Libero, 15 settembre 2017
Quando stuprano una fascista allora va bene
Aveva quasi la stessa età di Anne Frank quando l’hanno prelevata da casa, portata in un campo di concentramento partigiano, e là ripetutamente violentata, pestata, e infine giustiziata. Aveva appena 13 anni, Giuseppina Ghersi, la ragazzina di Savona, trucidata dai miliziani partigiani con l’accusa a quell’età! di essere una collaborazionista fascista, per il semplice fatto di aver ricevuto tempo addietro le congratulazioni dal segretario particolare del Duce per un tema scritto durante un concorso scolastico.
Quell’infame gesto, che si consumò a Savona tra il 27 e il 30 aprile 1945 quando la piccola fu uccisa con un colpo di pistola alla nuca a lungo è rimasto sottaciuto, rimosso insieme alle altre pagine oscure che avrebbero potuto intaccare il Mito della Resistenza. E così nessuno, per anni, ha ricordato le circostanze in cui si consumò la barbarie ai danni della piccola nel campo di concentramento di Legino, col padre costretto ad assistere al macabro spettacolo di moglie e figlia in balìa di belve partigiane che «cominciarono le torture» portando Giuseppina «in uno stato comatoso» tale che «non aveva più la forza di chiamare suo papà» (così scrisse il padre nell’esposto presentato quattro anni dopo al Procuratore della Repubblica di Savona); e «poi si sfogarono su mia moglie, malmenandola e percuotendola in modo che lascio alla vostra immaginazione».
E nessuno, per anni, ha ricordato la maniera in cui venne abbandonato il corpo ormai esanime di Pinuccia come veniva chiamata dai cari gettato su un mucchio di altri cadaveri davanti al cimitero di Zinola con «l’orrore impresso sul suo viso, una maschera di sangue con un occhio bluastro tumefatto e l’altro spalancato sull’inferno», come raccontò un testimone.
Nessuno, se non gruppi missini locali, almeno finché Giampaolo Pansa non ha parlato della vicenda di Giuseppina ne Il sangue dei vinti. E finché qualche consigliere comunale savonese, come Alfredo Remigio nel 2010, non ha iniziato a domandare «l’intitolazione di uno spazio pubblico in memoria di Giuseppina», vedendosi respinta la richiesta dal Comune.
Ora il testimone del ricordo è stato preso da un consigliere di centrodestra di Noli (Savona), Enrico Pollero, peraltro figlio di un partigiano, che ha chiesto e ottenuto, con l’appoggio del sindaco Niccoli, di realizzare e inaugurare il prossimo 30 settembre una targa commemorativa di Pinuccia al centro di una piazza. Un omaggio apprezzabile anche se parecchio lacunoso, visto che il testo della targa si limita a recitare «Anni sono passati, ma non ti abbiamo dimenticato, sfortunata bimba oggetto di ignobile viltà». Dove non capisci cosa c’entri la sfortuna con le violenze subite, e dove manca l’indicazione dei nomi e del ruolo degli aguzzini. Chi ha stuprato e brutalizzato Giuseppina? E perché? Non è dato ricordarlo. La memoria omertosa dei vincitori impone il silenzio...
Ma soprattutto la cosa che più indigna sono le reazioni dell’Anpi, dei partigiani del comitato provinciale di Savona che, non paghi di una targa di compromesso, chiedono di non inaugurarla dicendosi «assolutamente contrari» e annunciando «proteste con il Comune di Noli e la Prefettura». Basta leggersi le parole di Samuele Rago, presidente provinciale dell’Anpi, per rabbrividire: «Al di là dell’età», scrive, «Giuseppina Ghersi fece la scelta di schierarsi con il fascismo. Eravamo alla fine di una guerra, è ovvio che ci fossero delle condizioni che oggi possono sembrare incomprensibili». E ancora: «I casi di giustizia sommaria furono il risultato dell’odio seminato con le atrocità compiute dai fascisti e dai nazisti. È in quel contesto che avviene la violazione e l’uccisione di Giuseppina Ghersi». Quindi Pinuccia, secondo l’Anpi, doveva essere violentata e uccisa perché era una fascista, i fascisti avevano commesso crimini e il contesto della guerra civile lo giustificava. Frasi atroci cui si aggiunge la chicca: «Era una ragazzina, anche se dalle foto non sembra». Quasi a dire: aveva tredici anni, ma ne dimostrava di più, e quindi magari i violentatori pensavano fosse una maggiorenne...
Agghiacciante. Se questi sono i partigiani, capiamo chi fieramente decise di combattere dall’altra parte.