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 2017  settembre 18 Lunedì calendario

La guerra di Toni divenuto legionario per un brutto voto

«Caro Papà, non so nemmeno come cominciare questa lettera e se avrò il coraggio di spedirla perché mi sento tremendamente vigliacco. Avrei voluto scriverti sin dal primo momento che entrai in Francia clandestinamente ma non potei se non al porto di Marsiglia e di nascosto. Non ti scrissi prima perché dovetti iscrivermi subito alla Legione Straniera e tu saresti senz’altro venuto a prendermi, non che mi dispiacesse perché lo desideravo con tutto il cuore, ma avresti dovuto spendere un sacco di quattrini per venire in Francia e pagare una forte multa per uscire dalla Legione e poi avrei dovuto fare del carcere in Italia perché ero clandestino. Spero capirai il perché del mio silenzio anche perché tu conosci il mio carattere d’avvertire sempre in tempo». Andrea Cocco, padovano classe 1933 ha poco meno di vent’anni, vive a Venezia frequenta l’ultima classe di ragioneria. Con un gesto di rottura scappa di casa, se ne va e non tornerà più indietro: un’interrogazione è andata male, rischia la bocciatura, si sente umiliato, in difficoltà. L’aria di scuola, il solo sguardo di professori e compagni di classe nella primavera del 1952 è insostenibile. Vuole andare lontano, in Francia per arruolarsi nella Legione Straniera.Un percorso che dal porto di Marsiglia lo conduce in una località dell’Algeria nordoccidentale dove viene addestrato per mesi. Si pente del suo gesto, ma ormai è tardi l’impegno sottoscritto con il governo francese non ammette deroghe, ha perso la sua libertà. Scrive a casa per raccontare il suo itinerario, cercare conforto e comunicazione. Non vuole perdere ciò che si è lasciato alle spalle dopo quella maledetta interrogazione: «Ti garantisco però che soffrivo, sentivo il bisogno di scrivere di farmi vivo perché immaginavo lo stato d’animo in cui tu ti trovavi, come passavi le giornate in ufficio, pensavo a mamma… e questo mi stringeva il cuore, e spesso ci ho pianto sopra e mi chiedevo perché ho agito in questa maniera e con quale criterio mi sono arruolato a questo inferno. Quando me ne sono andato da casa avevo ancora l’animo preso dall’ira non avrei più sopportato la presenza di qualche professore dinnanzi a me, ero esasperato al punto di preferire d’andarmene da casa conscio di quello che mi avrebbe aspettato piuttosto di rimanere ancora 20 giorni a scuola».
Inizia una nuova pagina della sua vita, la scrittura lo tiene legato a un passato che si allontana in modo inesorabile. Questa è la prima lettera (18 giugno 1952) di un diario epistolare che ieri ha vinto il prestigioso Premio dell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. Un diario che come gli altri arricchisce fonti e documenti per interrogare segmenti di passato. Storie, biografie e scritture che mettono in relazione le vicende personali con la storia che fa da sfondo: avventure, quotidianità, piccoli episodi di vita e grandi avvenimenti che incombono. Il giovane studente in fuga viene catapultato nella preparazione della guerra d’Indocina che vede la Francia impegnata e poi sconfitta in una fase decisiva del processo di decolonizzazione. Andrea Cocco scrive, spedisce con continuità, sente il peso della distanza e la responsabilità di un gesto così lacerante. Il padre rimane il principale, non l’unico confidente. «Non credere però che stia bene qui, questa è una vita impossibile specialmente per me come ero abituato. Delicato com’ero nel mangiare vedessi cosa devo buttar giù e se non bastasse anche qui in Africa si mangia sotto il sole cocente e cosa si mangia… cipolle, carote e sempre patate con acqua naturalmente. La fame mi fa mangiare tutto però il mio organismo ne soffre con qualche svenimento sotto il sole, attacchi asmatici alla notte e come ultimo ho preso una forte orticaria che mi rende martire tutto il santo giorno ho tutta la pelle piena zeppa di tacche. Questo tuttavia sarebbe sopportabile, il peggio è nel lavoro che bisogna fare, lavare piatti e pentoloni, pulire pavimenti, far buche o demolire case sotto il sole cocente. Non parlo poi del dormire. Ora qui a Sidi-Bel-Abbes si dorme decentemente ma a Marsiglia delicato come sono per la mia asma ero in tormento tra la polvere la puzza la paglia e i cimici». Un duro arruolamento prima della partenza inseguito ovunque dai sensi di colpa: «Nei momenti di abbattimento maggiore e quando devo lavorare come un mulo mi dico sempre che mi sta bene che me lo merito che è giusto che debba pagare il male che ho fatto a casa a voi tutti».Per giungere nel teatro di guerra della penisola indocinese occorre imbarcarsi, per un lungo viaggio. Un mese in nave prima di toccare la linea del fronte. «Un’idea penso tu te l’abbia fatta di ciò che ho passato in questo tempo ma sarebbe stato nulla se avessi saputo che voi di casa eravate tranquilli e mi sarebbe anche ora sopportabile la vita sapendo che tu mi hai perdonato e che una volta terminati i cinque anni o meglio 2 anni perché terminati questi in Indocina ti danno 4 mesi, potrò abbracciarvi tutti. Immagino chiederò troppo chiedendoti perdono perché non oso pensare alle conseguenze della mia fuga. Giustamente mi dicevi che neanche tu sei fatto di ferro. Però papà anche se tu non mi volessi più considerare come un tuo figlio rispondi lo stesso a questa mia lettera, sarebbe una cosa insopportabile per me non sapere come stanno le cose a casa, a chi pensare quando sarò nel pericolo. Mi sembra impossibile di dover parlare di pericolo di morte ma sai bene quanto brutta sia la guerriglia e specialmente quando si deve fare con gente esasperata e della razza degli Indocina; gente mezza selvaggia e bene armata». Andrea viene ucciso nella battaglia finale di Dien Bien Phu, nel marzo 1954, quando i Viet Minh cacciano i francesi. Poco prima di morire un’ultima lettera al padre lontano: «Ultime notizie e posso dirti che non sono troppo belle. Il morale mio nonostante tutto è alto. Posso dire che questo è il periodo più critico che ho passato da che sono in Indo Cina. Mai visto tanto putiferio Il bello è poi che loro sono tra la boscaglia, ben nascosti e noi siamo nella valle a fare da bersaglio. Ma me la caverò anche questa volta ne sono certo pur ammettendo che se Dio non avrà misericordia di noi, sarà un vero massacro. Forse quando riceverai questa mia il pericolo sarà passato oppure… meglio non pensarci. Ti accludo dentro una fotografia, l’ultima che ho, spero le altre arriveranno. Su col morale va papà tanto è lo stesso. Io ti terrò continuamente informato. Solo che temo che molte lettere vadano perse… con tutti questi aerei che bruciano. T’abbraccio con affetto. Toni».