La Stampa, 16 settembre 2017
Preoccupazione in Giappone per le minacce di Pyongyang, Tokyo fronteggia il panico dei bambini: esercitazioni, nascondigli e psicologi
In un atto di totale sfida alle recenti sanzioni da parte delle Nazioni Unite, la Corea del Nord ha risposto con un missile a media portata che ha sorvolato la regione di Hokkaido venerdì volando per circa 3700 km prima di sparire nell’Oceano Pacifico. Si tratta del secondo lancio missilistico che ha sorvolato il Giappone in poco più di due settimane.
Secondo un sondaggio del Jiji Tsushin News ben l’81.3% dei giapponesi considera l’ultima minaccia di Kim Jong-un «molto seria», mentre solo il 15,4% pensa che si tratti di «banali provocazioni».
Nella conferenza stampa di ieri il segretario di Gabinetto Yoshihide Suga ha dichiarato che «le forze di autodifesa hanno rilevato e seguito il missile punto per punto dal lancio sino all’atterraggio».
«Non lo abbiamo intercettato – ha aggiunto – perché non ci si aspettava alcun danno al territorio giapponese». Alcuni esperti, tuttavia, hanno messo in dubbio il fatto che il Giappone possa essere dotato della capacità di poter annientare un missile sparato ad alta quota e velocità.
Ma il vero dramma che oggi il Giappone deve affrontare non è tanto quello di stabilire chi tra esperti e politici di professione abbia il dono della ragione, ma è come riuscire nel mezzo del caos mediatico scaturito dalle continue minacce coreane a trovare il modo di mantenere la sanità dei propri figli.
«Non ci sono palazzi ben solidi sulla via per la scuola, come faccio se dovesse all’improvviso cadere un missile?» ha domandato in preda al terrore un bambino di 11 anni della regione del Kanto alla propria nonna. Quel bambino non faceva una domanda banale, semplicemente seguiva alla lettera il testo dell’allarme che era stato diramato dal governo due settimane fa durante il precedente lancio missilistico, ovvero «riparatevi in edifici solidi e sotterranei».
Secondo il professor Yasuo Watanabe del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo dell’Università Hosei il Giappone non ha mai affrontato le conseguenze di una minaccia esterna – terremoto, tsunami o un missile – dal punto di vista delle possibili ricadute sulla psiche dei bambini, cosa che secondo lui è invece essenziale.
Ad esempio, è stato suggerito da più voci che potrebbero essere necessarie prove di evacuazione distinte da quelle già condotte in maniera periodica per fronteggiare i disastri naturali, così da ridurre l’ansia che inevitabilmente si genera nella mente dei più giovani e non solo.
Sulle contromisure da prendere in caso di un attacco da parte della Corea del Nord si discute vivamente in queste ore sui media e nelle scuole giapponesi, ma per ora poche cose sono chiare. Si sa che gli insegnanti da una parte dovranno fare lo sforzo supplementare di spiegare ai bambini, senza però indurre eccessivi timori, la differenza tra un disastro naturale e uno prodotto dall’uomo, in termini concreti la differenza che c’è tra «nascondersi» nel mezzo di un grande parcheggio (è l’indicazione standard che viene data in Giappone in caso di terremoto non essendoci notoriamente piazze) e quello di nascondersi nel sottoscala di un palazzo nel caso del lancio di un missile.
Anche il governo sta intanto facendo la sua parte. Per cominciare ha già dato l’ordine di cancellare l’aggettivo solido associato a palazzo in tutti i messaggi di emergenza. La ragione ufficiale? Non creare inutile confusione.