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 2017  settembre 16 Sabato calendario

Ripubblicate le opere di Carlo Emilio Gadda. Dentro i romanzi beffardi ecco la voragine del dolore

Da alcuni anni a questa parte la casa editrice Adelphi, conformemente alle sue scelte dominanti, va ripubblicando opere di particolare significato e valore di Carlo Emilio Gadda. Ricordo, in forma non sistematica, due fra le più recenti: “Il Guerriero, l’Amazzone, lo Spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo”, 2015, e “Eros e Priapo”, 2016. Prezioso per chi scrive queste note, ma anche per chiunque voglia approfondire la conoscenza della complicata psiche e dei bollenti umori del nostro scrittore, il volume “Per favore mi lasci nell’ombra”, più lontano nel tempo (1993), che raccoglie le interviste dello scrittore. Per non lasciare troppo incompleto questo quadro editoriale, si tenga presente che l’editore ufficiale, storico, di Gadda è Garzanti, il quale ne ha ripubblicato tutta l’opera in cinque consistenti volumi a cura di un grande filologo e grande specialista dell’autore come Dante Isella. E Einaudi ha pubblicato di lui alcune delle sue opere maggiori: per esempio, fin dal lontano 1965, l’importantissimo Giornale di guerra e di prigionia.
Recentemente è apparso un monumentale (più di 1000 pagine) Commento al Pasticciaccio (Carocci, 2015), che procede quasi riga per riga, parola per parola, a cura di Maria Antonietta Terzoli, molto discusso, ma da questo momento in poi tappa imprescindibile per qualsiasi approfondimento successivo.
Insomma, si potrebbe concludere questa rapida rassegna, limitandoci a constatare che conoscenza e approfondimento di Gadda siano oggi in un periodo di larga fortuna. Io invece non penso che sia così, per lo meno al di fuori di una molto qualificata ma ristretta cerchia di cultori, e cercherò di spiegare perché. Ma intanto cerchiamo di raccogliere le idee, almeno per coloro che se ne intendono di meno e vorrebbero saperne di più.Carlo Emilio Gadda era nato a Milano nel 1893 da una famiglia della buona borghesia lombarda, autorevole ma dissestata. Nel ’15 partì volontario (e l’episodio è meno esterno alla sua storia di quanto si potrebbe pensare) per la prima Guerra Mondiale, dove combatté nella milizia territoriale e poi negli alpini. Caduto prigioniero degli austriaci, rimase a lungo in campo di concentramento. Finita la guerra si laureò in ingegneria nel ’20, soprattutto per l’impulso autoritario della madre (mentre lui fin da allora occhieggiava con simpatia molto più profonda agli studi di letteratura e di filosofia). Esercitò la professione per diversi anni e in diverse riprese, in Sardegna, Lombardia, Argentina, Francia, Belgio, Germania.
A partire dal 1931 si dedicò esclusivamente alle lettere. Fra il 1940 e il ’50 soggiornò a Firenze. Qui maturò la prima osservazione storico-critica. “Quella” Firenze era proprio la città in cui vivevano e lavoravano come in una sorta di laboratorio, scrittori, poeti e critici come Montale, Saba, Bo e, importantissimo per lui, il grande filologo romanzo Gianfranco Contini, il quale a poco a poco ne fece, consapevolmente e intenzionalmente, il vero alfiere della nuova letteratura ( Contini- Gadda, Carteggio 1934- 1963, Garzanti, 2005).
Nel 1950 l’“ingegnere de letteratura” si trasferisce a Roma, dove lavora anche per un breve periodo nel settore della cultura della RAI. Vive appartato e solitario, anche in conseguenza di una omosessualità poco elaborata e risolta. La sua fama si consolida e diventa sempre più riconosciuta anche a livello nazionale (non senza qualche ostinata resistenza). Vi contribuiscono in maniera decisiva quelle che vanno considerate senza ombra di dubbio le sue opere più alte e significative: Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (Garzanti, 1957; La cognizione del dolore (Einaudi, 1963, ora ripubblicato da Adelphi). Muore nel 1973.
Da questa sia pur sommaria ricostruzione biografico-letteraria ricaverei, altrettanto sommarie, queste due considerazioni.La prima: Gadda è uno scrittore che si forma sostanzialmente nei due decenni 1930-1940, 1940-1950, ed esplode agli occhi del pubblico solo dopo il ’50 (del Pasticciaccio e della Cognizione esistono stesure e prime pubblicazioni in rivista già nella seconda metà degli anni ’30). L’“ingegnere de letteratura” in questo senso è un caso unico. Vuol dire che la sua educazione è, per usare una terminologia d’époque, fortemente formalistica e poco realistica, attratta più dall’esercizio stilistico che dalla mera riproduzione dei fatti circostanti.
Di conseguenza (seconda considerazione) la sua creazione letteraria mette al primo posto l’invenzione linguistica. La lingua, e lo stile in cui essa si trasfonde, sono materia viva che la sua mente e la sua mano plasmano in mille modi.
Il sarcasmo, la beffa, l’oltraggio, – ma anche l’autopresa in giro, il sarcasmo e la beffa rivolti contro se stesso, – costituiscono gli ingredienti fondamentali della sua saporosissima cucina. Il dialetto, – il più delle volte il milanese e il romanesco, ma talvolta anche il fiorentino, – ne rappresenta uno dei più importanti, se non addirittura il più importante.
Se però ci fermassimo qui, avremmo (rischieremmo di avere) una visione superficiale e parziale del nostro autore. Ora, se dipendesse da me, attirerei l’attenzione soprattutto sulla voragine di dolore e di disperazione che l’atteggiamento cognitivo di Gadda apre ai suoi lettori. In questo senso, se si dovesse scegliere nella variegata e ricchissima produzione narrativa di Gadda, io attirerei l’attenzione soprattutto su La cognizione del dolore, senza trascurare quello straordinario scritto, che l’autore, fingendo di averlo semplicemente trascritto e accolto a mo’ d’introduzione al libro, gli ha premesso: L’Editore chiede venia del recupero chiamando in causa l’Autore.
Cosa accade con un libro come questo? Accade che cambia radicalmente la stessa nozione di romanzo (la stessa cosa, del resto, e sia pure in forme diverse, accade con il Pasticciaccio).Se il reale è contraddittorio e incompiuto, se il dolore vela i sentimenti e stravolge i rapporti, anche il romanzo sarà, – intenzionalmente, – contraddittorio e incompiuto, anche il romanzo non potrà fare altro, attraverso lo stupefacente montaggio linguistico-stilistico, che tentare di rappresentare quella che lo stesso Gadda chiama la “dissocialità” dei suoi personaggi e, naturalmente, e in primo luogo, quella sua propria. Studiare e apprezzare la narrativa di Gadda senza percepire, come suo motivo fondante, l’aspra, insormontabile cesura che questo scrittore e, ovviamente, questo individuo umano hanno provato e coltivato nei confronti del mondo esterno, – di tutto il mondo esterno, – l’autore, appunto, la chiama «la imbecillaggine generale del mondo», – significa averne colto solo una parte, quella più superficiale. Quel che per Gadda invece conta è andare in profondità, mostrare i limiti irrimediabili dell’esistenza.
Ora, per tornare alla mia riserva iniziale, se le cose stanno così, la domanda che sorge spontanea è: dov’è che si trova oggi, non solo nella letteratura creativa, ma anche nella critica e nel lavoro intellettuale generalmente considerato, un rovesciamento radicale degli equilibri, un atteggiamento squassante come questo?