La Gazzetta dello Sport, 16 settembre 2017
Andrea Agnelli rischia grosso: chiesti 30 mesi
Lunedì 25 settembre la Juve saprà. Saprà se e per quanto tempo dovrà rinunciare al presidente dei sei scudetti. Saprà la reale portata del «caso biglietti» sugli equilibri di una dirigenza vincente come poche. A dieci giorni dalla richiesta, pesantissima, della procura federale partorita ieri a Roma, il club conoscerà la sentenza di primo grado del processo sportivo sulla storiaccia dei rapporti non consentiti con ultrà interessati al bagarinaggio (e, in base a successive indagini penali, in odor di mafia): il procuratore federale Giuseppe Pecoraro non ha in alcun modo edulcorato la sua richiesta nei confronti dei quattro deferiti all’interno del club bianconero. Una possibile stangata per il presidente Andrea Agnelli: per lui è stata richiesta l’inibizione per due anni e sei mesi più un’ammenda di 50 mila euro.
LE PENE Meno fragorosa, ma comunque dura la parte riservata agli altri: per il security manager Alessandro D’Angelo richiesta una inibizione di due anni e una ammenda di 10 mila euro, per il capo della biglietteria Stefano Merulla un’inibizione di un anno e sei mesi e un’ammenda di 10 mila, per l’ex responsabile del marketing (oggi al Barcellona) Francesco Calvo inibizione di soli sei mesi uniti a una ammenda di 10 mila. E ancora: oltre a una ulteriore multa di 300 mila euro, la disputa di due gare a porte chiuse più una ulteriore partita senza la curva Sud, quella dedicata a Gaetano Scirea, quella in cui gli ultrà-bagarini avrebbero fatto fortuna negli ultimi cinque anni. Pecoraro ha pure chiesto che il tribunale metta già nero su bianco l’estensione delle sanzioni in ambito Uefa e Fifa: non un dato banale considerato il posto nell’esecutivo Uefa di Agnelli, neo eletto presidente Eca. Ma questo fronte potrà eventualmente aprirsi solo quando saranno estinti tutti i gradi della giustizia sportiva.
L’ORIGINE Il giorno più lungo per la Juve è iniziato dopo pranzo, quando in via Po a Roma, dalla porta del tribunale federale presidiata da cronisti e telecamere, sono passati i deferiti: in testa, Agnelli, accompagnato dai suoi avvocati, Luigi Chiappero e Franco Coppi. Poi, a ruota, Calvo assieme all’avvocato Leandro Cantamessa e D’Angelo-Merulla difesi dall’avvocato Maria Turco. Qualche minuto prima delle 14.30, ecco anche Pecoraro, il grande inquisitore dei bianconeri che ha ricevuto sul tavolo le carte del processo «Alto Piemonte» di Torino. È l’origine di tutto, la maxi-inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta arrivata da molti anni fin dentro allo Stadium. Il processo penale si è concluso con pene cospicue (su tutti i 7 anni e 9 mesi a Rocco Dominello, l’ex ultrà capace di interloquire ai massimi livelli con il club), ma nessuno dei dipendenti bianconeri è stato mai indagato. La consapevolezza dei dirigenti bianconeri della «mafiosità» dei soggetti in questione non è mai stata provata a Torino: anche su questa base, i pm avevano scelto di non indagare D’Angelo e Merulla, i più «esposti» nei rapporti con Dominello.
LA BATTAGLIA Il processo vero e proprio è durato quasi un’ora e mezzo, come una normale partita di pallone: chi c’era, racconta di una atmosfera tesa, con ripetute schermaglie verbali e solo qualche battuta qua e là a stemperare la tensione. Nessuno spazio per un patteggiamento, come già evidente durante la prima seduta del 26 maggio davanti al presidente del Tribunale Cesare Mastrocola: allora ci fu uno spostamento «tattico», visto che alle porte c’era la finale di Cardiff. Nel dettaglio, ieri Pecoraro ha battuto sulla cessione di biglietti in numero massiccio, ben oltre il consentito: ha contestato alla Juve di averne riservati migliaia a partita dal 2011 ai gruppi organizzati sapendo che sarebbero stati sfruttati per il bagarinaggio. La reiterazione di queste condotte – la quasi «legittimazione» di un sistema già esistente per garantire la pace sociale nel nuovo impianto – sono state considerate delle aggravanti, unite al fatto che gli introiti per i bagarini avrebbero comunque finanziato la ‘ndrangheta. La nuova memoria difensiva ha cercato di disarticolare l’assunto della procura: per i legali bianconeri, Pecoraro avrebbe impropriamente traslato l’impianto di «Alto Piemonte» in sede di giustizia sportiva. La stessa assoluzione di Fabio Germani, l’ex ultrà che aveva introdotto Dominello alla Juve, sarebbe essa stessa un punto a favore dei bianconeri. Coppi e Chiappero hanno insistito sulle ampie deleghe concesse da Agnelli ai suoi uomini: non è ovviamente un presidente a gestire materialmente la spartizione dei tagliandi. Uscendo dalla battaglia, l’avvocato Coppi ha chiarito gli intendimenti della difesa, che punta a uscire indenne o al massimo con una grossa multa: «La procura fa il suo mestiere, in genere non siamo abituati a fare previsioni, se un mese o l’ergastolo. Importante qui è contrastare i loro argomenti perché puntiamo all’assoluzione completa». Da qualunque lato si guardi, sarà un verdetto delicato: peserà sugli equilibri generali del calcio italiano, oltre che su quelli bianconeri. Alla fine, uscendo dagli uffici di via Po, almeno il giudice Mastrocola ha provato a calmare gli animi: «Il dibattimento è stato sereno, la sentenza sarà equa», ha detto sorridendo.