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 2017  settembre 15 Venerdì calendario

Nanofarmaci, come scende in campo l’invincibile mini armata

Per rimuovere l’embolo cerebrale che tiene in coma uno scienziato, un sommergibile arriva nel suo cervello navigando nel sistema circolatorio: succede nel film Viaggio allucinante di Richard Fleischer. È il 1966 e la nanomedicina entra perla prima volta neH’immaginario collettivo. «Quell’idea, spiazzante per il pubblico dei cinema, in realtà già circolava tra gli scienziati: sette anni prima, il 29 dicembre 1959, nel meeting annuale dell’associazione americana dei fisici, Richard Feynman aveva tenuto un discorso, intitolato C’è un sacco di spazio laggiù infondo, che parlava di “piccole macchine“composte da pochi atomi o molecole, da inghiottire per permettere loro di riparare il cuore». Lo racconta Massimo Masserini, docente di biochimica all’Università di Milano-Bicocca, dove dirige anche il centro di nanomedicina. All’attualità e alle promesse di questa scienza così di frontiera Masserini ha dedicato il saggio Come ci cureremo domani. La scommessa della nanomedicina (Il Mulino). 
«Oggi esistono davvero quelle nanomacchine immaginate da Feynman che se sono ancora rudimentali e capaci di poche operazioni, e la loro realizzazione nel 2016 è valsa il Nobel per la chimica a Jean-Pierre Sauvage, J. Fraser Stoddart e Bernard L. Feringa» spiega Masserini. «Ma soprattutto esistono farmaci che, trasportati da piccolissime capsule che li contengono e li proteggono, possono colpire con grande Precisione i loro bersagli e ridurre così la quantità di farmaco necessaria a curare le malattie». Si chiamano nanofarmaci, oltre sessanta sono già approvati e più di duecento si trovano nelle ultime fasi della sperimentazione umana. «A oggi si usano soprattutto per tre scopi: come antitumorali, per la cura delle anemie e contro le infezioni» spiega Masserini. «Ma tra pochi decenni saranno possibili cose che oggi appaiono fantascienza: avremo nanosensori nel sangue che, 24 ore su 24, capteranno i cambiamenti maligni nelle cellule in tempo reale e interverranno, mesi o anni prima che una malattia possa manifestarsi. E avremo delle nanoparticelle composte da collagene capaci di risanare una frattura ossea disponendosi su un lembo e attirando quello opposto perché si risaldi con il primo».
Sono strumenti con misure pari a un decimillesimo dello spessore di un capello, il che offre indubbi vantaggi: «Anzitutto la precisione. Oggi con le chemioterapie, pur di colpire le cellule cancerose danneggiamo anche quelle sane. Se invece le molecole del farmaco chemioterapico vengono inserite dentro nanocontenitori che si iniettano nel paziente, si può far si che queste nanoparticelle, finché sono nel sistema circolatorio, non permettano la fuoriuscita del farmaco ed evitino che venga degradato dal sistema immunitario. Poi, una volta uscite dai vasi sanguigni e arrivate sul tumore, possono riversare il loro contenuto proprio sul bersaglio giusto. Risparmiando le cellule sane».
Ma ci sono anche casi in cui le nanoparticelle, per avere effetto, non hanno bisogno di uscire dal sistema circolatorio: «È il caso dei disturbi cardiovascolari, che sono tra le prime cause di morte in tutto il mondo» spiega Masserini. «Iniettando nanoparticelle con farmaci in grado di sciogliere le placche di grasso che si formano nelle arterie possiamo salvare molte vite». E la precisione nel somministrare la cura non è l’unico vantaggio: «Le nanoparticelle possono contenere contemporaneamente sia molecole di farmaco che di mezzo di contrasto: così si può tenere sott’occhio la malattia mentre la si cura e, nel caso di tumori, il chirurgo può vedere subito, illuminando la ferita, se qualche cellula tumorale è sfuggita al bisturi. Le nanoparticelle di silice, poi, hanno un involucro trasparente: le si può riempire di molecole fluorescenti e farle attaccare a cellule che si vogliono studiare nei loro spostamenti nel corpo».
Nulla può fermare le nanoparticelle: «Sono piccole quanto basta per oltrepassare la barriera che protegge il cervello, a differenza dei farmaci normali: noi siamo riusciti – in uno studio pubblicato in maggio – a restituire la memoria a topi affetti da Alzheimer veicolando nel loro cervello farmaci che rimuovono le proteine beta-amiloidi, causa della malattia» spiega Masserini. «Il passo successivo, in un futuro prossimo, saranno “macchine molecolari” che, arrivate nel cervello, potranno sostituire i neuroni che oggi sono distrutti da tutte le malattie neurodegenerative, non solo l’Alzheimer. Per questi neuroni artificiali dovremo sviluppare nuovi materiali biocompatibili, e questo approccio del rimpiazzo di parti malfunzionanti dell’organismo – perché malate, o anche solo perché invecchiate – varrà anche per tutti gli altri organi e tessuti. Per esempio per la cartilagine, che, priva com’è di cellule staminali, non può ripararsi da sola».
Il corpo autoriparante, quello del futuro, sarà più longevo e risolverà il grave problema odierno della mancanza di donatori d’organi. Tutto questo se, beninteso, la nanomedicina diventerà più accessibile, come del resto si prevede: «Oggi produrre nanofarmaci è ancora molto costoso. Per questo li si usa soprattutto quando i farmaci classici, molto più economici, si rivelano inefficaci» spiega Masserini. «Quasi nessuna delle nanomedicineesistenti è venduta in farmacia: in genere le usa lo specialista in clinica per trattare malattie gravi, come diverse forme di tumore, degenerazione maculare della retina, alcune forme di meningite, micosi profonde. Fanno eccezione alcuni composti di uso più comune, come farmaci contro l’anemia che racchiudono ossido di ferro in nanoinvolucri, in modo che, quando il farmaco è nel sangue, sia più tollerabile e si riduca il rischio di tossicità. Anche i vaccini antinfluenzali utilizzano preparazioni nanostrutturate e ci sono pure i nanocristalli d’argento, che si usano come germicida per creme o garze per trattare infezioni e ferite, e gli alluminosilicati per bendaggi, che riducono il sanguinamento». Tutti rimedi che non sembrano sollevare particolari problemi di sicurezza: «Tutto ciò che è usato in nanomedicina ha superato test sull’uomo durati otto-nove anni» commenta Masserini. «Oggi l’allanne nanoparticelle – che non è da sottovalutare – riguarda soltanto le nanoparticelle industriali, come i nanotubi di carbonio usati nell’elettronica o il particolato degli scarichi delle auto. Di queste nanoparticelle è nota la tossicità e ciò porta per estensione l’opinione pubblica a temere tutto ciò che è “nano”, anche quando invece è sicuro e anzi è la grande, e già concreta, speranza per il futuro della salute».