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 2017  settembre 08 Venerdì calendario

Nelle mani di Pechino

Zhang Huiyi, un commerciante di sabbia di 35 anni, è pentito di aver ordinato solo tre barche nuove: “Sono anni che il prezzo della sabbia non è così alto”. Per ogni metro cubo guadagna l’equivalente di 8,5 euro. Non appena metterà in acqua la sua prima barca dovrà accaparrarsi tutta la sabbia possibile, prima che lo faccia qualcun altro.
Zhang si è unito ai fornitori di sabbia di Simao, in Cina, nel dicembre del 2016, quando è cominciata la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità che collegherà la Cina con Singapore, attraversando il Laos, la Thailandia e la Malesia. Questa tratta di tremila chilometri – con 77 gallerie, decine di stazioni e relative vie di accesso – ha creato una domanda insaziabile di sabbia, la componente fondamentale del cemento.
Simao, un porto fluviale sul corso superiore del Mekong prospera grazie al progetto cinese della nuova via della seta, la Beh and road initiative: una rete commerciale paragonabile all’antica via della seta che dalla Cina attraverserà l’Asia centrale fino a raggiungere l’Europa e per la quale sono stati fatti centinaia di miliardi di investimenti. Qui nei cantieri si piegano le lastre d’acciaio trasformandole in chiatte per il trasporto della sabbia; macchine per gli scavi in acqua vengono issate su barconi dal fondo piatto e i camion viaggiano in direzione delle fabbriche di cemento. Il com mercio di sabbia porta agli operai locali, abituati al sonnellino pomeridiano tra mezzogiorno e le tre, più lavoro di quanto Simao sia in grado di sostenere.
È per questo che Gou Yuefen, 71 anni, funzionario dei servizi portuali in pensione, ha ricominciato a lavorare. Cappello di paglia e telefono cellulare alla cintura, Gou si occupa dei preparativi in vista dell’ispezione di sicurezza, in modo che la barca di Zhang possa partire al più presto. “La politica degli incentivi voluta dal presidente cinese Xi Jinping viene prima di tutto. Un imprenditore ha bisogno di terra? Va costruita una strada? Servono autorizzazioni per l’attracco? Sistemiamo tutto al più presto”, spiega.
Le infrastrutture non sono mai abbastanza, dicono i cinesi. E l’intensa attività economica è una conseguenza di questo modo di pensare. Ma per il porto fluviale di Simao il fiorente commercio di sabbia è solo un ultimo sussulto. Il timoniere Cong, 32 anni, vede avvicinarsi la fine. “Una volta ultimata la ferrovia, non ci sarà più un’anima a usare il trasporto sull’acqua. Oltretutto la sabbia è quasi finita, per riempire una barca dobbiamo spingerci sempre più a nord”. Questo spiega anche la fretta di Zhang. Cosa succederà a Simao quando i treni circoleranno? Nessuna preoccupazione, dice Gou. “Il presidente Xi si adopera affinché ci sia prosperità in tutto il mondo”.
Stazione di Mohan
Lo zainetto rosa di Li Yunling, una scolara cinese di 9 anni, è l’unica macchia di colore nella fila di camion che procedono in dire, zione della frontiera con il Laos. Durante la settimana Yunling frequenta un collegio in Cina, e nel weekend raggiunge i genitori, che lavorano in Laos. La scuola Shuangyong di Mohan, una piccola città al confine con il Laos, è frequentata da molti figli di nuovi arrivati che tentano la fortuna in questa isolata regione della Cina. Nel giro di un anno la popolazione di Mohan è cresciuta del 35 per cento. La scuola ha 789 alunni, dieci dei quali sono figli di cinesi che lavorano in Laos e fonte di costante preoccupazione per il preside Li Yanghai. La polizia di frontiera laotiana, come quella cinese, chiude un occhio sul fatto che gli scolari attraversano il confine seguendo piccoli sentieri nella giungla. Ma è illegale, e quindi rischioso.
Su quei sentieri sono ambientate tante storie dell’epoca della malavita, quando in questa zona del Laos c’erano i casinò e i debiti di gioco si pagavano con la vita. Probabilmente ci sono le tombe anonime disseminate lungo il sentiero che Yunling percorre di nascosto per attraversare il confine. “È molto pericoloso”, confessa il padre di Yunling, Li Dingzhuang, che fa il camionista e ha cinquant’anni. “Trafficanti di esseri umani e di droga: i confini attirano personaggi loschi. Non ci vuole niente a rapire una bambina”. Il preside Li ha ottenuto dalle autorità di confine un lasciapassare per gli alunni della Shuangyong.
“Nel 2006 a Mohan c’era un’unica strada. Per comprare un paio di calzini dovevo fare mezza giornata di macchina. Oggi invece ci sono cinquanta alberghi”, dice Huang Siyuan, 38 anni, manager di un’azienda di servizi logistici. Il suo terreno è pieno di rotoli di cavi d’acciaio e scavatrici che aspettano i permessi per passare la frontiera. Il Laos è una delle nazioni più povere del mondo. Al paese manca perfino il carburante, per non parlare di scavatrici, betoniere, trivelle per scavare le gallerie e materiali da costruzione per la nuova linea ferroviaria. Arriva tutto dalla Cina, in parte tramite la ditta di Huang. “Ci adeguiamo alla nuova realtà”, dice il manager. “L’economia dell’intera regione sta subendo trasformazioni radicali. I flussi di commercio su scala mondiale stanno cambiando”. A suo avviso l’occidente sottovaluta la politica della nuova via della seta. “Pensate che sia solo uno slogan. Quando Deng Xiaoping, alla fine degli anni settanta, annunciò le riforme economiche, la cosa ebbe ripercussioni sull’economia mondiale. Con la nuova via della seta è lo stesso, ma voi non ve ne rendete conto”.
Nel sudest asiatico, invece, ne sono consapevoli. Ma anche lì ci sono dubbi sulla ferrovia panasiatica. La Birmania non partecipa a causa di problemi ambientali. La Thailandia si rifiuta di impegnarsi per la sua parte del percorso. I lavori al tracciato sono attualmente bloccati da qualche parte nel Laos meridionale, senza un collegamento alla ferrovia tailandese. “È ancora da vedere se la linea arriverà fino a Singapore”, dice Hu Wenchang, responsabile del commercio estero dell’area di sviluppo economico di Mohan. “Tra quattro anni la ferrovia nel Laos sarà finita, a quel punto Bangkok e Pechino probabilmente avranno concluso le trattative”. È convinto che sia una questione di tempo, denaro e potere: tre cose che la Cina possiede in abbondanza. Altrimenti il Laos si ritroverà con un treno costosissimo che non va da nessuna parte.
Stazione di Boten
Duan Wenping scorre un puntatore laser su un enorme plastico e lo ferma su una montagna. “Questa sparisce. Qui ricostruiremo l’attrazione turistica del Laos, la città dei templi di Luang Prabang“, spiega Duan, il capo progetto cinese della zona economica speciale di Boten, una città del Laos al confine con la Cina. “E poi ci sarà un villaggio vacanze con le minoranze laotiane nei costumi tipici. E quattro centri commerciali dutyfree”.
In passato Boten era una cittadina dove i cinesi giocavano d’azzardo. Nel 2009, dopo una serie di episodi violenti, la Cina ha spento le luci, letteralmente, tagliando l’elettricità. I casinò hanno chiuso e Boten è stata abbandonata alla giungla. Oggi le luci brillano di nuovo: stando agli slogan entusiastici, Boten si reincarnerà in un paradiso esentasse e un porto franco intemazionale. La lingua ufficiale è il cinese, l’orologio segna l’ora di Pechino. Di sera la popolazione – duecento pionieri cinesi – si ritrova nell’unica stradina dove non circolano betoniere. “Abitare in un cantiere aperto di 18 chilometri quadrati non è da tutti, bisogna essere in grado di reggere”, dice Duan.
I laotiani se ne sono andati ormai da anni, all’epoca della costruzione dei casinò. Duan spera che qualcuno torni. “Abbiamo bisogno di cameriere e addetti alle pulizie. I laotiani sono incredibilmente economici, e poi abbiamo promesso di creare per loro opportunità di lavoro”.
Una situazione vantaggiosa per tutti, è lo slogan preferito della nuova via della seta: ciascuno ne trarrà profitto. Specialmente la Cina. Boten si prepara ad accogliere il turismo di massa cinese. Ci sono progetti per un campo da golf, un complesso di ville e un luogo dedicato al gioco d’azzardo: l’ippodromo. “Non dimenticate l’ospedale con annessa casa di riposo!”, dice Duan. “Per prendersi cura della propria salute in un posto dove l’aria è pulita”.
L’amministrazione cerca di proteggere l’aria dall’inquinamento, anche se qualche fabbrica è inevitabile. “Scarpe, abbigliamento, industria leggera”, elenca Duan. Le fabbriche del macie in China si stabiliscono vicino alla ferrovia. “Così la merce sarà macie in Laos, un’etichetta che ha dei vantaggi. I paesi occidentali impongono sui prodotti cinesi tariffe d’importazione alte. Ma queste regole non valgono per il Laos”. Questo significa campo libero per le merci cinesi che da Boten partono in treno verso il resto del mondo. Per ora l’area industriale è una landa desolata di terra rossa battuta dal vento. Gli scavi di una sola montagna costano più di un milione di eu ro, e qui ne spariscono a decine. Del bosco non resta che qualche alberto gigante tropicale salvato, avvolto in reti protettive. Ci atteniamo alle norme ambientali, afferma Duan. “Del resto se facciamo in questo posto lo stesso letamaio che ce in Cina, l’intera zona non varrà più niente”.
Stazione di Naxay
Prima si è giocato gli occhi. Poi la schiena. Alla fine Wang Jinchun, 37 anni, aveva dolori dappertutto per via del lavoro in una fabbrica di scarpe nel sud della Cina. “Sono un figlio di contadini, non un automa”, dice. Era finito nel ramo delle calzature dopo il fallimento della sua piantagione di banane in Cina. “Lì le piante si ammalano pervia dell’inquinamento. Veleni nella terra e nell’acqua, smog nell’aria: muore tutto”. Oggi Wang lavora in un campo di banane in una sonnolenta vallata laotiana. Un buon raccolto gli rende 9.200 euro. Il proprietario della piantagione è un cinese, che fa affidamento sul treno per trasportare le sue banane all’asta della frutta cinese e far arrivare nuova forza lavoro dalla Ci na. “Per questo siamo qui, vicino alla ferrovia. Il commercio delle banane laotiane diventerà redditizio”, dice Wang.
Un qualunque coltivatore di banane laotiano sembra capire meglio del governo di Vientiane quali saranno le conseguenze economiche della ferrovia per il Laos. Dal Fondo monetario internazionale alla Banca Mondiale, tutti hanno consigliato al Laos di fare un’analisi dell’utilità della ferrovia prima di imbarcarsi nell’impresa con Pechino. La maggior parte della popolazione laotiana vive di agricoltura primitiva, non esiste il concetto di esportazione. Il rischio che la minuscola economia locale tragga poco vantaggio dalla ferrovia è alto.
Ammesso che siano stati compiuti, gli studi di fattibilità non sono pubblici. Né si sa niente dei risarcimenti alla popolazione costretta a sgomberare per far posto alla ferrovia. Nel frattempo il fabbro del paese, Taoli, ha già perso il suo terreno. “Il governo locale ha detto: ci serve la tua terra. Ora nel mio campo c’è uno scavo. I funzionari hanno indicato una montagna più avanti dicendo: lì puoi ricominciare”. Non sa se otterrà mai un risarcimento. Taoli era già sollevato che i funzionari, notoriamente corrotti, si fossero accontentati del suo terreno: “In genere vogliono anche dei soldi”. La mancanza di chiarezza sui risarcimenti dipende dagli accordi precari sul contributo laotiano al finanziamento dei 420 chilometri di ferrovia. Lo dice un ex dipendente del ministero dei trasporti di Vientiane che non vuole rivelare il suo nome. Il Laos non ha soldi ma deve contribuire con due miliardi di dollari al tracciato, che ne costa circa sette. Quei due miliardi li prende in prestito dalla Cina e se, come molto probabile, il prestito non sarà mai restituito, Pechino darà una mano a finanziarlo. Come garanzie la Cina ha ottenuto terreni coltivabili e concessioni minerarie.
“Per me va bene se il Laos diventa un pezzetto di Cina”, dice Xing, un bracciante di 31 anni. L’uomo parte dal presupposto che i cinesi regalino il treno al suo paese: “Noi non siamo in grado di costruire una ferrovia c questa è una nuova opportunità di lavoro. Per una giornata a scavare nel cantiere mi pagano l’equivalente di 11 euro”.
“Io do a tutti l’occasione di lavorare, però bisogna fare in fretta”, dice il caposquadra, originario della regione cinese dello Hunan. “A breve avrò qui cinquecento operai cinesi per costruire il tunnel e il loro dormitorio non è ancora stato ultimato. I laotiani sono terribilmente lenti”.
Stazione di Muang Xai  Yang Ruisong, 23 anni, ha concluso l’affare della sua vita. D’ora in poi il giovanissimo rappresentante cinese del nuovo marchio di acqua minerale Namtha può definirsi fornitore ufficiale dell’ufficio della ferrovia 1 nella cittadina commerciale di Muang Xai. La quantità d’acqua che viene convogliata nei cantieri supera già di gran lunga le sue più rosee aspettative: “Arriveranno molti più operai. Non siamo ancora a pieno regime”. Nelle risaie che ospiteranno la stazione, gli artificieri dell’esercito laotiano perlustrano il terreno metro per me’tro con i metal detector alla ricerca di bombe statunitensi. Durante la guerra del Vietnam gli Stati Uniti lanciarono in Laos più di due milioni di bombe, due terzi delle quali ancora inesplose.
Un imprenditore cinese che si rispetti a questo punto è già a Muang Xay, in attesa dell’arrivo in massa degli operai. Secondo Yang, l’8o per cento degli affari a Muang Xay è nelle mani dei cinesi. “I cinesi fanno buoni affari, certo, ma tra di loro. Perfino il principale marchio di cemento laotiano è di proprietà di un cinese”. Lo stesso succede per il marchio dell’acqua di Yang. Namtha sembra una parola laotiana, invece è cinese. “All’ufficio della ferrovia erano contenti dell’idea. Con il mio concorrente Tigerhead, un marchio di acqua laotiano, non hanno nemmeno parlato. I cinesi vogliono buoni servizi a un prezzo basso. Io offro la Namtha a un costo davvero vantaggioso”.
Per questo la Namtha ha praticamente sostituito del tutto l’acqua Tigerhead sugli scaffali del supermercato Dashawang. Il negozio è rivolto ai consumatori cinesi: a nessuno è venuto in mente di stampare un volantino in laotiano per pubblicizzare le grandi promozioni in occasione dell’apertura. L’indirizzo in laotiano è stato scarabocchiato a mano, nel caso in cui la popolazione locale fosse interessata a 26 tipi diversi di fon cinesi.
Yangsha, 32 anni, è uno dei pochi uomini daffari laotiani in città. Tra le altre cose, ripara gli scooter. “Faccio solo interventi semplici, spero di poter imparare di più sui motorini dagli imprenditori cinesi. Considero i cinesi un po’ come degli insegnanti. Quando eravamo una colonia francese ci hanno prosciugato, e gli americani ci hanno sotterrato di bombe. Ora i cinesi stanno conquistando la nostra economia. Sembra una cosa positiva se paragonata ai padroni occidentali: la Cina almeno porta progresso”.