Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  settembre 15 Venerdì calendario

«Cinquemila dollari per un capello di Hillary». E il «lupo» dei farmaci torna in carcere

NEW YORK Sbruffone, spavaldo (e imbroglione), simbolo del più bieco “capitalismo farmaceutico” e detentore del titolo di “uomo più odiato d’America”, Martin Shkreli ne ha combinata un’altra delle sue. «Vi invito a strappare un capello a Hillary Clinton durante il tour di promozione del suo libro», ha scritto ai suoi 93mila seguaci su Facebook. «E pagherò 5mila dollari per ogni capello che mi sarà consegnato». Perché Shkreli, che ha 34 anni e ad agosto è stato condannato per frode finanziaria e associazione a delinquere (ora è in attesa della sentenza definitiva), ha voluto mettere questa taglia? Forse come vendetta per i durissimi attacchi rivoltigli dall’ex candidata democratica? Per farsi un po’ di pubblicità sui tabloid e i social media? O magari per far analizzare i capelli e scoprire una strana malattia? «Era soltanto un tentativo umoristico mal riuscito», ha spiegato lui, quando i servizi segreti hanno aperto un’inchiesta e ha capito di averla fatta grossa. Ma la giustificazione in extremis non è bastata. Dopo una breve udienza nel tribunale di Brooklyn, il giudice Kiyo Matsumoto ha dichiarato che costituiva «un pericolo per la società» e ha revocato la libertà provvisoria che gli era stata concessa dietro a una cauzione di 5milioni di dollari. E il “mezzo-lupo di Wall Street” è stato portato subito in prigione La dubbia fama di Shkreli è legata al Daraprim, un medicinale per curare Aids e malattie infettive, di cui da un giorno all’altro, come chief executive di un’azienda farmaceutica, aveva alzato il prezzo da 13,5 dollari a 750 per ogni pillola. Quell’aumento astronomico del 5mila per cento, pur consentito dalle leggi di mercato che dominano nella sanità americana, lo aveva reso un bersaglio dei talk-show serali (era soprannominato “Pharma Bro”), della politica e soprattutto di un’opinione pubblica esasperata per il costo dei farmaci, che negli Stati Uniti sono molto superiori che in tutti gli altri paesi.
Ma non è stata questa cattiva reputazione, pur meritata, alla base dell’inchiesta che per quattro anni ha tenuto impegnati i magistrati newyorkesi, quanto la propensione di “Pharma Bro” a truffare gli investitori e a maneggiare i soldi degli hedge funds e delle aziende che gestiva come se fossero tutti suoi.
Shkreli guidava due fondi, il Msmb Capital e il Msmb Healthcare. Nel 2011 alcune sue azzardate speculazioni in Borsa si rivelarono disastrose. Ma il giovane “lupo” nascose le perdite raccontando una serie di bugie agli investitori che battevano cassa e chiedevano chiarimenti: «È tutto a posto», rispondeva tranquillo. «Avvocati e società di revisione» hanno il quadro completo della situazione. Ma non era vero: falsava i bilanci. Poi ha usato segretamente i fondi sottratti da una società farmaceutica di cui aveva preso il controllo, la Retrophin, per rimborsare i creditori impazienti. Anche questo non era certo regolare. E la pubblica accusa ha dimostrato la sua violazione sistematica di tutte le leggi e le regole finanziarie, oltre che la truffa ai danni degli azionisti.
Anche il processo si è svolto in modo insolito. La giudice Matsumoto era stata costretta a ordinare a Shkreli di tacere in aula e di fronte ai giornalisti per evitare che influenzasse i giurati. Lui allora si era messo a leggere libri nel banco degli imputati, come se l’iter giudiziario non lo riguardasse. Alla fine è stato condannato per tre degli otto reati contestatigli.
Anche dopo quella condanna, si è vantato di essere stato assolto dai capi d’accusa più gravi. E ha continuato a imperversare sui social. Ma al di là di tante provocazioni, il “lupo cattivo” aspetterà ora in carcere una sentenza che potrebbe tenerlo dietro alle sbarre per altri venti anni.