Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  settembre 18 Lunedì calendario

Il mago dei trapianti va dagli emiri. «È una proposta di lavoro perfetta»

«Una proposta di lavoro più unica che rara»: così Daniele Antonio Pinna, il mago dei trapianti all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, ha accettato di trasferirsi ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi, abbandonando l’Italia, per lavorare in uno dei tre ospedali della Cleveland Clinic, una struttura sanitaria privata fra le più importanti degli Stati Uniti che si sta espandendo anche all’estero.
«Prima mi hanno offerto di lavorare a Cleveland (in Ohio, dove ha sede una delle due cliniche americane, l’altra è in Florida, ndr ) – spiega Pinna – poi negli Emirati Arabi e ho accettato quest’ultima proposta, la più stimolante».
Per Pinna, un cervello in fuga verso Oriente – una destinazione piuttosto diversa dalle solite – si tratta infatti di organizzare, nell’ospedale di Abu Dhabi (oggi una grande metropoli e un centro culturale e commerciale in continua crescita) un programma di trapianti e di chirurgia oncologica per il fegato e per il pancreas. E anche di reclutare collaboratori da scegliere fra i più bravi, «ma anche fra quelli più capaci di inserirsi in un sistema internazionale» precisa lui, dando un’idea di come stanno evolvendo le dinamiche lavorative nel campo sanitario mondiale.
«La sfida è questa – dice Pinna —. Cominciare a disegnare, avendo a disposizione una tavolozza con tanti colori meravigliosi, su una tela perfetta».
Pinna ha tutti i numeri per avere successo in questa avventura. È figlio d’arte, se così si può dire: suo papà era chirurgo pediatrico a Cagliari. Lui, però, è nato a Roma (nel 1956) e si è laureato e specializzato all’Università La Sapienza. Poi è cominciata la sua esperienza internazionale negli Stati Uniti, dopo un periodo di lavoro a Cagliari: prima a Pittsburgh e poi a Miami.
A Pittsburgh ha lavorato insieme con Ignazio Marino, ex sindaco di Roma. «Sì, eravamo colleghi – dice Pinna —. E gli avevo anche detto che un chirurgo non può diventare un politico. E che non poteva abbandonare così presto la professione». Consigli che non vennero seguiti. Ma tant’è. Pinna è poi rientrato in Italia, prima all’Università di Modena, nel 2000, dove ha aperto un Centro trapianti di fegato e multiviscerali e poi a Bologna, al Sant’Orsola, nel 2003, per rifondare la scuola della Chirurgia bolognese.
Nel 2010 ha portato a termine con la sua squadra un trapianto-record: quello dei «magnifici sette», come lo ha definito lui stesso. «Abbiamo eseguito, in 24 ore, sette trapianti in sette pazienti diversi – ricorda il chirurgo —. Ma il settimo paziente, magia dei numeri, un sedicenne di Ancona (arrivato in fin di vita per un gravissimo trauma stradale, ndr ) ha ricevuto sette organi diversi da un solo donatore, e in particolare quello dell’intestino». Perché è proprio nel trapianto multiorgano, quello dell’intestino in particolare, che Pinna è un’autorità.
Il centro del Sant’Orsola ha raggiunto un record di trapianti per il 2016: l’équipe di Pinna ha completato 106 sostituzioni di fegato, due delle quali da donatore vivente, e 104 di rene, di cui sedici da vivente. Un’attività eccezionale, al punto che un docu-reality, dal titolo «Destini incrociati» l’ha raccontata al pubblico televisivo in un programma su Fox Life qualche tempo fa: storie di persone curate che esprimono dubbi e preoccupazioni a proposito dell’intervento e di medici alle prese con questi interventi di confine.
Un’ultima domanda, professore: non le dispiace lasciare Bologna e il suo gruppo? «Non c’è scelta senza rinuncia – conclude Pinna –. Certo, sono dispiaciuto di lasciare il mio gruppo di Bologna, ma i miei collaboratori possono continuare su una strada ormai aperta. Sono tutti chirurghi di eccellenza e bravi quanto me».