il venerdì, 15 settembre 2017
Quando Beotti giocava con me. Intervista a Agata Boetti
PARIGI. «Era enorme lo studio di mio padre e da bambina mi sembrava addirittura sconfinato. Finita la scuola, correvo in quella bottega delle meraviglie, dove qualsiasi cosa diventava un gioco, un incanto, e potevo toccare tutto, frugare tra centinaia di matite colorate, cartoline, riviste, barattoli di pittura, ciotole d’oggetti strani acquistati solo per la loro forma stravagante... Papà mi catturava con la sua mente pirotecnica e giocavamo per pomeriggi interi, disegnando, ritagliando, incollando. A volte rubava i miei giocattoli per introdurli nei suoi lavori, dove compaiono pantere rosa, gnomi, origami, pezzi di puzzle».
Agata Boetti ricorda con un amore senza frontiere il suo rapporto privilegiato con papà Alighiero: ancora oggi, a 23 anni dalla morte del grande artista, la casa della figlia a Parigi (spazi aperti e colorati dove vivono anche tre figli e tre gatti) è tutta un omaggio nostalgico all’atelier di quel genitore che non si lascia dimenticare. Su un muro della camera da letto c’è la Mappa del mondo che Boetti ha dedicato ad Agata, ogni nazione tessuta nei colori della propria bandiera; su un altro, le buste con dozzine di francobolli che le ha inviato da Sudan e Guatemala negli anni dei Lavori postali. «I ricordi che ho di mio padre non sono legati a eventi familiari, vacanze e compleanni, ma solo al suo lavoro: a quel nostro giocare senza sosta nel suo studio, che spesso ha dato il “la“a tante sue opere. Ci piaceva molto, ad esempio, veder passare gli aerei in cielo e immaginare le vicende dei passeggeri: chi erano, dove andavano, perché. E quando l’aeroplano spariva dalla vista, la mia delusione era palpabile: “Sarebbe bello che ce ne fossero di più”. È stato allora che ha iniziato la serie Aerei: acquerelli con sciami di velivoli bianchi su fondo azzurro».
Disegni, post-it, lettere, foto, idee, appunti sopravvissuti a quegli scambi tra padre e figlia, saranno esposti – insieme ad alcune opere d’arte nate dai loro incontri – nella mostra ABAB. La stanza dei giochi, uno degli eventi più curiosi della terza edizione del Senso del Ridicolo. Festival sull’umorismo, sulla comicità e sulla satira che si terrà a Livorno dal 22 al 24 settembre, diretto da Stefano Bartezzaghi (vedi il boxa pag.94). ABAB come le iniziali di Alighiero Boetti e Agata Boetti; ma, letto al contrario, anche BABA, che accostato al nome di ALI-ghiero, evoca Ali Baba e fantasie da Mille e una notte. Nonché «A&B», Alighiero & Boetti, la sigla con cui l’artista concettuale sottolineava il suo sdoppiarsi in gemelli dissimili e complementari: un conto era Alighiero, un conto Boetti, perché il doppio è in ognuno di noi.
Di fatto la mostra riprende il tema già affrontato da Agata nel libro II gioco dell’arte, edito l’anno scorso da Electa: il racconto di ciò che è accaduto prima della nascita di tante opere dell’artista. Ovvero rincontro fra «una bambina e un giocatore» (parole della figlia): fra due persone che fanno del linguaggio ludico il loro idioma prioritario. Il loro modo serio, serissimo di esplorare il mondo. Ed ecco, su un muro della casa di Parigi, il foglio su cui Agata bambina ha disposto in un quadrato le lettere del proprio nome: accanto, l’opera in cui Alighiero ha fatto ricamare – «quadrandolo» – il nome della figlia. Ecco, poco più in là, i loro divertissements con l’elenco telefonico: Agata trascrive i cognomi che corrispondono a un frutto (Mister Pistacchio e Signora Mela), Alighiero quelli che coincidono con i colori. C’è anche uno scatolone pieno dì animaletti di plastica: «Li schieravamo a migliaia sul pavimento e Alighiero creava per loro praterie e savane, monti e laghi. Nel mezzo, un tappeto afgano: il “tappeto volante“con cui, fatto rifornimento di Coca-Cola e Nutella, partivamo abbracciati per viaggi fantastici, sorvolando il mondo. “Siamo al Polo Nord,guarda i pinguini”.“Laggiù gli orsi sul ghiaccio“». Un giorno un amico di papà ha fotografato quel mondo in una stanza: gli scatti sono stati pubblicati da Casa Vogue come “Installazione d’artista”. E la ricostruzione di quella fauna in miniatura sarà nella mostra di Livorno».
Anche le pareti di casa Boetti junior, nell’XI arrondissement («scelta non casuale: l’il era il numero feticcio di Alighiero»), ripropongono i celebri muri di Boetti senior. Lui attaccava fitte fitte alle pareti immagini che lo seducevano, lettere, ricordi, progetti, disegni di amici: icone personali in cornice. Agata fa lo stesso, ma tutto ciò che qui è appeso a un chiodo è opera di Boetti o lo ricorda o è ispirato a lui o è stato da lui amato. Come la foto del lago afgano dove desiderava venissero sparse le sue ceneri. 0 i bigliettini che padre e figlia si scambiavano: «Papus ti voglio bene»; «Agata incazzata per l’acqua nel motorino. Il papà ascoltatore».
Un amore esclusivo e assoluto quello tra lei e Alighiero.
«Mio padre invitava me e mio fratello Matteo a entrare nel suo mondo immaginario, ma era incapace di partecipare al nostro. Io lo accettavo, Matteo meno. A intuire il nostro bisogno di normalità e insistere perché Alighiero si comportasse come tutti gli altri padri era la mamma, fonte d’equilibrio e sicurezza. Ma quando papà ci provava, era un disastro. Una volta si è alzato presto per preparare la colazione, ha comprato i cornetti, fatto le spremute: “Ragazzi in piedi, sono le 7, si va a scuola”. Era domenica. Un’altra volta ha accettato di partecipare alla riunione di classe: si annoiava così tanto che si è acceso uno spinello. Un’altra ancora mi è venuto a prendere alla fine delle lezioni: si è presentato con una Ferrari rossa in affitto - adorava le auto e la velocità – e la musica a palla. Ho finto di non conoscerlo».
Ma in studio era magnetico. Anche per Matteo?
«Lui era innamorato della mamma, di Annemarie, la colonna vertebrale della famiglia. Papà spiegava così questi intrecci vigorosamente edipici: lui era nato il 16 dicembre, io il 16 marzo; Annemarie il 15 aprile. Matteo il 15 luglio. La coincidenza delle date legava indissolubilmente le due coppie. Fatto sta che partivo spesso sola con papà per il weekend e lui mi esaltava con gli estranei, mettendomi in imbarazzo: “Hai visto come è bella mia figlia? È anche geniale”. E da me accettava capricci inenarrabili. Un giorno che ero arrabbiata con lui, mi ha fatto recapitare a casa 11 paia di scarpe Superga di tutti i colori: le ho rimandate indietro. Mentre a 13 anni gli ho chiesto i Duran Duran per la mia festa di compleanno. “Non li conosco!“ha obiettato. “Trovali, sennò non ti amo più”. Lui si è presentato con Pete Townshend degli Who: li ho cacciati entrambi».
Padre affascinante e innamorato. Su un piedistallo ma anche ai suoi piedi...
«Ogni tanto mi chiedo come sono riuscita a ricostruirmi una vita: ad amare ed essere riamata. Ho fatto molti anni di analisi per ristabilire un po’ d’ordine. A volte dico: “Non esiste uomo che arrivi alle caviglie di mio padre“, ma poi ci rido su. Anche se penso davvero che Boetti sia stato un genio».
A tenere il timone, con stabilità e intelligenza, è stata per anni Annemarie...
«Mamma e papà erano complementari. Intellettuale e femminista, lei è sempre stata sedotta dalla libertà di pensiero di Alighiero. D’altro canto ha avuto un influsso fondamentale su di lui, prima che si separassero. Stimolandolo di continuo. “Il ruolo di una moglie è darti calci in culo“, diceva mio padre. E infatti le grandi idee artistiche di Boetti sono tutte degli Anni 60-70, quelli di Annemarie Sauzeau. Lui frequentava schizzati come Schifano e Sol Lewitt; lei persone di cultura come Eco e Moravia».
E l’altra faccia della personalità di suo padre? Ne ha conosciuto anche le ombre?
«Sapevo che c’era un Boetti tormentato, angoscioso, soprattutto quello legato alla droga, ma non l’ho mai vissuto in prima persona, come invece Matteo ernia madre. I suoi assistenti avevano l’ordine di tenermi lontana quando stava male o era con della gentaglia. È stato per proteggere noi bambini che Annemarie lo ha lasciato, nei primi Anni 80, quando la situazione è peggiorata. Ma non ha mai smesso di amarlo. Mio figlio le ha regalato una maglietta con su scritto: “La gente crede in Dio. Io in Boetti“».
Potrebbe essere valida anche per lei, Agata...
«E per la madre di Alighiero, nonna Adelina. Che lo adorava. Violinista, appassionata di musica, quando il marito l’ha abbandonata, si è messa a creare corredi da sposa per mantenere i figli. La sua casa era piena di musica, colori, carta velina, cifre e monogrammi ricamati: elementi che tornano di continuo in Alighiero. Che rideva: «I critici d’arte scrivono testi elaborati su di me, senza capire che qualsiasi cosa faccia è legata a mia madre».