire tutto ciò che è fuori misura, che mostrifica l’umano.
Non solamente il Re, che è nudo a sua insaputa; anche la rana che volle farsi bue gonfiandosi, e della cui inevitabile esplosione, più che disperarsi, si ride fino dai tempi di Fedro. Dunque il potere, certo, che per definizione tende al sopra- le- righe. Ma anche l’acquirente dello sbucciapompelmi a motore ( Mai più senza) o il macellaio milanese che inalbera l’insegna “Lo scultore del vitello” ( Botteghe Oscure).
Scenette dalla decadenza dell’Impero d’Occidente.Questo fu Cuore, direi, dal punto di vista “ideologico”. Anche se, da fondatore e direttore, rischio di non essere un testimone obiettivo.
Vale la pena aggiungere, però, anche un dato “strutturale”, questo sì obiettivo, che diede forma inconfondibile al settimanale.
La redazione era di soli giornalisti ( quattro in principio, fino a un massimo di otto), mentre i predecessori più illustri, Il Male e Tango, erano redatti da disegnatori. Questo fece sì che Cuore, nell’impostazione e nella grafica, sembrasse un giornale “vero”, essendone la parodia.Facemmo nostri, con il gusto tipico del parodista, tutti o quasi i vizi del giornalismo di allora, direi invariati anche oggi, anzi decisamente peggiorati: le notizie urlate, il sensazionalismo, l’enfasi.
Il nostro giornale di culto era Cronaca vera, i cui titoli ci facevano sbellicare e alla cui grafica greve ( con lo “strillo” cerchiato di nero, “orrore!”, “tragedia!”, “vergogna!”) ci ispirammo fino alla scopiazzatura. Non sapendo che, nel prosieguo, sarebbero stati tantissimi i giornali, anche quotidiani, che avrebbero attinto a quel repertorio ( orrore! tragedia! vergogna!), ahimé senza nessuna intenzione parodistica.
E si torna, qui, al concetto di partenza: fa ridere tutto ciò che è fuori misura.
Più che dei limiti della satira, è della satira sui limiti che sarebbe interessante discutere.