Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  settembre 16 Sabato calendario

Arriva la manovra del governo: 18 miliardi di euro

Nella storia recente alla vigilia delle elezioni si è visto ben altro. Ma il 2018 non sarà un anno qualunque: la ciambella garantita finora dal piano di acquisti di titoli pubblici della Bce, ciò che ha tenuto basso il costo del debito negli ultimi due anni e mezzo, verrà meno. Poiché quella montagna vive e lotta con noi (ieri la Banca d’Italia ha certificato il superamento di quota 2.300 miliardi), occorre attrezzarsi al dopo. «Non faremo danni», dicono Gentiloni e Padoan: la bozza di Finanziaria per il 2018 vale più o meno 18 miliardi di euro, si concentra su alcune misure, e non potrà fare più deficit di quello già generosamente accordato dalla Commissione europea. Le tre grandi voci sono scritte: uno sgravio per l’assunzione stabile dei nuovi assunti con meno di 32 anni, la proroga e rafforzamento degli incentivi per l’innovazione nelle imprese, l’aumento delle risorse per il sostegno ai più poveri. Il resto servirà a finanziare misure cosiddette ordinarie: il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici, le missioni militari all’estero, un fondo straordinario per tenere in vita le Province, rimaste nel limbo fra una legge approvata e una riforma costituzionale bocciata.
La manovra verrà finanziata per circa otto miliardi da nuovo deficit, dieci miliardi da nuove entrate e qualche (sempre limitato) taglio alla spesa. L’unico vincolo insuperabile con Bruxelles è il rispetto dell’impegno sul cosiddetto «deficit strutturale»: ciò significa che il governo dovrà garantire che almeno la metà dei dieci miliardi necessari siano nuove entrate o risparmi duraturi. Finora il governo ha individuato sei miliardi di nuove entrate, ne mancano all’appello quattro: per far tornare i conti arriverà una rottamazione bis delle cartelle esattoriali. L’ipotesi de minimis permetterebbe di riaprire i termini a chi è rimasto escluso da quella appena scaduta per via di errori formali o per non aver pagato le rate. Ma quell’ipotesi non garantirebbe le entrate necessarie, e per questo verrà ulteriormente allargata.
Almeno un miliardo arriverà da norme per combattere le truffe di chi evade Iva e accise sui carburanti, un altro miliardo da tagli lineari alle spese dei ministeri, due miliardi con l’asta per le frequenze dei telefonini di quinta generazione. Per evitare l’evasione Iva è già stato introdotto l’obbligo di fatturazione elettronica fra privati e la pubblica amministrazione. Il governo vuole allargarla alle transazioni fra privati, ma farlo dal primo gennaio sarebbe troppo impopolare: scatterà il primo gennaio 2019. Un aiuto lo darà anche l’aumento della crescita oltre le attese. Giovedì ci sarà il Consiglio dei ministri che approverà la nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza. Il governo dovrebbe indicare per quest’anno un Pil in salita dell’1,5 per cento, ben quattro decimali sopra le previsioni di aprile: se il Pil sale, il rapporto con il deficit migliora. Il saldo della manovra oggi vale 18 miliardi, ma non è escluso che il conto finale aumenti in Parlamento. C’è da accontentare le truppe di Bersani e soci, in cerca di visibilità prelettorale e decisivi per la tenuta della maggioranza: chiedono ad esempio un aumento del fondo sanitario. Fatto salvo il ritocco promesso per le donne con figli, la spesa per pensioni non cambierà.
Nel timore di vedere esplodere i consensi per i Cinque Stelle l’Europa ha chiuso due occhi sulle cosiddette clausole di salvaguardia: si tratta di aumenti di tasse garantiti nel caso in cui non si realizzassero altrettanti tagli di spesa. Per il 2018 erano previsti aumenti di Iva e accise per 15 miliardi: se la Commissione non li avesse espunti dai calcoli, sarebbero stati dolori. Nel Documento di economia e finanza di aprile il governo prometteva per il 2018 un rapporto deficit-Pil all’1,2 per cento. L’accordo fra gentiluomini con la Commissione permetterà all’Italia di salire all’1,8: sono dieci miliardi di flessibilità aggiuntiva. E c’è chi la chiama Europa matrigna.
Twitter @alexbarbera