La Stampa, 17 settembre 2017
Nba, la rivoluzione dello sponsor. Ma Curry (per ora) insegue Messi
Messi batte Curry, ma il loro duello è impari. No, il due volte campione Nba non ha sfidato l’amico Lionel sui calci di punizione. Il confronto si gioca sulla divisa dei due piccoli grandi geni di calcio e basket. Barcellona e Golden State Warriors, infatti, non condividono solo la missione – vincere grazie alla tecnica e alla fantasia più che al fisico – ma anche lo sponsor, il colosso giapponese del commercio elettronico Rakuten. Che tuttavia ha deciso di investire cifre differenti: al Barcellona 55 milioni di euro l’anno, oltre il triplo rispetto al contributo per i cestisti californiani.
La nuova era del brand
Il confronto in questi termini, però, è fuorviante. Innanzitutto per i tempi: la Nba è la prima grande Lega dello sport americano ad ammettere gli sponsor sulle maglie da gara e la rivoluzione comincerà esattamente fra un mese, con l’inizio della stagione regolare. Ma i soli 14 club su 30 con una partnership già definita – con introiti tra 3,5 e 16,7 milioni di euro annui – confermano come la nuova era sia ancora in fase sperimentale. A ciò si deve aggiungere la questione spazi: sulle divise Nba resterà prioritario il logo della franchigia, posizionato sulla parte anteriore, e allo sponsor verranno riservati al massimo 6,35 centimetri quadrati sulla spalla sinistra. Un terzo, rispetto alle dimensioni dei loghi presenti sulle maglie dei calciatori.
Almeno su questo argomento il calcio può vantare un netto predominio, ma va sottolineato che la Nba presieduta da Adam Silver è un circolo virtuoso che conta su un contratto tv da oltre due miliardi di dollari a stagione e ha firmato con Nike un accordo vicino al miliardo complessivo per la fornitura delle divise. Le maglie, la cui gamma Statement è stata presentata venerdì a Los Angeles, avranno un’innovazione pensata per gli appassionati. Sulla divisa è presente un chip che permette, a chi la indossa, di accedere a contenuti personalizzati attraverso una specifica app. Peraltro l’introduzione degli sponsor sulle divise non rappresenta un inedito per il basket Usa.
Chi si rivede
Per gli appassionati ottuagenari rivedere il marchio Goodyear sulla canotta dei Cleveland Cavs costituirà un ritorno al passato: la National Basketball League, antenata della Nba, negli anni 40 era aperta agli sponsor, tra i quali spiccava proprio la Casa di pneumatici di Akron. Che 70 anni dopo ha deciso di ripetere l’esperienza, portando il proprio logo sulla spalla del concittadino LeBron James, nato proprio ad Akron. L’idea di unire un marchio globale alla città d’origine è venuta anche a Disney e Harley-Davidson, partner rispettivamente di Orlando e Milwaukee, città note anche per merito del colosso dell’intrattenimento e della custom più desiderata. Utah, invece, ha scelto l’aspetto sociale con Qualtrics, impegnata nella ricerca sul cancro.
Silver aveva previsto un incasso iniziale di 100 milioni di dollari – il 50% del totale verrà suddiviso tra i 30 club – e i dati stanno confermando la stima. Per una Lega che nel 2017/18 supererà i 7 miliardi di fatturato è una cifra trascurabile. Ma la Nba, capace di cavalcare la globalizzazione e l’esplosione del web, è abituata ad anticipare i tempi: l’era degli sponsor è un’altra barriera abbattuta, anche se i puristi non gradiranno.