La Lettura, 17 settembre 2017
Sorpresa, i sardi bevono più caffè dei napoletani
La cucina italiana è una cucina regionale, anzi locale. Tutti i ricettari e i saggi di gastronomia sono concordi su questo. Ugualmente concordi, almeno fino a un po’ di tempo fa, erano sul fatto che ci fossero delle precise identità regionali, che a volte interessavano intere macro aree. Così, a partire da Pellegrino Artusi, che fin dal 1891 fissò le prime coordinate del mangiare italiano, spicca il contrasto tra Nord e Sud, o tra Nord e Centro-Sud.
Ecco allora l’Italia del burro al Nord contro l’Italia dell’olio di oliva al Sud e quella dell’olio e strutto delle regioni centrali; l’Italia del riso (Piemonte, Lombardia,Veneto) contro il resto d’Italia della pasta; l’Italia della carne bovina (Centro-Nord) contro una dieta con poca carne, e di altro tipo, tipica del Sud; e così via. Su queste basi si sono costruite le più famose ricette e tradizioni regionali.
Ma se guardiamo la visualizzazione dei consumi attuali, divisa per regioni in ordine di spesa, che quadro emerge? La situazione sembra un po’ mutata. Le divisioni «classiche» del consumo sono poco chiare, i confini sfumati, è difficile dare una lettura complessiva. Prendiamo la carne bovina. Ora è consumata un po’ dappertutto, con Calabria e Sicilia vicine al Piemonte, e il vitello è acquistato in misura preponderante rispetto al manzo. In realtà, se guardiamo bene, ci sono alcune conferme delle cucine regionali: la Lombardia si distingue per i salumi, la Toscana per la selvaggina, l’Abruzzo per pecora e agnello. Lo stesso vale per il pesce, oggi presente sulle tavole molto più di una volta, che vede primeggiare la Campania, seguita da Sicilia e Lazio. Un’altra conferma viene dai prodotti lattiero-caseari, come formaggi e yogurt, che continuano ad avere nel Nord un luogo d’elezione. Non mancano le curiosità. I più golosi di pasticcini? Friulani e lombardi. Amanti del gelato? Ancora lombardi e toscani. Consumatori di uova? Campani, pugliesi e laziali. Primatisti del consumo di pane e grissini? Piemontesi, tallonati da sardi e toscani.
La pasta va forte in Centro Italia, cosa che non ci stupisce, mentre «l’Italia del riso» si è decisamente ridotta e vede il Trentino al primo posto. Anche «l’Italia del burro» è quasi sparita, battuta dall’olio di oliva, consumato ormai quasi ovunque.
Abbastanza omogeneo è anche il consumo di frutta e verdura, una volta appannaggio principalmente delle regioni meridionali, che pure continuano a giocare un ruolo di primo piano, con variazioni legate alle produzioni locali o a gusti acquisiti.
Molte sorprese invece tra le bevande. Qual è la regione che spende di più in caffè? La Campania? No, questa primeggia nel consumo di tè, l’espresso si gusta di più in Sardegna, Toscana e Lombardia. E se non ci stupisce che il vino sia molto apprezzato in Emilia-Romagna e Friuli, certamente può meravigliare l’alto consumo di birra in Calabria e Abruzzo.
Come interpretare questi dati? E quali fenomeni ci segnalano? In primo luogo, va detto che l’Istat registra la spesa pro capite per ogni alimento, non la quantità effettivamente consumata. Così se in una regione un prodotto è molto a buon mercato, il suo consumo reale può essere sottostimato. Un altro correttivo da tenere presente è che i dati si riferiscono alla spesa delle famiglie, quindi non tengono conto dei consumi nei locali (il caffè al bar non è conteggiato).
Detto questo, il grafico ci racconta un’evoluzione interessante. E cioè che molti stereotipi sulla cucina italiana sono ormai superati. Non esistono più le rigide divisioni tra zona e zona che ancora i nostri nonni ricordano bene. L’industria alimentare, lo sviluppo della grande distribuzione e un generale aumento del reddito familiare hanno ampliato e variato la nostra spesa alimentare. Tutto ciò però senza dimenticare le tradizioni e le ricette locali, come dimostrano molte scelte che confermano le preferenze tipiche di certe aree. Semplicemente, c’è stata una certa convergenza su un modello di «dieta mediterranea» per motivi salutistici e per le tendenze di moda nella gastronomia odierna. Da questo punto di vista, il grafico relativo all’Italia resta decisamente diverso da quelli che potremmo immaginare per altri Paesi europei. La cucina italiana mantiene una sua forte caratterizzazione.
Semmai, c’è da segnalare che alcune scelte sono legate a comportamenti economici.
In altre parole, dipendono dal potere di acquisto di ogni area e sono segnate dalla crisi degli ultimi anni. Da sempre in Italia le regioni del Sud spendono di più per mangiare. Questo fa parte di una sviluppata cultura del cibo che ha radici antichissime. Nel 2016, secondo i dati Istat, in Italia ogni famiglia ha speso 448 euro mensili per gli alimentari, che corrispondono circa al 18 per cento dell’intero reddito. Ebbene, le famiglie del Sud hanno speso ben 461 euro che è pari al 22 per cento del loro budget complessivo. La cifra però è in calo rispetto agli anni scorsi (quando rappresentava un quarto del reddito), soprattutto per via della crisi che ha imposto strategie di risparmio. Solo le ricche regioni del Nord-Ovest spendono di più, cioè 469 euro al mese, ma con un reddito ben più alto, per cui per loro il cibo incide solo il 16 per cento. Da notare infine il caso del Nord-Est, che si conferma come l’area più parca nelle spese alimentari: solo il 15 per cento del reddito (pari a 433 euro al mese). Tutto questo ci racconta di regioni che, grazie al loro potere di acquisto, hanno retto meglio alla crisi e hanno potuto permettersi alte spese alimentari, mentre altre zone sono arretrate (almeno nel valore della spesa, non necessariamente nella quantità di cibo, che potrebbe essere magari di minore qualità o comprato al discount).
Ecco perché tra le regioni che si sono piazzate con più frequenza nei primi posti in vari consumi (vedi parte destra del grafico), dopo un’area di grandi tradizioni culinarie come la Campania, troviamo il Trentino Alto-Adige, una delle zone più ricche d’Italia. Si segnalano poi la Lombardia, il Lazio, la Toscana, il Friuli e la Puglia. La crisi ha aggravato i divari di reddito e quindi anche le opportunità di spesa alimentare.
Con queste chiavi di lettura, e cioè la persistenza della tradizione, la convergenza verso il modello «mediterraneo», le scelte necessariamente legate al reddito disponibile, possiamo guardare al groviglio del grafico con più chiarezza. Quello che vediamo è il quadro di un’Italia legata alle sue ricette storiche locali ma non fossilizzata, che si evolve per scelta e per necessità verso una cucina composita, multiforme, adatta alle necessità del presente. Una cucina che riflette in pieno le diversità, i problemi e le potenzialità del Paese.