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 2017  settembre 14 Giovedì calendario

Madrid minaccia Barcellona con l’esercito, la Ue tace

Siamo in un’epoca digitale, connessa, globale. Eppure in certe parti del mondo è ancora vietato votare. Non parliamo della Corea del Nord, della Cina o di Cuba, dove il comunismo la fa da padrone. Ci riferiamo alla moderna e ammirata Spagna, dove si vuole impedire con la forza un diritto che ormai ritenevamo acquisito: l’autodeterminazione dei popoli. In questo caso quello catalano. Nella regione di Barcellona la locale giunta, la Generalitat, ha indetto un referendum per l’1 ottobre. Il quesito è semplice: volete voi catalani diventare indipendenti da Madrid? No, vietato. 
È chiaro che le supreme leggi della recente – dal 1979 democrazia spagnola sono intoccabili, ma come fa un re giovane come Felipe a non capire che è giusto lasciare decidere la gente in che Paese vuole vivere? 
E invece no: il ministero degli interni di Madrid ha deciso di rinforzare il dispositivo di polizia dello Stato in Catalogna in vista della consultazione dichiarata «illegale» da Madrid. Mille agenti di Guardia Civil e polizia nazionale sono stati inviati in rinforzo ai seimila già dispiegati nella zona di Barcellona. Altri quattromila sono stati posti in riserva e possono essere trasferiti in 24 ore. Come a creare una forza d’urto potente, capace di fronteggiare i 17mila agenti della polizia catalana, i famosi Mossos d’Esquadra, che abbiamo conosciuto durante l’attentato dell’Isis sulla Ramblas dopo Ferragosto. 
La Guardia Civil già da giorni sta dando la caccia ai potenziali stampatori di schede elettorali. 
Ma non è finita. La Procura spagnola ha incaricato i procuratori della Catalogna di citare in giudizio chiamandoli a comparire come indagati gli oltre 700 sindaci della regione che hanno appoggiato il referendum secessionista. I sindaci che non si presenteranno dovranno essere arrestati. 
La procura ha ricordato che la Corte Costituzionale ha sospeso alcuni giorni fa la convocazione del referendum proibendola «de facto» ed ha avvertito che le azioni mirate all’organizzazione della consultazione possono costituire reati. In totale, 712 dei 947 Comuni catalani si erano impegnati negli ultimi giorni a partecipare ai preparativi del referendum e il governo catalano aveva chiesto loro la cessione dei locali per poter organizzare il voto. 
Il procuratore generale dello stato, José Manuel Maza, ha stabilito che, visto l’alto numero di municipi coinvolti, si darà la precedenza a quelli con «un maggiore volume di popolazione». Ora i procuratori di ciascuna delle quattro province catalane dovranno convocare i sindaci dei municipi, chiamati a presentarsi come indagati. O arrestarli. 
La Costituzione «prevarrà contro qualsiasi forzatura della convivenza democratica», ha detto il re Felipe nel suo primo intervento pubblico da quando il Parlamento della Catalogna ha indetto il referendum: «I diritti dei cittadini spagnoli saranno preservati» di fronte «chiunque si pone fuori dalle legalità costituzionale e delle leggi» e tenta di «spaccare la società». 
È Madrid però che vuole spaccare la società... Immaginiamo se avesse schierato l’esercito ad esempio contro i richiedenti asilo. Apriti cielo, la Ue e l’Onu avrebbero paragonato il mite Mariano Rajoy, premier iberico, al cattivo Orban. Ma visto che si tratta di quattro catalani, che da due secoli vorrebbero, con rispetto, levare le tende, allora cala il silenzio. 
È chiaro il motivo: l’Unione europea teme un effetto domino. Se la Catalogna votasse sì all’indipendenza, poi toccherebbe ai Paesi Baschi. E successivamente alle Fiandre, alla Corsica (dove c’è un governo secessionista), alla Baviera e «per finire» con Veneto e Lombardia. 
In teoria, solo con la fine dei vecchi stati nazionali si arriverebbe alla vera Europa dei popoli di cui tutti si riempiono la bocca. In realtà se cambiasse la geografia del vecchio continente, Bruxelles imploderebbe. D’altronde la Ue non è come gli Stati Uniti: è un’Unione...sovietica. E infatti apprezza l’esercito contro la democrazia.